Il Titolo II, Capo I, del D.Lgs. 74 del 2000 disciplina i delitti in materia di dichiarazione: un esame della normativa a livello teorico.

A cura della Dott.ssa Cristina Apice, partecipante dell'Executive Master in Diritto Penale Tributario.


Il Titolo II, Capo I, del D.Lgs. 74 del 2000 disciplina i delitti in materia di dichiarazione, c.d. delitti dichiarativi, caratterizzati dal dolo specifico, ossia dal fatto che un soggetto agisca per un determinato fine, anche se questo non viene realizzato. In tale contesto risulta, pertanto, sufficiente il voler intenzionalmente e consapevolmente sottrarsi al pagamento delle imposte compiendo azioni in tal senso, indipendentemente dal raggiungimento dello scopo. Ciò può avvenire mediante:

  • dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3)
  • dichiarazione infedele (art.4)
  • omessa dichiarazione (art. 5)

L’articolo 2 del D.lgs. 74 del 2000 prevede la reclusione da quattro a otto anni per colui che si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti inserendoli in dichiarazione. Il fatto si considera commesso quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria. Se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore ad euro 100.000, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni (ipotesi attenuata applicabile dal 26.10.2019). È opportuno considerare che se i suddetti documenti esistono, ma non vengono inseriti in dichiarazione, il delitto dichiarativo non si configura. Si tratta di una condotta prodromica o strumentale rispetto alla dichiarazione fraudolenta, condotta di per sé non prevista come reato.

L’art. 3 disciplina la dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di altri artifici con reclusione da tre a otto anni. Le condizioni sono il superamento della soglia evasa abbassato ad euro 30.000 (prima euro 77.468) unitamente all’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, il quale deve essere superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque superiore ad euro 1.500.000 (il limite precedente era euro 1.549.370), ovvero l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, deve essere superiore al 5% dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque ad euro 30.000.

È stato eliminato il riferimento espresso alla “falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie”: esso rappresenta solo una possibilità e il raggio di operatività viene ampliato.

Chiaramente, non sono considerati mezzi fraudolenti la semplice violazione degli obblighi di fatturazione oannotazione degli elementi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori al reale.

La giurisprudenza più recente è concorde sul fatto che sia il falso ideologico (es. fattura riportante un contenuto falso), sia il falso materiale (es. fattura contraffatta) integrano il reato.

Occorre ora distinguere i casi di fatture oggettivamente false da quelli di fatture soggettivamente false.

  • Le fatture oggettivamente false sono fatture in cui viene riportata un’operazione, sia essa una cessione di beni o una prestazione di servizi, che in realtà non è mai stata realizzata;
  • contrariamente, le fatture soggettivamente inesistenti riguardano fatture per operazioni concretamente poste in essere, ma da soggetti differenti rispetto a quelli indicati nei documenti. Si pensi al caso delle frodi carosello, ma anche al più semplice caso in cui due professionisti collaborano tra loro e, a fine anno, uno dei due richiede all’altro di emettere fattura, sostituendosi a lui, per una consulenza realmente avvenuta, al fine di non fuoriuscire dal regime forfettario.

È importante rilevare anche quanto disposto dall’art. 8, il quale disciplina l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, punita con la reclusione da quattro a otto anni. L'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nello stesso periodo di imposta si considera come un unico reato e se l’importo degli elementi fittizi non supera euro 100.000 si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

La normativa si riferisce non solo a fatture, bensì ad autofatture, schede carburante, note di credito e debito. Il reato si configura nel momento in cui il documento viene emesso o rilasciato rilevando, quindi, la consegna al terzo, il quale ne rappresenta il potenziale utilizzatore. Se quest’ultimo decidesse di non utilizzare il suddetto documento, la condotta sarebbe ugualmente integrata, in quanto si è in presenza di un reato istantaneo.

In merito al concorso di persone nei reati di emissione e di utilizzo di fatture false, in deroga all'articolo 110 del codice penale, con l’art. 9 del D. Lgs. 74 del 2000 il Legislatore tiene distinte le due casistiche garantendo che la sanzione penale non colpisca due volte lo stesso soggetto per lo stesso fatto, escludendo così il principio del bis in idem. La ratio della norma risiede nel fatto di voler evitare che l’utilizzo di fatture/documenti per operazioni inesistenti da parti di colui che li ha ricevuti possa integrare anche il concorso nell’emissione degli stessi e, viceversa, che l’emittente possa rispondere anche per l’utilizzo (si veda in tal senso la Cassazione n. 41124 del 2019). Ciò, chiaramente, vale nel caso in cui i documenti emessi e poi utilizzati siano gli stessi, mentre in caso di operazioni differenti non è precluso il concorso nei due reati (Cassazione n.31332 del 2011). L’art. 9 non trova, invece, applicazione nel caso in cui il soggetto emittente sia anche l’utilizzatore delle fatture/documenti in dichiarazione: infatti, la Cassazione n. 544 del 2017, ha ritenuto che in suddetti casi, il soggetto è direttamente artefice di entrambe le condotte e, pertanto, si ritiene giustificata la duplice condanna.

Inoltre, possono rispondere a titolo di concorso nel reato, anche i soggetti terzi che hanno preso parte alla realizzazione dell’illecito.

Potrebbe capitare il caso in cui tra l’emittente e l’utilizzatore si frapponga un soggetto intermediario, ad esempio una cartiera. In tale situazione è escluso il concorso tra i due reati: infatti, parte della dottrina sostiene che il reato di utilizzo inglobi anche quello di emissione, in quanto, realizzando la fattispecie di cui all’art. 2 “l’offesa raggiunge il massimo grado di gravità”.

Inoltre, è bene comprendere quando il professionista è chiamato in concorso nei delitti commessi dal proprio cliente. È sufficiente un mero consiglio, la trasmissione della dichiarazione o il versamento delle imposte per chiamare in concorso il professionista nel caso in cui da tali operazioni emerga un illecito? La risposta è negativa. Il professionista/consulente concorre solo nel caso in cui la sua condotta sia stata caratterizzata da piena coscienza e volontà nel commettere l’illecito. Secondo la Cassazione n. 19335 del 2015 è sufficiente dimostrare il dolo generico, senza che rilevi il motivo che ha spinto il professionista ad agire in tal senso. Pertanto, una condotta colposa dovuta, ad esempio, alla commissione di errori materiali o concettuali derivanti da imperizia o negligenza non può portare al concorso del professionista. Quest’ultimo, infatti, risponde in concorso solamente quando ha volutamente e consapevolmente suggerito, appoggiato o aiutato il proprio cliente a realizzare l’illecito. A tal proposito, il contributo fornito dal professionista può essere sia materiale che morale. Nel primo caso, il consulente si adopera in prima persona, con tanto di dolo, nel compimento dell’illecito, ad esempio inviando dichiarativi che riportano elementi passivi fittizi di cui è a conoscenza, oppure aiutando il cliente camuffare documenti riportanti gravi violazioni contabili, mentre nel secondo caso, il professionista fornisce direttive e istruzioni su come commettere l’illecito.

Per quanto riguarda la deroga di cui all’art. 9, la stessa si estende anche al professionista che funge da intermediario all’emittente o all’utilizzatore. È, però, possibile che il professionista risponda a titolo di concorso in una delle due fattispecie e, nel caso in cui partecipi sia all’emissione che all’utilizzo di fatture o documenti per operazioni inesistenti, risponderà in concorso per due reati distinti.

La nuova aggravante dell’intermediario correo prevista dal D.lgs. 158 del 2015, all’art. 13-bis comma 3 ha previsto che:

Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale”.

Con modelli di evasione si intendono artifici, stratagemmi, ricorso a particolari istituti quali i trust, elaborati dal consulente e che si caratterizzano per un elevato grado di complessità e conoscenze tecniche per metterli in atto.

Infine, occorre rilevare che la causa di non punibilità di cui all’art 13, comma 2 del D.Lgs. 74 del 2000 è stata estesa anche ai casi di dichiarazione fraudolenta: pertanto, tali reati non saranno punibili se è avvenuto l’integrale pagamento del debito tributario, comprensivo di interessi e sanzioni, prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. In occasione del Telefisco 2020, l’Agenzia delle Entrate ha confermato la possibilità di utilizzare il meccanismo del ravvedimento operoso, ritenendo superato quanto indicato nella circolare n. 180/97, la quale escludeva tale ipotesi.

Esaminata la normativa a livello teorico, nella seconda parte si procederà ad un’analisi dal taglio più pratico.

Bibliografia

  • Codice Penale
  • D.lgs. 74 del 2000
  • Cassazione n. 41124 del 2019
  • Cassazione n.31332 del 2011
  • Cassazione n. 544 del 2017
  • Cassazione n. 19335 del 2015
  • D.lgs. 158 del 2015
  • Circolare n. 180/97

Ultima modifica il 21/03/2022