Competenze ed Industry 4.0: come la tecnologia ha cambiato il modo di lavorare
Le competenze necessarie nell'Industry 4.0
Citando Virgilio “Tutto vince il lavoro assiduo, e la necessità sprona nei momenti difficili”(1) nelle Georgiche si parla già di necessità e lavoro, che allora era chiaramente svolto totalmente in modalità manuale. Oggi molte cose sono cambiate: le società del XXI secolo sono infatti caratterizzate dalla crescente necessità di saperi, competenze e beni immateriali. Siamo nel secolo della conoscenza, che è diventata sempre più spesso un fattore distintivo, capace di portare conseguenze in tutti i contesti socio-economici. Nei tempi recenti infatti, dove scienza e tecnologia hanno trovato applicazione nei processi produttivi, il lavoro è diventato immateriale, sempre meno “opera” e sempre più servizio.
Anche le competenze dei lavoratori si sono evolute: si è passati dalle capacità di maneggiare attrezzi e utensili, alle capacità di programmazione e controllo di macchine sempre più evolute. Una grande rivoluzione si è avuta proprio all’interno degli uffici: manager e impiegati hanno dovuto imparare ad utilizzare computer e tutti gli strumenti di comunicazione che hanno interessato i nostri spazi di lavoro. Parlare oggi di competenze Industry 4.0(2) significa dunque abbracciare un tema che ha assunto, nel tempo, connotazioni sempre più ampie e complesse. Oggi la quarta rivoluzione industriale ci mostra uno scenario in cui i sistemi tecnologici fanno strutturalmente parte di tutti i settori e di tutte le tipologie aziendali, non si tratta solo di sistemi e processi di produzione con elevati livelli di automazione, ma anche di processi di elaborazione e analisi di grandissime quantità di dati, di possibilità eccezionali in termini di comunicazione, condivisione e collaborazione.
Quali sono dunque le competenze necessarie per affrontare questo scenario? Come è possibile acquisirle? Possiamo certamente distinguere tra competenze tecnico/scientifiche e soft skills.
Secondo una ricerca del 2018 dell’osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano, sono cinque le aree aziendali nelle quali possiamo individuare le competenze chiave:
- nell’area Operations sono emerse le competenze quali la capacità di migliorare i processi, la pianificazione e il controllo e la capacità di gestire risorse smart;
- in quella della Supply Chain sono poste in evidenza l’innovazione di business e la gestione;
- nell’area Product service development hanno un ruolo importante l’innovazione di prodotto/processo, la progettazione smart e l’utilizzo di digital e virtual;
- in quella della Data Science sono emerse come rilevanti competenze quali il data management e il data analysis.
Riguardo le soft skills secondo la ricerca “The future of the job”, presentata nel 2016 al World Economic Forum, nel 2020 il problem solving sarà la competenza più ricercata, assieme al pensiero critico e alla creatività. La tecnologia ha cambiato così radicalmente il modo di vivere e di lavorare che non possiamo permetterci di parlare solo di competenze, ma occorre far riferimento a concetti quali cultura e attitudini. Se guardiamo agli strumenti di comunicazione e di condivisione delle informazioni che sono di comune utilizzo negli uffici, ci rendiamo conto che non abbiamo solo il problema di formare le persone all’utilizzo di strumenti, ma occorre aiutarle nell’evolvere il loro modo di lavorare, il loro modo di pensare all’ “altro”, in ottica di processi lavorativi e di scambio di risorse, di dati e di informazioni.
I Millenials, ad esempio, hanno una predisposizione naturale alla condivisione e alla destrutturazione dell’informazione, per cui fanno meno fatica ad entrare in una dinamica di lavoro dove utilizzano strumenti finalizzati al data sharing. In particolare quelli nati negli anni ’90 amano la tecnologia, non vedono il cambiamento come una minaccia, hanno fiducia in sé stessi e su questa basano la loro costante ricerca di nuove esperienze e di crescita professionale, prima che economica. Inoltre, non amano gerarchie, procedure, burocrazia, preferiscono ambienti di lavoro informali, collaborativi dove possono interagire facilmente e in modo efficiente (meno riunioni, più interazioni focalizzate, anche digitali sfruttando i social) con persone parte del network organizzativo in possesso delle competenze professionali migliori per affrontare un problema o gestire un progetto. Compatibilmente con il tipo di lavoro svolto, il tempo e lo spazio di lavoro devono essere definiti e più basati sulla libera organizzazione delle persone che, guidate da un team leader autorevole, sapranno assicurare il raggiungimento del risultato attraverso l’attivazione del network di competenze posseduto dal team. In questa ottica acquistano valore sistemi di flessibilità oraria, job sharing, smart working. Ma soffermiamoci su questa modalità di lavoro che sta prendendo piede nel nostro paese, soprattutto in quest’ultimo anno a causa della pandemia: ma cosa è lo Smart Working?
In Italia il “lavoro agile” è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante un accordo tra le parti, senza particolari vincoli orari o di luogo di lavoro e con forme di organizzazione che possono essere definite per obiettivi, fasi o cicli. La possibilità dell'utilizzo di strumenti tecnologici per svolgere l'attività lavorativa è certamente punto di connessione con il telelavoro, la cui definizione possiamo ritrovarla se pur relativa al lavoro pubblico nel D.P.R. 8 marzo 1998, n.70 come una forma di lavoro a distanza, su accordo stipulato con l'azienda, grazie al quale il dipendente può svolgere la propria prestazione in un luogo differente da quello che normalmente si presta allo svolgimento del lavoro, tramite l'utilizzo di strumenti e canali telematici, seguendo un orario di lavoro definito precedentemente. L’orario è dunque proprio l’elemento distintivo che lo differenzia dallo Smart Working: il controllo del lavoro si deve infatti spostare dalla quantità di tempo lavorato ai risultati conseguiti. Molte aziende hanno adottato le modalità cosiddette agili, creando talvolta non poca confusione tra i nuovi “Nomadi digitali(3) da Pandemia”, rimasti orfani della propria prestazione e costretti a riunioni in videoconferenza, problemi di connessione e soprattutto ad una dura riflessione sul proprio ruolo all'interno dell'ufficio, su l'imprescindibilità delle relazioni sociali che intercorrono tra i colleghi e con i clienti.
Analizzando le risposte di alcuni lavoratori intervistati(4), i quali hanno sperimentato un diverso modo di lavorare nell'ultimo anno, sebbene in sostanza si sia trattato di telelavoro si evince che indubbiamente il lavoro agile porta con sé numerosi vantaggi quali la gestione del proprio tempo, riduzione dello stress e prestazioni migliori, ma spesso il rovescio della medaglia ci parla anche di un senso di solitudine e alienazione che molti dei lavoratori da remoto provano nel senso di isolamento delle proprie abitazioni. Inoltre, traspare uno smarrimento generale rispetto alla modalità di svolgimento del proprio lavoro. Quello che manca sembrerebbe essere proprio la cultura del lavoro “smart”. Capire infatti il significato dello Smart Working non è immediato e nemmeno intuitivo, più facile è confonderlo con altre tipologie di lavoro da remoto. Fondamentale infatti è la definizione di un accordo tra lavoratore e datore di lavoro, che prevede ad esempio gli obblighi di reperibilità telefonica, il suo conseguente diritto alla disconnessione e i criteri per la misurazione produttività e obiettivi.
La domanda che ogni azienda dovrebbe porsi è quanto realmente i propri lavoratori siano informati circa la disciplina dello Smart Working? E quanto le stesse aziende siano pronte a far fronte alle problematiche derivanti? L’ufficio del personale dovrebbe occuparsi di ricreare una sinergia all’interno dell’ambiente di lavoro: da un lato dovrebbe garantire l’equità dei sistemi di controllo e valutazione per la crescita dei propri lavoratori e dall’altro deve diventare il fautore di iniziative e pratiche di collaborazione, comunicazione e condivisione di esperienze per sopperire alla mancanza “fisica” dei colleghi. Il futuro dei professionisti HR è proprio questo.
(1) Virgilio, Georgiche, Libro I
(2) Lavorare nelle risorse umane, competenze e formazione 4,0, Giuditta Alessandrini, Armando Editore, 2019.
(3) Minimalismo Digitale, Rimettere a fuoco la propria vita in un mondo pieno di distrazioni, Carl Newport, ROI edizioni, 2019.
(4) Intervista realizzata su un campione di lavoratori che hanno svolto la loro prestazione durante la pandemia in modalità Smart Working.
Bibliografia
- Alessandrini, G. (2019). Lavorare nelle Risorse Umane, competenze e formazione 4.0. Armando Editore.
- Newport, C. (2019). Minimalismo Digitale, Rimettere a fuoco la propria vita in un mondo pieno di distrazioni. Roi.
- Virgilio. (s.d.). Georgiche, Libro I.
A cura di S. Iannaccone, Al. Tregambi, B. Cassaniti e C. Ciavardini (partecipanti dell'Executive Master in Risorse Umane e dell'Executive Master in Direzione del Personale)
Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Gestione del Personale.
Ultima modifica il 12/04/2021
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