Covid-19 e 231: comprendiamo le effettive -eventuali- responsabilità degli enti.
A cura dell' Avv. V. Silvetti, MSP Legal
Il tema è stato sviscerato più e più volte in questi mesi. La finalità di tale contributo non sarà pertanto quella di tracciare il perimetro normativo all’intento del quale muoversi, poiché possiamo -ormai- darlo per scontato (Codice civile, Testo Unico salute e sicurezza e art. 25-septies del D.Lgs. n. 231/2001).
Un aspetto che tuttavia si vuole segnalare poiché utile, ai fini pratici, è il profilo soggettivo dei lavoratori da dover considerare. In altri termini occorre chiedersi se possiamo considerare “lavoratore”:
- il tirocinante;
- l’apprendista;
- lo stagista;
- i collaboratori saltuari;
- i lavoratori di ditte esterne/appaltatori/subappaltatori;
- gli allievi;
- il collaboratore familiare;
- i lavoratori “in nero”;
- il committente;
- e gli estranei…
La risposta è certamente positiva e la sua fonte la si rintraccia per la maggior parte all’intento dell’art. 2 del T.U. 81/2008 e per le restanti categorie (di fatto limitate ai lavoratori irregolari, committenti e estranei) da precedenti giurisprudenziali. Come sempre occorre, invero, muoversi rintracciando la ratio del Legislatore (la “via maestra” che ci permette di non perdere la rotta tra i meandri delle disposizioni che talvolta -in prima battuta- possono sembrare confusionarie, nonché contraddittorie tra loro). Ebbene la “ratio”, nel caso di specie, è infatti quella di dover tutelare la persona fisica, indipendentemente dalla sua qualifica, dalla tipologia di rapporto che la lega con l’organizzazione e con il Datore di lavoro.
Ci si preoccupa, dunque, della sostanza e non della forma.
Tanto che, come si accennava, la Corte di Cassazione ha ritenuto responsabile un datore di lavoro per il decesso di un bambino di nove anni entrato all’interno di in un cantiere tramite un varco nella recinzione. Salito su un solaio, il bimbo precipitava attraverso un lucernaio. I giudici di merito, in tale sede, condannavano il datore dell’impresa esecutrice dei lavori, precisando che le misure di prevenzione antinfortunistiche sono poste a tutela anche delle persone estranee, il cui ingresso in un cantiere, vicino alla strada pubblica e in un quartiere popoloso, è prevedibile. Il giudice di legittimità, nel confermare la condanna, ribadiva che la qualità di estraneo non è di per sé incompatibile con l’esistenza di un dovere di protezione in carico al datore[1].
Compreso, dunque, lo scenario soggettivo all’interno del quale muoversi in materia di salute e sicurezza occorre rilevare la frenesia normativa che ha caratterizzato, tra le altre, il periodo di lockdown dovuto alla pandemia. Di seguito uno schema riassuntivo che ne fotografa lo scenario.
I provvedimenti attualmente vigenti |
Hanno cessato la loro efficacia: |
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Decreto-legge 16 giugno 2020, n. 52 |
Dpcm 10 aprile 2020 |
Dpcm 11 giugno 2020 |
Dpcm 1 aprile 2020 |
Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 |
Dpcm 22 marzo 2020 |
Dpcm 18 maggio 2020 |
Dpcm 11 marzo 2020 |
Dpcm 17 maggio 2020 |
Dpcm 9 marzo 2020 |
Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 |
Decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14 |
Dpcm 12 maggio 2020 |
Dpcm 8 marzo 2020 |
Decreto-legge 10 maggio 2020, n. 30 |
Decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11 |
Decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 |
Dpcm 4 marzo 2020 |
Decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 |
Decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 |
Dpcm 26 aprile 2020 |
Dpcm 1 marzo 2020 |
Dpcm 10 aprile 2020 |
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Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 |
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Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22 |
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Decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 |
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Decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 |
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Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 |
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Decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 |
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Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 5 marzo 2020, n. 13 |
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Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020 |
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Ordinanza del Ministro della salute 30 gennaio 2020 |
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Concentrandoci su quanto di nostro interesse, occorre considerare il DPCM del 22 marzo, art. 1, co. 3 (non più in vigore) che richiamava il rispetto dei contenuti del Protocollo condiviso tra Governo e Parti sociali del 14 marzo e il DPCM del 26 aprile (questo ancora vigente), che richiama il rispetto dei contenuti del Protocollo condiviso tra Governo e Parti sociali del 24 aprile.
Il primo passaggio fondamentale di questa versione -aggiornata- del Protocollo è la disciplina della mancata attuazione delle misure in esso contenute, poiché nella prima versione non era presente alcuna previsione al riguardo. Nell’attuale si legge:
Il Protocollo elenca tredici misure di precauzione rappresentative del grado di tutela minimo che ogni realtà lavorativa deve garantire all’interno degli ambienti di lavoro, così articolate:
- informazione;
- modalità di ingresso in azienda;
- modalità di accesso dei fornitori esterni;
- pulizia e sanificazione in azienda;
- precauzioni igieniche personali;
- dispositivi di protezione individuale;
- gestione spazi comuni (mensa, spogliatoi, aree fumatori, distributori di bevande, etc);
- organizzazione aziendale (trasferte, turnazione, smart work, etc);
- gestione entrata e uscita dipendenti;
- spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione;
- gestione di una persona sintomatica in azienda;
- sorveglianza sanitaria/medico competente/RLS;
- aggiornamento del protocollo di regolamentazione.
Consideriamo, inoltre, che tali presidi ben potranno essere integrati con altri, equivalenti o più incisivi, secondo le peculiarità della singola organizzazione, ma certamente non disattesi. E ciò non solo per via della possibile sospensione dell’attività di cui si è detto, piuttosto perché l’art. 29-bis del DL n. 23/2020, poi convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40 ha specificatamente previsto che il rispetto delle predette misure è da considerarsi quale adempimento per il datore di lavoro, idoneo a soddisfare le richieste dell’art. 2087 c.c..
La disposizione, come si ricorderà, è stata oggetto di forte dibattito e ha avuto forte risonanza mediatica, stante le preoccupazioni del mondo imprenditoriale per il riavvio delle attività, come da Fase2. Ciononostante, lo scrivente si colloca tra quella parte della dottrina che riteneva, nei fatti, discutibile una previsione di tale portata, non tanto per il contenuto, quanto per la ratio giuridica. In altri termini, infatti, ci si è interrogati sulla necessità di tale precisazione, oltre che della legittimità del c.d. “scudo penale”, che tuttavia, per come è formulata la disposizione può considerarsi un pericolo scampato.
A ben guardare infatti, da un punto di vista penalistico, l’addebitabilità di una positività è comunque subordinata all’onere della prova posta a carico del Pubblico Ministero. Sarà l’Ufficio della Procura a dover accertare:
- la condotta antigiuridica (c.d. profilo oggettivo);
- il profilo soggettivo (prevedibilità ed evitabilità dell’evento) e soprattutto;
- il nesso di causalità tra violazione ed evento.
Quanto al nesso causale, il Pubblico Ministero dovrà dimostrare che l’omissione ascrivibile al datore di lavoro sia stata causa del contagio e che lo stesso abbia poi determinato l’infezione che, nella peggiore delle ipotesi, ne ha causato il decesso.
La c.d. probatio diabolica sarà, dunque, legare l’eventuale omissione del datore alla causa del contagio.
Agevole, invero, immaginare che lo stesso lavoratore abbia anche una vita sociale e che l’infezione possa esser derivata da contesti distinti dal luogo di lavoro.
Tale riflessione, ovviamente, perde di significato per alcuni casi -divenuti di cronaca giudiziaria- che hanno interessato:
- Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA);
- Ospedali e/o più in generale strutture sanitarie;
- Organizzazioni con più lavoratori contagiati.
In tali contesti, infatti, sarà più semplice ricondurre le molteplici positività ad una condotta “disattenta” da parte del datore di lavoro.
In questo scenario deve calarsi il sistema 231 e la sua inversione dell’onere della prova di cui all’art. 6 del citato Decreto. Ed è per questo che, non il modello, ma l’intero “sistema 231” dovrà funzionare e aver reagito con la giusta determinatezza, mettendo in campo tutte le sue articolazioni, quali:
- una appendice specifica per recepire i contenuti dei protocolli;
- aver avviato flussi comunicativi con il Medico Competente, RSPP e/o Consulente in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
- aver integrato i flussi informativi in modo da ricevere aggiornamenti e notizie utili alla materia in questione.
Sarà fondamentale, ex post, poter riuscire a dimostrare che:
- il modello è stato aggiornato (seppur non direttamente) per fronteggiare il rischio Covid-19;
- i lavoratori (a mente della individuazione soggettiva con cui tale contributo ha preso avvio) sono stati informati, formati e tutelati;
- l’OdV ha avuto modo di interloquire con le funzioni aziendali di riferimento (Medico competente, RSPP, RLS e altre figure consulenziali);
- l’OdV ha verificato il rispetto dei contenuti del protocollo con proprie verifiche.
In tal senso, l’Organismo ben potrebbe utilizzare una check-list che, nel ricalcare le previsioni del protocollo, ne concretizzerebbe i contenuti, ponendo l’organizzazione dinanzi a possibili/eventuali criticità. Il documento acquisirebbe, altresì, una indiscutibile utilità in termini di onere della prova ex post e di input ad azioni di miglioramento. A mero titolo esemplificativo, senza presunzione alcuna di esaustività ma quale spunto riflessivo, si offre il contenuto che segue.
Check-List di verifica dell’attuazione
del Protocollo 24 Aprile 2020
1) l’azienda ha fornito informazione ai lavoratori circa:
- possibilità di precludere loro l’accesso all’interno del perimetro aziendale in caso di temperatura corporea superiore ai 37,5°;
- vietarne l’accesso, all’intento del perimetro aziendale, in caso di contatti -avvenuti negli ultimi 14 giorni- con soggetti risultati positivi al Covid-19, o di persona proveniente da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS;
- il rispetto di tutte le direttive impartite dalla società (regole di accesso, mantenimento delle distanze di sicurezza, utilizzo dei DPI);
- il dovere di informare immediatamente il datore o altra risorsa aziendale designata della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durate l’espletamento dell’attività lavorativa;
- invio della certificazione medica prima del rientro in ufficio in caso di pregressa positività;
2) l’azienda ha fornito informazione ai soggetti terzi (clienti, fornitori, collaborati, consulenti, partner) circa:
- possibilità di precludere l’accesso all’interno del perimetro aziendale in caso di temperatura corporea superiore ai 37,5°;
- vietarne l’accesso all’interno del perimetro aziendale in caso di contatti -avvenuti negli ultimi 14 giorni- con soggetti risultati positivi al Covid-19, o di persona proveniente da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS;
- percorsi di ingresso, transito e uscita mediante percorsi dedicati al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici dell’organizzazione;
- l’utilizzo di servizi igienici a loro dedicati;
3) l’azienda ha stabilito flussi comunicativi con aziende terze (appaltanti e/o committenti) in caso di positività di loro personale venuto in contatto con quello della propria organizzazione;
4) ove l’azienda sia situata nelle aree geografiche a maggior rischio di contagio, sono state predisposte al momento della riapertura, in aggiunta alle ordinarie attività di pulizia, misure di sanificazione straordinaria degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni;
5) il datore di lavoro ha provveduto alla mappatura delle diverse attività in azienda, al fine di individuare i dispositivi di protezione individuale (DPI) più idonei, in un’ottica di valutazione complessiva del rischio;
6) il datore di lavoro ha predisposto linee guida per l’utilizzo delle aree comuni dell’azienda, quali il contingentamento degli accessi, la ventilazione continua, la riduzione dei tempi di sosta, la sanificazione degli spogliatoi, la sanificazione giornaliera e periodica;
7) nella fase di riattivazione del lavoro (pur essendo ancora favorito l’utilizzo dello smart working), nel rispetto del distanziamento sociale imposto, sono state tentate soluzioni innovative come il riposizionamento delle postazioni, la turnazione del personale;
8) sono stati scaglionati gli orari di ingresso e di uscita del personale, possibilmente distinguendone anche i locali;
9) il personale è stato adeguatamente formato circa l’utilizzo di strumenti di collegamento a distanza, per quanto riguarda le riunioni, le attività formative, incontri, presentazioni, ecc. (salvo il ruolo specificamente rivestito non ne consenta l’espletamento);
10) i lavoratori sono stati istruiti sulla necessità di comunicare con l’ufficio del personale l’avvertenza di potenziali sintomi da infezione. Il datore di lavoro si è inoltre organizzato in maniera tale che per il tempo di isolamento del lavoratore, in attesa del personale sanitario, lo stesso venga dotato di presidi individuali di protezione, ove ne fosse sprovvisto;
11) al momento della riattivazione del lavoro, è stato coinvolto il personale medico per l’identificazione del personale con situazioni di fragilità e per il reinserimento di personale con pregressa infezione da Covid-19, al fine di valutare la necessità di implementare le misure di protezione;
12) per l’applicazione e la verifica dell’osservanza del Protocollo, è stato istituito in azienda un apposito Comitato interno, ovvero si sono assunti contatti con il Comitato Territoriale competente;
13) l’azienda ha avuto casi positivi e nel caso come sono stati gestiti. Prima del rientro in ufficio l’azienda ha ricevuto idonea certificazione medica attestante la guarigione e la possibilità di rientrare operativo in azienda;
14) l’azienda ha avviato un flusso comunicativo periodico con il proprio medico competente;
15) il DVR è stato aggiornato considerando il rischio biologico Covid-19 e la Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020.
La Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020, a parere dello scrivente, pone infatti fine ad altra nota e dibattuta questione che in questi mesi si era sviluppata attorno alla necessità di aggiornare il DVR a seconda della tipologia di attività e al consequenziale rischio biologico già insito nella stessa organizzazione. Indipendentemente dalla citata Direttiva, anche in questo frangente, si è ritenuto di valorizzare gli aspetti sostanziali rispetto a quelli formali, come peraltro suggerito dai provvedimenti che nel corso del tempo sono stati pubblicati, prima dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro[2] e poi dall’INAIL[3].
[1] Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 43168/2014.
[2] Cfr. il documento "Adempimenti datoriali - Valutazione rischio emergenza coronavirus”, con nota n. 89 del 13 marzo pubblicata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
[3] Cfr. il “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”, pubblicato dall’INAIL, aprile 2020 raggiungibile al link https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-pubbl-rimodulazione-contenimento-covid19-sicurezza-lavoro.pdf.
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