A cura dell'Avv. S. Mecca, docente in area Fiscale

L’Amministrazione finanziaria italiana, di frequente, effettua verifiche e controlli volti a verificare l’effettiva residenza fiscale dei contribuenti/persone fisiche. Si tratta di controlli che hanno come obiettivo quello di appurare, alla luce della normativa fiscale nazionale, la veridicità di eventuali trasferimenti di residenza all’estero e che spesso sfociano in un lungo e complesso contenzioso tributario, che non sempre porta ad esiti positivi per il contribuente. Quando il contribuente si trova di fronte ad una contestazione basata sul trasferimento di residenza all’estero, già nella fase pre-contenziosa dovrebbe quindi instaurare una adeguata difesa, al fine di provare ad evitare un accertamento successivo. In questo contributo, verrà analizzata la dinamica di tali contestazioni e verrà fornita una panoramica generale su come potersi difendere.

La normativa sulla residenza fiscale dei contribuenti/persone fisiche

In forza dell’articolo 2, comma 2, del Tuir, ai fini del pagamento dell’Irpef, sono considerate residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo di imposta, ossia per un periodo di almeno 183 giorni, anche non continuativi, rientrano in una delle seguenti ipotesi:

  • risultano iscritte nelle Anagrafi comunali della popolazione residente;
  • non risultano iscritte nelle anagrafi ma hanno nel territorio dello Stato il domicilio, ai sensi del codice civile;
  • non risultano iscritte nelle Anagrafi ma hanno nel territorio dello Stato la residenza, ai sensi del codice civile.

Tali requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti: sarà pertanto sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia. Occorre, a tal proposito, rifarsi alle nozioni civilistiche di residenza e di domicilio, nonché all'interpretazione che di esse ha fornito la Suprema Corte di Cassazione. Ai sensi dell’articolo 43, cod. civ., il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Ne consegue che la cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente e la conseguente iscrizione all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) non è un requisito sufficiente per determinare la residenza al di fuori del territorio dello Stato, allorché il soggetto abbia ancora nel territorio predetto il proprio domicilio, inteso come “sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali”. In sostanza, il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi. Quanto, poi, al concetto di residenza, essa è definita dal codice civile come “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Pertanto, si può affermare che essa è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, concorrendo a instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi.

La presunzione di residenza per i paesi c.d. black-list

Lo stesso articolo 2, Tuir, al comma 2-bis, prevede poi che si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle Anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata. Si tratta, pertanto, di una presunzione relativa in forza della quale si considerano fiscalmente residenti in Italia i cittadini italiani iscritti all’Aire ed emigrati in paesi c.d. black-list. In questo caso, è il cittadino a dover dimostrare che il trasferimento all’estero e la conseguente perdita di residenza in Italia sono effettivi.

Attività di accertamento dell’Amministrazione

Quando emerge un contrasto tra residenza fiscale formale ed effettiva, ovvero in presenza di trasferimento della stessa in un paese a fiscalità privilegiata, l’Amministrazione effettua la sua attività di controllo. Il contribuente che trasferisce la propria residenza all’estero è tenuto ad effettuare l’iscrizione all’Aire. Solo da quando tale iscrizione risulta verificata per almeno 183 giorni nell’anno ci si è “spogliati” della residenza fiscale italiana e da questo momento è possibile assolvere gli obblighi fiscali italiani solo sui redditi (eventualmente) prodotti nel territorio dello Stato. Pertanto, l’iscrizione all’Aire, da una parte, costituisce il principale requisito formale – necessario ma non sufficiente – per comprovare il proprio status di non residente nel territorio dello Stato. Dall’altra, risulta strumentale per il monitoraggio dei contribuenti italiani che lasciano l’Italia e per la verifica dell’effettività del trasferimento all’estero. Quando si parla di trasferimento all’estero e di possibili accertamenti sulla residenza occorre sempre fare riferimento alla circolare ministeriale n. 304/1997 che fornisce indicazioni operative in merito alle attività di accertamento della residenza fiscale. Secondo l’Agenzia delle entrate, con l’attività investigativa devono essere reperiti tutti gli elementi concreti di prova in ordine a:

  • legami familiari o comunque affettivi e all’attaccamento all’Italia; 
  • interessi economici in Italia; 
  • interesse a tenere o far rientrare in Italia i proventi conseguiti con le prestazioni effettuate all’estero; 
  • intenzione di abitare in Italia anche in futuro, desumibile da fatti e atti concludenti ovvero da pubbliche dichiarazioni.

I “campanelli d’allarme” che potrebbero portare all’identificazione di situazioni sospette circa l’effettività della residenza fiscale estera dei soggetti iscritti all’Aire sono i seguenti:

  • residenza in un paese black-list
  • movimenti di capitale da e verso l’estero; 
  • informazioni relative a patrimoni immobiliari e finanziari detenuti all’estero; 
  • residenza in Italia del nucleo familiare del contribuente; 
  • atti del registro segnaletici dell’effettiva presenza in Italia del contribuente; 
  • utenze elettriche, idriche, del gas e telefoniche attive in Italia; 
  • disponibilità di autoveicoli, motoveicoli e unità da diporto; 
  • titolarità di partita Iva attiva e/o informazioni relative a operazioni rilevanti Iva; 
  • rilevanti partecipazioni in società residenti di persone o a ristretta base azionaria e/o titolarità di cariche sociali; 
  • versamento di contributi per collaboratori domestici.

Possibile difesa del contribuente

Nel caso di un controllo e/o accertamento effettuato dal Fisco, il quale ritiene che vi siano elementi atti a dimostrare che il trasferimento della residenza non sia effettivo, ovvero nel caso in cui vige la presunzione di residenza per trasferimento in un paese black-list, il contribuente dovrà fornire la c.d. “prova contraria”. Sul piano pratico la prova comporta indubbiamente non poche difficoltà, che però possono essere superate anche con l’ausilio di argomentazioni logiche a contrario, che dimostrino cioè l’incompatibilità dell’assunto della residenza in Italia. Dal punto di vista formale, la prova contraria dovrebbe consistere nella dimostrazione di non essere residenti in Italia. Tuttavia è evidente che si tratta di una dimostrazione molto difficile da fornire essendo una dimostrazione in negativo. E’ dunque opportuno conservare e fornire al fisco qualsiasi prova possa provare la reale residenza all’estero (a titolo esemplificativo, contratti di affitto, utenze, spese varie).


Questi ed altri temi sono affrontati nel Master in Diritto Tributario e Contenzioso.

 

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