La bank recovery and resolution directory

A cura di Francesco BrameriniManuela MalteseMario Recchia (partecipanti agli Executive Master in Giurista d'Impresa e Avvocato di Affari - RM)


In base agli artt. 26 e 114 TFUE, l’UE ha acquisito la competenza ad adottare le “misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno”[1]

Uno dei pilastri dell’Unione Bancaria tra i Paesi dell’Eurozona, di cui qui abbiamo indagato le ragioni, è costituito dal Meccanismo Unico di Risoluzione (SRM), introdotto con un pacchetto di fonti normative, ovvero la dir. 2014/59/UE, cd. BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), il reg. 806/2014/UE e la dir. 2014/49/UE (Deposit Guarantee Scheme Directive, cd. “DGSD”), con il compito di armonizzare le regole sulla gestione e prevenzione delle crisi bancarie e delle imprese di investimento nell’Eurozona, attraverso una puntuale disciplina di risoluzione e gestione delle crisi bancarie e degli intermediari finanziari.

Con legge di delegazione europea del 9 luglio 2015 n. 144, il Parlamento ha fissato i criteri di delega al Governo italiano per il recepimento della BRRD e l’adeguamento della normativa italiana ai nuovi principi sulla gestione della crisi bancaria.

Il 16 novembre 2015 vengono pubblicati sulla GU il d.lgs. numeri 180 e 181, che individuano la Banca d’Italia quale Autorità nazionale deputata alla Resolution degli enti creditizi in crisi e sostanzialmente introducono il principio della prevenzione della crisi bancaria, attraverso l’anticipazione dell’intervento della Pubblica Autorità già alla fase fisiologica dell’attività d’impresa in cui sono ravvisabili i primi sintomi di una possibile ed eventuale crisi, così dovendo ritenersi superato l’approccio del nostro legislatore nazionale, che aveva relegato l’intervento pubblico per la gestione della crisi alla sua piena manifestazioni, con i procedimenti di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa.

Invero, il d.lgs. 181/2015, che modifica il TUB e il TUF, impone alle banche e alle SIM di rilevanza sistemica (per i gruppi di intermediari spetterà alla capogruppo) di preparare e tenere aggiornato un recovery plan da attuare in autonomia per riequilibrare la propria situazione finanziaria e patrimoniale in caso di significativo deterioramento, secondo gli standard fissati dall’EBA, previa approvazione dell’organo amministrativo della banca e valutazione di adeguatezza da parte dell’Autorità nazionale[2].

Dal canto suo, la Banca d’Italia adotta preventivamente e aggiorna, per ciascun ente o per ciascun gruppo transfrontaliero, previa consultazione con la BCE o la CONSOB, a seconda del soggetto vigilato, un resolution plan, contenente le modalità con cui potrebbe essere affrontata una eventuale crisi.

A ciò si aggiunga l’attribuzione di ulteriori poteri alla Banca d’Italia, che, in presenza di condizioni finanziarie e patrimoniali di deterioramento dell’ente, potrà anche provvedere alla rimozione o affiancamento agli organi amministrativi della banca di un temporary administrator, con competenze stabilite dallo stesso atto di nomina[3].

Viceversa, qualora l’ente sia in dissesto o a rischio di dissesto (riduzione del capitale per perdite) e gli strumenti privati (aumento del capitale) o di vigilanza, compreso il procedimento di liquidazione ordinaria, siano inadeguati a garantire il perseguimento del pubblico interesse e nello specifico la stabilità del sistema e la continuità dei servizi, la Banca d’Italia potrà avviare il procedimento di Resolution della crisi bancaria[4].

Si tratta di un complesso procedimento, per il quale il Comitato Unico di Risoluzione individua ex ante le modalità di prevenzione della crisi di banche qualificate e gruppi transfrontalieri, quindi determina le concrete modalità di gestione attraverso la predisposizione di un Programma di Risoluzione, sottoposto alla Commissione e al Consiglio in alcuni casi[5].

Spetterà all’Autorità nazionale dare attuazione al programma secondo le norme UE e quelle interne di attuazione, nonché pianificare e gestire la crisi delle banche minori secondo le linee guida del Comitato, salvo che la relativa competenza sia avocata dallo stesso Comitato in ragione del necessario intervento del Fondo di Risoluzione.

La Resolution è un procedimento di ristrutturazione che, contrariamente a quanto apparentemente auspicabile dal nomen, non necessariamente porterà al salvataggio dell’intera impresa, quanto piuttosto alla sua liquidazione e al ripristino delle condizioni di solvibilità economica della sola parte sana della banca, per la quale si eviterà l’interruzione delle prestazioni dei servizi essenziali[6].

Apparentemente pacifico è il rapporto tra Resolution e liquidazione coatta amministrativa, che il legislatore definisce di alternatività, pur avendo esteso alla liquidazione coatta i presupposti della Resolution.

L’unico criterio di scelta cui la Banca d’Italia potrà appellarsi è la sussistenza di un pubblico interesse al conseguimento dei obiettivi di cui all’art. 31 della BRRD, che da sola legittimerebbe il ricorso alla nuova disciplina per la Risoluzione della crisi bancaria.

Si tratta, in ogni caso, di una scelta connotata da un margine di discrezionalità valutativa molto ampio, forse troppo se si considera che da ciò dipende l’attivazione di procedimenti in cui la governance pubblica entra prepotentemente ed irreversibilmente determinando un nuovo assetto di enti privati o per l’estinzione stessa dell’ente privato, senza che alcun margine di decisionalità sia rimesso ai proprietari dell’ente stesso.

Al ricorrere delle condizioni di accesso al procedimento di Resolution, le Autorità deputate all’attuazione del Piano (per l’Italia la Banca d’Italia) potranno servirsi di taluni strumenti di risoluzione, anche congiuntamente tra loro, così mantenendo un certo margine discrezionale sul quantum dell’intervento, purché l’azione sia ispirata al principio di non sovvertimento dell’ordine di sopportazione delle perdite che si produrrebbe secondo i principi di diritto comune e i contratti stipulati dall’intermediario[7].

In particolare, la Banca d’Italia potrà procedere alla vendita di una parte dell’attività d’impresa ad un acquirente privato reperito sul mercato, così espropriando di fatto non solo il patrimonio, ma la stessa persona giuridica titolare; il trasferimento temporaneo di attività e passività ad una bridge-bank costituita e gestita dall’Autorità, anche con la partecipazione di privati, per proseguire le funzioni sul mercato in vista della successiva vendita o liquidazione della stessa; il trasferimento delle attività deteriorate ad un veicolo di proprietà pubblica (bad bank), che provveda alla loro liquidazione; il bail in, ovvero lo strumento che comporta la svalutazione delle azioni e dei crediti e la conversione forzosa dei crediti in capitale per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca o la nuova entità che ne continui le funzioni essenziali, in modo da far ricadere i costi dell’intera operazione sugli azionisti e sui creditori, rimanendo, invece, indenni i contribuenti.

Proprio quest’ultimo strumento di risoluzione risulta essere il più controverso in ragione delle questioni di tutela dei creditori che la sua applicazione potrebbe far sorgere, benché consenta all’ente in dissesto, di cui può anche essere disposta la trasformazione della forma giuridica[8], di ripristinare la propria consistenza patrimoniale in tempi brevissimi e di rendersi nuovamente solvibile nel lungo periodo.

Il principio che ispira il bail in è quello di gerarchia: chi investe in strumenti finanziari più rischiosi, sarà maggiormente esposto alle perdite o alla conversione in azioni.

Sicché, l’ordine di priorità nella svalutazione o conversione forzosa dei crediti sarà dato da azionisti e detentori di altri strumenti di capitale, creditori subordinati, creditori chirografari, persone fisiche e PMI con depositi maggiori di €100.000, per la parte eccedente l’importo, al di sotto del quale la BRRD prevede l’integrale copertura dei sistemi di garanzia dei depositanti.

Insieme al SRM è stato anche istituito un Fondo di Risoluzione Unico (SRF), alimentato dai contributi delle stesse banche, non solo con la finalità di finanziare le misure di risoluzione (concessione di prestiti e rilascio di garanzie), ma anche di assorbire le perdite al posto dei creditori discrezionalmente esclusi dal bail in con provvedimento dell’Autorità procedente purché nel limite del 5% del totale passivo e sempre che il bail in sia stato applicato almeno all’8% delle passività totali e laddove “l’esclusione (sia) strettamente necessaria e proporzionata per evitare di provocare un ampio contagio, in particolare per quanto riguarda depositi ammissibili detenuti da persone fisiche e da PMI, che perturberebbe gravemente il funzionamento dei mercati finanziari, incluse le infrastrutture di tali mercati[9].

L’art. 49 del d.lgs. n. 180 del 16 novembre 2015, conformemente all’art. 44 della BRRD dispone, invece, che ad essere escluse dal meccanismo di svalutazione/conversione sono i depositi protetti dal sistema di garanzia dei depositi (cioè quelli fino ad €100.000), le passività garantite, le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela, anche in virtù di una relazione fiduciaria (cassette di sicurezza), le passività interbancarie (ad esclusione di quelle infragruppo) con durata inferiore a gg 7 e derivanti dalla partecipazione a sistemi di pagamento con durata residua inferiore a gg 7, i debiti verso dipendenti, commerciali, fiscali (se privilegiati secondo la normativa fallimentare).

L’art. 34 par. 1 lett. g) della BRRD stabilisce, però, un tetto massimo di responsabilità per i creditori, i quali non potranno sopportare perdite in misura superiore a quelle che avrebbero subito con la ordinaria procedura di liquidazione coatta (cd. “no creditor worse off principle”).

Tuttavia, laddove, in base ad una valutazione ex post, risulti che il bail in abbia trovato applicazione in misura eccedente rispetto a quanto necessario per garantire la risoluzione della crisi senza soluzione di continuità per i servizi essenziali prestati dall’intermediario, allora creditori e azionisti potranno chiedere usufruire del write- up dei propri diritti per la parte eccedente il necessario[10].

Questo essendo il quadro normativo vigente in materia di Resolution della crisi bancaria, emerge chiaramente come, a fronte della necessità di molti intermediari di provvedere alla ricapitalizzazione, questi corrano il rischio di una eccessiva esposizione al rischio di sovra indebitamento.

Il possibile scenario di un procedimento che miri alla conservazione dell’attività d’impresa con strumenti che incidono in via esclusiva sugli interessi di creditori ed azionisti, porta alla luce la questione della fiducia del cliente nel sistema bancario e finanziario, con possibili refluenze sulla stabilità dei mercati.

Un possibile rimedio è il rafforzamento degli oneri informativi in capo all’intermediario, benché non positivizzati, al fine di edurre l’azionista e il creditore circa il rischio cui sarebbero esposti in caso di bail in, soprattutto alla luce del fatto che tale strumento di risoluzione troverebbe applicazione anche con riguardo a rapporti contrattuali già sorti alla data dell’entrata in vigore dei decreti attuativi della BRRD.

D’altro canto, tali oneri troverebbero la propria ragion d’essere negli stessi obblighi di informazione della clientela e di trasparenza di cui all’art. 21 par. 1 lett. a) del TUF, contenente una clausola generale per cui i soggetti abilitati alla prestazione di servizi devono “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”.

 

[1] Art. 114 par. 1 TFUE.

[2] Al riguardo, il d.lgs. 181/2015 ha modificato il Titolo IV del TUB (Misure preparatorie, di intervento precoce e liquidazione coatta amministrativa).

[3] Si noti la sovrapponibilità dell’istituto de quo con quello di gestione provvisoria ex art. 76 TUB o con la stessa amministrazione straordinaria ex artt. 70 ss. TUB.

[4] Ex art. 32 BRRD: “1. Gli Stati membri provvedono a che le autorità di risoluzione possano avviare un’azione di risoluzione per un ente di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), solo se l’autorità di risoluzione ritiene soddisfatte tutte le condizioni seguenti: a) l’autorità competente, previa consultazione dell’autorità di risoluzione, o l’autorità di risoluzione, alle condizioni stabilite al paragrafo 2 e previa consultazione dell’autorità competente, ha stabilito che l’ente è in dissesto o a rischio di dissesto; b) tenuto conto della tempistica e di altre circostanze pertinenti, non si può ragionevolmente prospettare che qualsiasi misura alternativa per l’ente in questione, incluse misure da parte di un IPS, sotto forma di intervento del settore privato o di azione di vigilanza, tra cui misure di intervento precoce o di svalutazione o di conversione contrattuale degli strumenti di capitale pertinenti ai sensi dell’articolo 59, paragrafo 2, permetta di evitare il dissesto dell’ente in tempi ragionevoli; c) l’azione di risoluzione è necessaria nell’interesse pubblico a norma del paragrafo 5. 2. Gli Stati membri possono prevedere che, oltre all’autorità competente, anche l’autorità di risoluzione, previa consultazione dell’autorità competente, possa stabilire che l’ente è in dissesto o a rischio di dissesto ai sensi del paragrafo 1, lettera a), quando le autorità di risoluzione a norma del diritto nazionale dispongono degli strumenti necessari per stabilire in tal senso, in particolare un accesso adeguato alle informazioni rilevanti. L’autorità competente fornisce senza indugio all’autorità di risoluzione tutte le informazioni pertinenti che quest’ultima richiede al fine di elaborare la sua valutazione; 3. La precedente adozione di una misura d’intervento precoce ai sensi dell’articolo 27 non costituisce una condizione per mettere in atto un’azione di risoluzione”.

[5] Il Consiglio esprime un preventivo parere solo al fine di accertare la sussistenza del pubblico interesse o sulle modifiche all’intervento del Fondo, su proposta della Commissione.

Se il pubblico interesse non sussiste, l’ente è liquidato, mentre se il Consiglio approva la proposta di modifica dell’intervento del Fondo, il Comitato modifica il programma entro 8 ore.

[6] L’art. 31 BRRD enuncia gli obiettivi specifici della Resolution, che rivestono fra loro pari importanza e che sono “a) garantire la continuità delle funzioni essenziali; b) evitare effetti negativi significativi sulla stabilità finanziaria, in particolare attraverso la prevenzione del contagio, anche delle infrastrutture di mercato, e con il mantenimento della disciplina di mercato; c) salvaguardare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario; d) tutelare i depositanti contemplati dalla direttiva 2014/49/UE e gli investitori contemplati dalla direttiva 97/9/CE; e) tutelare i fondi e le attività dei clienti”.

[7] Ex art. 34 BRRD i principi della risoluzione sono:” a) gli azionisti dell’ente soggetto a risoluzione sopportano per primi le perdite; b) i creditori dell’ente soggetto a risoluzione sostengono le perdite dopo gli azionisti, secondo l’ordine di priorità delle loro pretese con procedura ordinaria di insolvenza, salvo espresse disposizioni contrarie a norma della presente direttiva; c) l’organo di amministrazione e l’alta dirigenza dell’ente soggetto a risoluzione sono sostituiti, salvo i casi in cui il mantenimento della totalità o di parte dell’organo di amministrazione e dell’alta dirigenza, a seconda delle circostanze, sia considerato necessario per conseguire gli obiettivi di risoluzione; d) l’organo di amministrazione e l’alta dirigenza dell’ente soggetto a risoluzione fornisce tutta l’assistenza necessaria per conseguire gli obiettivi della risoluzione; e) le persone fisiche e giuridiche sono tenute a rispondere, subordinatamente al diritto dello Stato membro, a norma del diritto civile o penale, delle loro responsabilità per il dissesto dell’ente; f) salvo disposizione contraria nella presente direttiva, i creditori di una stessa classe ricevono pari trattamento; g) nessun creditore sostiene perdite più ingenti di quelle che avrebbe sostenuto se l’ente o l’entità di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), c) o d), fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza conformemente alle salvaguardie di cui agli articoli da 73 a 75; h) i depositi protetti sono interamente salvaguardati”.

[8] Si tratta anch’essa di una scelta forzosamente determinata dall’Autorità nazionale competente ed è, perciò, “blindata” dall’inapplicabilità delle norme sul diritto di recesso del socio ex artt. 2437 e 2497quater c.c.

[9] Considerando n. 72 della BRRD.                                       

[10] L’art 75 della BRRD, rubricato “salvaguardia per azionisti e creditori” prevede che: “gli Stati membri provvedono a che, qualora dalla valutazione effettuata a norma dell’articolo 74 emerga che qualsiasi azionista o creditore di cui all’articolo 73, o il sistema di garanzia dei depositi conformemente all’articolo 109, paragrafo 1, hanno subito perdite maggiori di quelle che avrebbero subito in una liquidazione con procedura ordinaria di insolvenza, essi abbiano il diritto a incassare la differenza dai meccanismi di finanziamento della risoluzione”.

Torna indietro