Il licenziamento come esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro
Il licenziamento via whatsapp: normativa
Nell’attuale società dove i principali mezzi di comunicazione sono i social network, gli sms inviati mediante cellulare e le applicazioni di messaggistica istantanea, un’ordinanza che ha suscitato notevole interesse in materia giuslavoristica è senza dubbio quella pronunciata il 27 giugno 2017 che dichiara legittimo il licenziamento intimato a mezzo whatsapp da parte del datore di lavoro al proprio dipendente[1].
Nel caso di specie un lavoratore presentava ricorso dinanzi al competente Giudice del lavoro affinché accertasse e dichiarasse invalido ed inefficace il licenziamento intimatogli a mezzo whatsapp, chiedendo la reintegra nel proprio posto di lavoro, il risarcimento dei danni subiti, oltre alla retribuzione dovuta per il periodo intercorrente dal giorno del licenziamento al reinserimento.
Il giudice del lavoro si pronunciava asserendo il rispetto dell’onere della forma scritta da parte del datore di lavoro, avendo comunicato il licenziamento con un documento informatico, munito di forma scritta e redatto in modo chiaro e corretto.
Veniva poi citata la sentenza n. 17652 del 13 agosto 2007, pronunciata dalla Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, secondo la quale il datore non ha l’obbligo di usare formule sacramentali per intimare il licenziamento ad un proprio dipendente.
Muovendo da questa fattispecie occorre effettuare un approfondito esame dell’istituto del licenziamento, delle diverse tipologie esistenti, degli elementi che lo contraddistinguono, sino all’analisi della forma secondo cui può essere intimato dal datore al lavoratore.
Il licenziamento rappresenta una forma di cessazione del rapporto di lavoro che si realizza attraverso la volontà di recedere espressa dal solo datore nei confronti del proprio dipendente[2].
Tra le diverse tipologie previste dalla legge va citato il licenziamento ad nutum disciplinato dall’articolo 2118 c.c.[3] che non prevede l’obbligo in capo al datore di lavoro di motivare formalmente o giustificare sostanzialmente il provvedimento emesso, ma di comunicarlo al dipendente con un certo preavviso, ossia nei modi e nei tempi previsti dai contratti collettivi nazionali, oppure dagli usi o ancora secondo equità[4].
Tale tipologia di licenziamento è utilizzata per porre fine ai rapporti di lavoro instaurati con alcune ristrette categorie di lavoratori come i dirigenti, gli sportivi professionisti, i lavoratori domestici ed i dipendenti anziani che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia[5].
Secondo l’art.1 della legge n. 604/1966 le tipologie di licenziamento più diffuse sono quelle che avvengono per giusta causa, ex art. 2119 c.c.[6], o per giustificato motivo oggettivo o soggettivo.
Ai sensi dell’articolo 2119 c.c. il datore di lavoro può recedere da un contratto di lavoro a tempo determinato, prima della scadenza del termine, oppure da un contratto a tempo indeterminato, senza preavviso,al verificarsi di una causa, anche solo provvisoria, che non permetta la prosecuzione ditale relazione lavorativa poiché lesiva del rapporto fiduciario intercorrente tra il datore ed il proprio dipendente.
Rappresentano giuste cause di licenziamento l’insubordinazione, consistente nel reiterato ed ingiustificato rifiuto da parte del dipendente di adempiere una prestazione lavorativa,la commissione di fatti penalmente rilevanti fuori dal contesto lavorativo,la sottrazione di beni di proprietà dell’azienda durante l’erogazione delle proprie mansioni di lavoro[7].
In questo caso il datore di lavoro potrà comunicare in forma scritta al dipendente, con effetto immediato e senza alcun obbligo di preavviso, il licenziamento e le rispettive cause, al fine di interrompere nel più breve tempo possibile il rapporto di lavoro.
Si considera giustificato motivo soggettivo del licenziamento il verificarsi di un notevole inadempimento delle obbligazioni contrattuali ad opera del dipendente, per esempio violazioni gravi e reiterate del codice disciplinare, il superamento del periodo massimo di malattia o infortunio previsto dalla contrattazione collettiva, o ancora l’abbandono senza alcuna giustificazione del posto di lavoro durante l’orario di servizio stabilito da contratto.
Costituisce invece giustificato motivo oggettivo del licenziamento quello inerente l’attività produttiva, il regolare funzionamento della stessa e l’organizzazione del lavoro[8].
Anche in questo caso il datore, venuto a conoscenza dei motivi sopra elencati, dovrà comunicare al dipendente il licenziamento ed i motivi a supporto dello stesso, al fine di garantire il diritto di difesa di quest’ultimo.
Oltre all’obbligo in capo al datore di lavoro di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo a fondamento del licenziamento l’art. 2 della legge n. 604/1996, modificata dalla legge n. 92/2012, impone che la comunicazione del licenziamento,e dei relativi motivi,debba essere fatta al lavoratore sempre in forma scritta, così detta forma ad substantiam, prevedendo l’inefficacia del licenziamento in caso di inosservanza della stessa.
La forma scritta rappresenta un elemento certo e costitutivo della volontà di recesso anche se, come si può constatare nella fattispecie richiamata in sentenza, non è prevista una formula sacramentale con cui comunicare il licenziamento, occorre solo che risulti chiara e certa la volontà di licenziare.
Il lavoratore, ricevuta la comunicazione di licenziamento, potrà impugnare il provvedimento nel rispetto di due termini di decadenza previsti dalla legge.
Il primo termine è rappresentato da 60 giorni decorrenti dal ricevimento della comunicazione del licenziamento da parte del lavoratore, entro i quali quest’ultimo dovrà provvedere all’impugnazione stragiudiziale del licenziamento con la spedizione di una lettera raccomandata.
Dalla trasmissione il lavoratore avrà a disposizione un ulteriore termine di 180 giorni, per proporre un’impugnazione giudiziale del provvedimento mediante il deposito di un ricorso presso la cancelleria del tribunale competente in funzione di giudice del lavoro.
Va infine precisato che il licenziamento rappresenta la forma più severa di esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro nei confronti del proprio dipendente, in quanto prima di esercitarla potrà applicare, a seconda della gravità della violazione commessa, altri tipi di sanzioni previste dai contratti collettivi nazionali, come il rimprovero verbale e quello scritto, la multa e la sospensione da lavoro e dalla retribuzione[9].
[1] Ordinanza del 27 giugno 2017, Tribunale di Catania, Seconda Sezione civile di lavoro
[2] Rientrano tra le forme di cessazione del rapporto di lavoro anche le dimissioni, in cui è il lavoratore che manifesta la propria volontà di interrompere il rapporto lavorativo e la risoluzione consensuale, in cui la relazione lavorativa cessa con il consenso espresso da ambo le parti.
[3] L’articolo 2118 c.c., rubricato Recesso dal contratto a tempo indeterminato,stabilisce che <<Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro>>
[4] Nella pratica il datore di lavoro si comporta diversamente, egli infatti, pur di allontanare immediatamente il dipendente dal luogo di lavoro,comunica nella lettera di licenziamento la monetizzazione del preavviso, riconoscendo al lavoratore un’indennità sostitutiva coincidente con la retribuzione dovuta in caso avesse continuato a lavorare durante i giorni di preavviso.
[5]Altri lavoratori soggetti al licenziamento ad nutum sono i dipendenti di datori di lavoro non imprenditori che erogano attività culturale, sindacale, di istruzione, religione e politica, senza alcuna finalità di lucro.
[6] L’articolo 2119 c.c., rubricato Recesso per giusta causa,prevede che <<Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda>>
[7] Ulteriori condotte che possono qualificarsi come giuste cause di licenziamento sono l’erogazione di una prestazione lavorativa nei confronti di terzi durante il periodo di malattia, che rallenta il rientro del lavoratore alla propria mansione lavorativa, il rifiuto di rientrare a lavoro a seguito di una visita medica che non abbia appurato la presenza di alcuna patologia o la partecipazione del dipendente a risse all’interno della sede di lavoro.
[8] Rappresentano giustificati motivi oggettivi di licenziamento il verificarsi di una crisi aziendale, la soppressione del posto di lavoro, o ancora l’affidamento di un servizio ad altre imprese.
[9] AA.VV, I licenziamenti individuali e collettivi, a cura di G. PELLACANI, Giappichelli-Linea Professionale, 2013
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GIURISPRUDENZA
- Ordinanza del 27 giugno 2017, Tribunale di Catania, Seconda Sezione civile di lavoro
A cura di Federica Pica (partecipante all'Executive Master in Direzione del Personale)
Il percorso per diventare esperto in materia di Amministrazione del Personale richiede determinazione e impegno: per la formazione delle competenze specialistiche, c'è il Master in Amministrazione del Personale e Consulenza del lavoro di Meliusform Business School.
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