I diritti del difensore non possono scontare i divieti dell’accesso, ma l’istanza deve essere dettagliatamente motivata
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 4 del 18 marzo 2021, interviene nuovamente sull’accesso agli atti, questa volta quello difensivo.
A cura dell'Avv. Francesca Petullà, Avvocato, Socio fondatore dell’omonimo studio e della società Law Lab con sede in Roma e Milano e docente degli Executive Master in area Lex & Tax.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 4 del 18 marzo 2021 interviene nuovamente sull’accesso agli atti, questa volta quello difensivo, concentrandosi sulla motivazione perché per i giudici, in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive.
Tale regola è valevole sia nei riguardi di un processo già pendente che nei riguardi di una controversia da instaurare, in quanto l’ostensione del documento richiesto si muove attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare.
La Pubblica Amministrazione ed il Giudice amministrativo (nel giudizio di accesso ex art. 116 c.p.a.) non sono tenuti a valutare la decisività di tale documento ai fini della tutela della posizione giuridica dell’istante, ma soltanto l’esistenza del predetto “collegamento”.
Quindi, per gli avvocati, non è sufficiente un mero richiamo nell’istanza a indeterminate esigenze probatorie, senza specificare a quali necessità si faccia riferimento in quanto la motivazione delle circostanze per cui viene chiesto l’accesso si deve evincere dalla richiesta. Inoltre, per quanto attiene al procedimento, la pubblica amministrazione detentrice del documento non deve svolgere ex ante alcuna valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato.
Ed anche per il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. vale la medesima regola poiché tale valutazione compete esclusivamente al giudice investito della questione e non alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso.
A tale regola segue l’eccezione di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive, pertanto in quei soli casi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo per l’assoluta assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla legge sul procedimento. L’unico interesse legittimante l’accesso difensivo è quello che corrisponde in modo diretto, concreto ed attuale alla cura o difesa in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva. Tale aspetto, più in particolare, è chiarito dal parametro del c.d. “collegamento”.
La pronuncia ha definito i presupposti legittimanti il diritto di accesso difensivo, che – come è noto – trova ingresso nell’ordinamento in forza della previsione di cui all’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, ai sensi del quale "Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti ammnistrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti concernenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale".
La questione è controversa
Due orientamenti come al solito si sono fronteggiati:
- il primo orientamento propende per una valutazione ampia dell’istanza di accesso difensivo per cui sarebbe sufficiente che la documentazione richiesta abbia “attinenza” con il processo (cfr. Cons. St. VI 15.11.2018, n. 6444 e Sez. IV, 29.1.2014, n. 461);
- il secondo orientamento richiede una valutazione più rigorosa (cfr. Cons. St. Sez. IV, 14.5.2014, n. 2472 e Sez. VI, 15.3.2013, n. 1568) e troverebbe conforto nella linea suggerita dall’Adunanza Plenaria (n. 19/2020).
La soluzione
L’Adunanza ha statuito che il Legislatore abbia circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso “difensivo” rispetto all’accesso “ordinario” (o “partecipativo”) esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (art. 24, comma 7 , l. 241/1990) in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione. Secondo i Giudici, la volontà del Legislatore è invero di esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentante dalla parte istante in modo puntuale e specifico e suffragate da idonea documentazione ("ad es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova; ecc."), così da permettere all’amministrazione detentrice del documento "il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione “finale” controversa".
Conclusioni operative di buon senso alla luce dei principi di diritto
- in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare;
- la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono, invece, svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990.
Ultima modifica il 14/02/2022
Tags: BlogLegal