A cura dell'Avv. S. Mecca, Docente in area Fiscale

Il Fisco deve riconoscere al contribuente una quota proporzionale di costi, in caso di accertamento induttivo dei ricavi. Nella giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, deve ritenersi ormai pacifico il principio per cui, in caso di accertamento induttivo, ovvero di ricostruzione della situazione complessiva del contribuente, l’Amministrazione finanziaria deve tener conto anche delle componenti negative di reddito, atteso che, diversamente, si assoggetterebbe ad imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in violazione dell’art. 53 della Costituzione. Né, peraltro, è di ostacolo al riconoscimento di detti costi la disposizione di cui all’art. 109, comma 4, del Tuir per cui tali componenti negativi di reddito sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano imputati al Conto economico, atteso che la stessa Corte di Cassazione ha ripetutamente statuito che la predetta norma non è applicabile in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentualizzata dei costi.

L’accertamento induttivo

L’accertamento induttivo c.d. “puro” (art. 39, comma 2, Dpr 600/73 e art. 55, Dpr 633/72) consente agli Uffici di determinare il reddito d’impresa (o anche di lavoro autonomo) sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a loro conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili (se esistenti) e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Tale rettifica si caratterizza per il minor rigore con cui l'Agenzia è legittimata alla ricostruzione del reddito e, di conseguenza, è potenzialmente più lesiva dei diritti del contribuente rispetto agli accertamenti analitici o presuntivi; non a caso richiede tassative condizioni per la sua applicabilità.

In particolare, si può ricorrere ad accertamento induttivo nei seguenti casi:

  • omessa presentazione della dichiarazione; 
  • mancata indicazione del reddito d'impresa in dichiarazione;
  • omessa tenuta della contabilità, sottrazione all'ispezione di una o più scritture contabili, o di scritture contabili non disponibili per forza maggiore;
  • generale inattendibilità della contabilità;
  • inottemperanza del contribuente agli inviti disposti dagli uffici;
  • irregolarità dichiarative relative agli studi di settore.

Al ricorrere delle suddette condizioni, in mancanza delle quali l’accertamento è illegittimo, il reddito può essere definito:

  • sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio;
  • con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili;
  • utilizzando presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Analogamente, ai fini Iva, l’art.55, del D.P.R n. 633/72 prevede – nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione annuale – che l’ufficio possa procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta, indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso, l’ammontare imponibile totale e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente in base ai dati e alle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio.

 Accertamento induttivo e costi: recenti pronunce giurisprudenziali

In tema di accertamento induttivo “puro” e riconoscimento dei costi, la Cassazione è ormai pacifica nel ritenere che il contribuente deve avere diritto alla deduzione dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati, anche, eventualmente, in modo forfetario (cfr. per tutte Cass. nr. 14703/2014). L’accertamento induttivo “puro” si applica altresì all’ipotesi di dichiarazione omessa: in tal caso, è denominato accertamento d’ufficio e trova la sua fonte normativa nell’art. 41 del DPR 600/73. Proprio in tema di accertamento induttivo ed omessa dichiarazione, la Cassazione, con la sentenza n. 19919 del 17 luglio 2019, ha affermato che l’Amministrazione finanziaria può ricorrere, per determinare il reddito del contribuente, a presunzioni cd. “super semplici”, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Tuttavia, occorre individuare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva. Tale principio è stato di recente confermato dalla pronuncia nr. 2581/2021, secondo cui in caso di dichiarazione omessa, l’Ufficio deve determinare l’imponibile considerando i costi, anche solo induttivi, relativi ai maggiori ricavi. A tal fine non valgono le regole di deducibilità dei costi contenute nel Tuir perché sono riferite ai casi di dichiarazione presentata. I giudici di legittimità hanno precisato, infatti, che le limitazioni previste in materia di deducibilità di costi quali la certezza e l’inerenza, attendono alla diversa ipotesi in cui la dichiarazione sebbene infedele è comunque esistente. Perciò l’Agenzia deve ricostruire il reddito tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandoli induttivamente e/o presuntivamente, per evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, sia sottoposto a tassazione il profitto lordo invece di quello netto.

Cosa cambia rispetto agli accertamenti analitici

In sintesi, alla luce di un simile quadro giurisprudenziale, l’Ufficio deve certamente riconoscere i costi percentualizzati ogniqualvolta accerti con metodo induttivo cosiddetto “puro” i ricavi, come nel caso d’inattendibilità delle scritture contabili, ovvero nell’ipotesi di omessa dichiarazione, cioè qualora ricostruisca complessivamente la situazione del contribuente, prescindendo dalle scritture contabili, avvalendosi di una presunzione “semplicissima”. Al contrario, come stabilito dalla stessa Cassazione, nella diversa ipotesi di accertamento non “del tutto induttivo”, ovvero di accertamenti analitici o analiticopresuntivi, tale regola non trova applicazione, dovendo il contribuente, in tal caso, dimostrare l’esistenza e inerenza di componenti negativi del reddito . A tal proposito, con l’ordinanza n. 7743 del 20 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in tema di imposte sui redditi, “l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo ‘puro’ (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2), mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario”.

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Ultima modifica il 16/03/2021

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