Fideiussioni Omnibus alla luce della sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 41994 del 2021
Il presente lavoro analizzerà di seguito, seppur brevemente, la natura giuridica dei contratti di fideiussione omnibus, gli approdi giurisprudenziali sino all’arresto del Supremo Consesso a Sezioni Unite con la pronuncia n. 41994 del 2021
A cura del Dott. Gennaro Vergara, partecipante dell' Executive Master in Diritto Tributario e Contenzioso.
Sulla natura giuridica e sulla disciplina del contratto di fideiussione omnibus
La fideiussione omnibus è un contratto di garanzia, diffusosi nella prassi bancaria e con referente normativo nell’art. 1938 c.c., mediante il quale il fideiussore si impegna a garantire l’adempimento di tutte le obbligazioni, presenti e future, che il debitore principale ha assunto o assumerà nei confronti del creditore, in forza di un contratto di apertura di credito. Tale figura costituisce un’interpolazione convenzionale della garanzia fideiussoria ordinaria e da questa si discosta per la presenza di clausole derogatrici della disciplina codicistica idonee ad attribuire alla garanzia un contenuto e una funzione ulteriore.
La fideiussione omnibus è connotata, in particolare, dalla clausola c.d. omnibus, in forza della quale il fideiussore garantisce l’adempimento di tutte le obbligazioni che il debitore ha assunto e assumerà in futuro nei confronti del creditore. La fideiussione omnibus presenta i lineamenti di una forma di garanzia “in divenire”, connessa causalmente a un rapporto obbligatorio principale anch’esso in fieri.La ratio dell’istituto giuridico risiede nell’esigenza di garantire la speditezza dei traffici giuridici, rafforzando l’interesse del creditore all’attuazione del suo diritto, attraverso l’estensione della garanzia patrimoniale.
Tale costruzione contrattuale ha generato diversi dubbi di legalità, stante il notevole aggravio della posizione del garante, il quale è esposto al pagamento di un debito non determinabile ex ante, in contrasto con il disposto di cui all’art. 1346 - che individua nei requisiti essenziali dell’oggetto del contratto, tra gli altri, quello riconducibile alla determinatezza - nonché applicabile ad ogni operazione derivante dal rapporto originario. Tuttavia, la giurisprudenza ha confermato la validità di tale schema contrattuale, precisando che l’oggetto del contratto, sia pur non determinato, sarebbe determinabile per relationem sulla base di operazioni il cui compimento è sottratto al mero arbitrio della banca, in quanto questa è soggetta alle specifiche disposizioni, anche pubblicistiche, che regolamentano l’attività creditizia, nonché ai doveri di correttezza e buona fede ai quali deve attenersi il comportamento delle parti nell’esecuzione di ogni contratto.
A sopire le perplessità di una parte della dottrina, è intervenuto l’art. 10 della Legge 154 del 1992, che, intervenendo sulle disposizioni codicistiche, ne ha delineato l’ambito di applicazione. La validità della clausola omnibus è subordinata alla fissazione di un tetto massimo all’importo garantito ed il fideiussore è liberato qualora il creditore abbia fatto credito al terzo, senza la preventiva autorizzazione del garante e nella piena consapevolezza del notevole aggravio della posizione debitoria. Al fine di evitare patti in deroga, la legge ha previsto la nullità della preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione. La fideiussione omnibus, nel suo schema base (fideiussione su cui si innesta la clausola omnibus), resta attratta nell’alveo delle forme tipiche di garanzia (1938 c.c.) e risulta, pertanto, assoggettata alle disposizioni in tema di fideiussione. In osservanza del principio di autonomia contrattuale, le parti possono inserire nello schema base della fideiussione omnibus ulteriori clausole, derogatorie della disciplina codicistica, quali la clausola di sopravvivenza e riviviscenza della garanzia, la clausola solve et repete e la clausola di pagamento a prima richiesta.
Lo statuto normativo definito dal legislatore è stato disatteso dal recepimento, nella prassi, del modello contrattuale predisposto dall’Associazione bancaria italiana, frutto di una intesa anticoncorrenziale, volta ad alterare il principio della concorrenza mediante l’applicazione di clausole contrattuali di sopravvivenza, riviviscenza e rinuncia, in deroga agli artt. 1939, 1941 e 1957 c.c., da cui è derivato un innegabile vantaggio per gli istituti coinvolti. La contrarietà dello schema in questione con la normativa antitrust, ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 287 del 1990, è stata affermata dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55 del 2005. Posta la nullità delle clausole stipulate in deroga alle disposizioni civilistiche, si è posto il problema di comprendere la sorte dei contratti stipulati a “valle” tra le banche ed i soggetti estranei all’intesa (imprese, consumatori).
Sulla questione rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione
Con ordinanza interlocutoria n. 11486 del 2021, la Prima Sezione civile del Supremo Consesso ha rilevato che sulla questione relativa alla tutela riconoscibile al soggetto che abbia stipulato un contratto di fideiussione a valle, in caso di nullità delle condizioni stabilite nelle intese tra imprese a monte, per violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990, non vi è un orientamento comune in dottrina ed in giurisprudenza, essendosi delineate tre soluzioni: a) nullità totale del contratto a valle; b) nullità parziale di tale contratto, ossia limitatamente alle clausole che riproducono le condizioni dell’intesa nulla a monte; c) tutela risarcitoria. Stante il particolare valore nomofilattico della questione e la frequente ricorrenza nella pratica bancaria di tali schemi contrattuali, la sezione prima della Cassazione ha investito le Sezioni Unite al fine di stabile:
1) se la coincidenza totale o parziale con le condizioni dell’intesa a monte – dichiarata nulla dall’organo di vigilanza di settore (Banca d’Italia) – giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore, nel contratto a valle, o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno;
2) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere;
3) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione;
4) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto di interessi derivante dal contratto.
Le Sezioni Unite, preliminarmente, hanno ribadito che le intese che hanno per oggetto o per effetto quello di restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel fissare direttamente o indirettamente altre condizioni sono vietate e, pertanto, nulle ad ogni effetto, ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 287 del 1990.
La questione trae origine dal provvedimento n. 55 del 2005 con cui la Banca d’Italia – chiamata, nella sua precedente veste di autorità garante della concorrenza tra gli istituti di credito, a pronunciarsi sulla conformità tra lo schema elaborato dall’Associazione Bancaria Italiana (c.d. ABI) e la disciplina dettata in materia di intese restrittive della concorrenza – ha dichiarato la nullità di alcune clausole (artt. 2, 6 e 8) del predetto schema ai sensi dell’art. 2, terzo comma, Legge n. 287 del 1990. Tali clausole sono state dichiarate idonee a restringere la concorrenza, poiché suscettibili di determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minore facilità di accesso al credito, nonché, nei casi di fideiussioni a pagamento, di accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, che dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto del fideiussore.
Va rilevato che le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI relativamente alla fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie, in quanto deliberazioni di un’associazione di imprese, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, comma 1, Legge n. 287 del 1990, laddove dispone:
“Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statuarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”.
In particolare, i rilievi critici hanno riguardato le clausole nn. 2, 6 e 8 del menzionato schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia di operazioni bancarie (fideiussione omnibus), che contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’art. 2, comma 2, lettera a) della Legge n. 287 del 1990 e nello specifico: a) “clausola di reviviscenza”, secondo la quale il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo (art. 2); b) la “clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.”, in forza della quale i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato (art. 6); c) “clausola di sopravvivenza”, la quale prevede che qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate (art. 8).
Come noto, peraltro, nonostante il già menzionato provvedimento della Banca d’Italia nel 2005, diverse banche hanno continuato a sottoporre alla clientela la modulistica contenente le clausole vietate, determinando la nascita di un consistente contenzioso giurisprudenziale sulla validità o meno delle garanzie bancarie riproduttive delle medesime clausole anticoncorrenziali. Pertanto, la questione rimessa al vaglio delle Sezioni Unite verte sugli effetti che, sulle fideiussioni stipulate a valle tra la banca ed il cliente, abbia prodotto l’illecito anticoncorrenziale rilevato, a monte, dal provvedimento della Banca d’Italia, ovvero se, nel caso di fideiussioni rilasciate dal cliente della banca, nelle quali siano state inserite le predette clausole, la cui natura anticoncorrenziale è stata accertata dall’Autorità competente, al garante spetti una tutela reale, ossia a carattere demolitorio, oppure una tutela esclusivamente risarcitoria. Le Sezioni Unite per rispondere al quesito sottopostole, muovano dalla legge antitrust n. 287 del 1990 che ha previsto un bilanciato tra le giustapposte esigenze di garanzia costituzionale della libera esplicazione della iniziativa economica privata e della tutela dei consumatori – quali soggetti del mercato al pari degli imprenditori.
Nello stesso senso, l’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – in applicazione dell’art. 3, secondo cui
“L’Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori: …b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno…”
dal principio costituzionale di iniziativa economica privata previsto dall’art. 41 Cost. che dovrà essere bilanciato dalla tutela dei consumatori – dispone:
“1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione…”.
Di conseguenza, gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto. Alla luce di tale assetto normativo sia interno che europeo, si è formato in materia un quadro giurisprudenziale variegato, che non offre soluzioni univoche.
Gli orientamenti giurisprudenziali
Un primo filone interpretativo propende per la validità della fideiussione bancaria omnibus, riconoscendo al consumatore il solo rimedio risarcitorio (Cassazione civile, sentenza n. 24044 del 2019). Tale orientamento fa leva sulla portata letterale dell’art. 2, terzo comma, Legge n. 287 del 90 “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”. Quest’ultima disposizione normativa, infatti, facendo espresso riferimento alle sole “intese”, non può applicarsi ai contratti a valle. I fautori del presente orientamento osservano che ciò che emerge, nel rapporto tra intesa a monte e fideiussione a valle, è la mancanza di una libertà di determinazione e di scelta da parte del cliente della banca, il quale, stante il generalizzato recepimento dello schema ABI, si vede “imposto” un modello contrattuale che non gli consente alternative.
Un altro filone interpretativo, all’opposto, ha affermato la nullità assoluta della fideiussione bancaria omnibus perché riproduttiva di un’intesa anticoncorrenziale. Questo orientamento si scinde in altri filoni, a seconda che la nullità della fideiussione bancaria sia giustificata per la nullità dell’intesa a monte (invalidità derivata) o per vizi propri del negozio fideiussorio (invalidità diretta).
Una parte della dottrina che muove dall’invalidità derivata, partendo dall’idea che tra l’intesa “a monte” e la fideiussione “a valle” vi sia un “collegamento negoziale”, affermano che la nullità prevista per la prima si propaghi anche alla seconda, in ossequio al principio simul stabunt simul cadent. I fautori di tale orientamento ritengono che l’art. 2, terzo comma, Legge n. 287 del 1990 non colpisce solo l’intesa in quanto tale ma ogni altro atto, a questa collegato, idoneo a pregiudicare la disciplina antitrust. Tale collegamento si verifica quando il contratto a valle riproduce, totalmente o parzialmente, l’atto a monte dichiarato nullo dall’autorità di vigilanza. In tal modo, infatti, il contratto di fideiussione – che riproduce le “clausole vietate” dello schema ABI – diviene uno strumento per violare la disciplina antitrust e viene a crearsi il meccanismo distorsivo della concorrenza che la legge intende evitare.
Altra corrente dottrinale che muove dall’invalidità diretta, partendo dal presupposto che l’intesa a monte e la fideiussione a valle sono contratti diversi, privi sia dei requisiti richiesti dal collegamento negoziale, reputano che la nullità della fideiussione bancaria omnibus sia giustificata da vizi propri: dalla illiceità della causa, perché il contratto di fideiussione persegue una finalità anticoncorrenziale, dalla illiceità dell’oggetto, in quanto il contratto a valle assorbe le statuizioni illecite della concertazione a monte o dalla violazione diretta delle norme imperative anticoncorrenziali, quali gli artt. 41 Cost., 101 TFUE e 2 Legge n. 287 del 1990.
L’orientamento prevalente, pur condividendo il rimedio della nullità, precisa che la stessa non sia totale ma parziale in quanto, dalla lettura dell’art. 1419 c.c., emerge che il giudice non deve dichiarare la nullità del contratto qualora le clausole viziate non siano idonee a far venire meno l’interesse che ha mosso le parti alla stipulazione. Ciò posto, parte della giurisprudenza ha affermato che l’eliminazione delle clausole anticoncorrenziali non fa venire meno né l’interesse della banca, atteso che quest’ultima ha comunque interesse alla garanzia, seppure ridotta, piuttosto che all’assenza completa della stessa; né quello dei garanti la cui posizione, a seguito di tale operazione, risulta maggiormente tutelata.
La decisione delle Sezioni Unite
Tra gli orientamenti sopra richiamati, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno abbracciato l’indirizzo favorevole a riconoscere la nullità parziale delle fideiussioni bancarie riproduttive dello schema elaborato dall’ABI, perché l’interesse protetto dalla normativa antitrust non è solo l’interesse individuale del singolo contraente pregiudicato ma quello del mercato in senso oggettivo. Il Supremo Consesso, a sostegno della propria tesi, ha rilevato come tra l’intesa “a monte” e la fideiussione bancaria “a valle” sussista un “collegamento funzionale”, tale da far apparire la stipula di questi atti parti di un’operazione unitaria diretta a violare la normativa antitrust nazionale ed europea. Tale affermazione è avvalorata, peraltro, dalla portata letterale dell’art. 2, terzo comma, della Legge n. 287 del 1990, la quale, statuendo che “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto” ricomprenderebbe anche i contratti che danno concreta attuazione all’intesa vietata (Cassazione civile, Sez. Un., sentenza n. 2207/2005). Il Supremo consesso ha inoltre motivato l’estensione della nullità dell’intesa restrittiva facendo leva sul carattere speciale ed ulteriore di tale figura di nullità. In particolare, la nullità disciplinata dall’art. 2, terzo comma, della Legge n. 287 del 1990 ha una portata più ampia della nullità codicistica e delle altre nullità conosciute dall’ordinamento in quanto, essendo posta a presidio di un interesse pubblico, dato dall’ordine pubblico economico, può colpire anche atti o combinazioni di atti avvinti da un “nesso funzionale”, non tutti riconducibili alle tradizionali fattispecie di natura contrattuale. Tale particolare regime, pur essendo giustificato dall’esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico economico a presidio del quale sono state dettate le norme imperative nazionali e di quelle europea in materia, non è stato ritenuto idoneo a determinare l’automatica invalidità dell’intera fideiussione bancaria. Infatti, questa particolare figura di nullità non assume una valenza tale da svuotare di rilevanza pratica il principio di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.). In tale ottica, la nullità di singole clausole contrattuali potrà invalidare l’intero contratto solo ove si dimostri che la porzione colpita da invalidità ha una rilevanza tale nell’economia contrattuale che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità, come previsto ai sensi dell’art. 1419, comma primo, c.c. (Cassazione civile, sentenza n. 3556 del 2020). Pertanto, tutte le altre clausole del contratto di fideiussione:
“in quanto finalizzate, attraverso l’obbligazione di garanzia assunta dal fideiussore, ad agevolare l’accesso al credito bancario – sono immuni da rilievi di invalidità, come ha stabilito la Banca d’Italia, che ha espressamente fatte salve tutte le altre clausole dell’intesa ABI”.
Quindi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritengono che:
“l’avere inserito all’interno del contratto alcune clausole estratte dal programma anticoncorrenziale non appare circostanza sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragion di essere e della sua validità”
perché l’istituto bancario ha interesse ad una garanzia, seppur ridotta, mentre il consumatore vede per tal via caducate clausole a lui sfavorevoli.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza in commento, ha espresso il principio di diritto secondo il quale i
“contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.
Pertanto, la fideiussione è pienamente valida, ma viene depurata ai sensi dell’art. 1419 c.c. dalle clausole riproduttive di quelle dichiarate nulle dalla Banca d'Italia, in quanto anticoncorrenziali.
Infine, dalla nullità parziale della fideiussione scaturiscono alcune conseguenze come:
- l'imprescrittibilità dell'azione di nullità (Cassazione civile, sentenza n. 23057 del 2010);
- la proponibilità della domanda di ripetizione dell'indebito (ex art. 2033 c.c.) se ne ricorrono i presupposti (Cassazione civile, sentenza n. 21647 del 2005);
- la proponibilità dell'azione di risarcimento dei danni.
In particolare, le Sezioni Unite, oltre alla tutela risarcitoria, hanno riconosciuto alla vittima dell’illecito anticoncorrenziale, la tutela reale ossia il diritto a far valere la nullità del contratto in quanto appare
“un adeguato completamento del sistema delle tutele, non nell'interesse esclusivo del singolo, bensì in quello della trasparenza e della correttezza del mercato, posto a fondamento della normativa antitrust”.
La Suprema Corte ritiene che tale soluzione sia conforme a quanto previsto a livello europeo. A tal proposito, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia: il consumatore ha diritto al risarcimento del danno subito per effetto della condotta anticoncorrenziale, ma la sede naturale per valutare la sorte del contratto a valle dell’intesa vietata è quella dell'ordinamento interno degli Stati membri. Infatti, la direttiva Enforcement n. 104/2014/EU stabilisce all’art. 4 che:
“A norma del principio di efficacia, gli Stati membri provvedono affinché tutte le norme e procedure nazionali relative all'esercizio del diritto di chiedere il risarcimento del danno siano concepite e applicate in modo da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto, conferito dall'Unione, al pieno risarcimento per il danno causato da una violazione del diritto della concorrenza. A norma del principio di equivalenza le norme e procedure nazionali relative alle azioni per il risarcimento del danno a seguito di violazioni dell'articolo 101 o 102 TFUE non devono essere meno favorevoli, per i presunti soggetti danneggiati, di quelle che disciplinano azioni simili per danni derivanti da violazioni del diritto nazionale”.
Inoltre, la stessa direttiva, al successivo art. 12, comma 4, prevede che:
“Gli Stati membri provvedono affinché le norme stabilite nel presente capo si applichino nello stesso modo qualora la violazione del diritto della concorrenza riguardi una fornitura all'autore della violazione”.
Infine, riguardo agli aspetti processuali, aderendo alla tesi interpretativa dell’invalidità parziale e, quindi, della validità ed efficacia delle fideiussioni, sebbene depurate dalle sole clausole riproduttive di quelle dichiarate nulle dalla Banca d’Italia, poiché anticoncorrenziali, in conformità a quanto stabilito dall’art. 1419 c.c., nonché dalla giurisprudenza europea richiamata, ne discende la rilevabilità d’ufficio di tale nullità da parte del giudice, a presidio del principio processuale della domanda (artt. 99 e 112 c.p.c.). In particolare, il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale; tuttavia, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo (Cassazione civile, sentenza n. 16501 del 2018).
Ultima modifica il 06/05/2022
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