Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: impatto sugli assetti organizzativi societari
A cura di D. Colazzo, (partecipante del Master in Avvocato d'Affari)
Agli inizi del corrente anno ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento il nuovo Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D. Lgs. 14/2019, emanato in attuazione della Legge Delega 155/2017.
Negli ultimi anni, per far fronte alle esigenze dettate dal nuovo contesto politico, economico e culturale, si erano affastellate una serie di modifiche alla Legge fallimentare di base che, tuttavia, non hanno fatto altro che aumentare il divario tra le disposizioni di nuovo conio e quelle rimaste invariate. Questo susseguirsi di interventi normativi ha anche fatto sì che non si consolidassero indirizzi giurisprudenziali in materia, portando ad un incremento delle controversie pendenti, oltre che ad un allungamento dei tempi processuali per poter giungere alla definizione delle procedure concorsuali. Pertanto, il nuovo testo unico non è altro che il frutto dell’ormai indifferibile esigenza di riformare la materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali, dettando una disciplina organica e sistematica, che si adattasse meglio al nuovo contesto sociale.
Così, nel pieno rispetto della filosofia ispiratrice della Legge Delega 155/2017, il legislatore ha ricondotto a linearità la materia, dettando degli obiettivi cardine da perseguire con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. In particolare, ha inteso privilegiare la continuità aziendale e la possibilità di conservare le aziende anche a fronte di uno stato di crisi dell’impresa. Ad esser mutata completamente è, dunque, la stessa ratio sottostante alla disciplina delle imprese in crisi, che aspira al recupero dell’azienda in attuazione della nuova concezione, con la quale si ritiene che la crisi e l’insolvenza costituiscano eventi fisiologici della vita dell’impresa e non più preludio del cessare della sua attività. Elemento sintomatico di tale radicale cambiamento di prospettiva è dato anche dall’eliminazione del termine “fallimento” – nonché dell’accezione di “fallito” attribuita al soggetto sottoposto a tale procedura – e della sua sostituzione con quello di “liquidazione giudiziale”; ciò proprio in virtù di un’ottica che si prefigge di mutare la stessa concezione del fallimento alla radice tanto nella vita sociale quanto nel linguaggio comune. Sempre in virtù della nuova concezione dell’insolvenza quale evento contingente della vita d’impresa e del fine ultimo della nuova normativa di recupero e continuità aziendale, saranno accordati vantaggi e tutele all’imprenditore che si avvarrà di accordi di ristrutturazione dei debiti, di piani di risanamento e del concordato preventivo, che costituiscono gli strumenti oggi privilegiati al verificarsi di tali eventi (tanto) fisiologici (quanto patologici). Ipotesi residuale rivestirà, invece, la liquidazione giudiziale, alla quale dovrà ricorrersi quale extrema ratio esclusivamente nell’ipotesi in cui tutti gli altri strumenti previsti dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza non abbiano sortito esito positivo.
Fondamentale, ai fini del recupero dell’azienda, è l’emersione tempestiva della crisi d’impresa, così da consentire in tempo utile le modalità del suo superamento prima del manifestarsi del più grave stato d’insolvenza. A tal fine sono stati introdotti ex novo degli istituti che favoriscono la denuncia e soluzione dello stato di crisi, ossia le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi e le procedure di composizione concordata della crisi.
Ma non solo.
In ambito societario, per favorire una tempestiva emersione della crisi d’impresa e l’assunzione delle opportune iniziative (art. 3 cii) sono state dettate delle disposizioni che apportano delle modifiche al Codice Civile, finalizzate alla responsabilizzazione dell’imprenditore in forma collettiva attraverso la previsione di obblighi organizzativi in capo allo stesso. L’entrata in vigore di tali norme – la cui portata prescinde dal contesto della crisi d’impresa – è avvenuta lo scorso 16 marzo, in modo da consentire alle società di adeguare alla nuova normativa il proprio assetto organizzativo, amministrativo e contabile prima dell’entrata in vigore delle restanti disposizioni del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, prevista per agosto 2020. In particolare, è stato modificato l’art. 2086 cc – ora rubricato “Gestione dell’impresa” – con l’aggiunta di un secondo comma, ai sensi del quale "l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale". Questo implica che l’imprenditore collettivo, a prescindere dal tipo societario, si deve dotare di un modello organizzativo che verifichi la sussistenza dell’equilibrio economico-finanziario, di modo da poter prontamente individuare situazioni di difficoltà che rendono probabile la sua insolvenza e tutelare preventivamente la continuità aziendale. Diversamente, se già lo possiede, dovrà potenziarlo.
Quanto appena detto comporta il sorgere di obblighi anche in capo agli amministratori della società, i quali – per non incorrere in responsabilità – dovranno senza indugio intraprendere un percorso obbligato di risanamento mediante l’adozione di uno strumento di composizione e superamento della crisi, ovvero il piano attestato di risanamento, un accordo di ristrutturazione del debito, un concordato preventivo o ancora, in ultima analisi, di liquidazione giudiziale. Invero, in ambito di società per azioni, nell’art. 2381 cc era già previsto in capo all’amministratore delegato un obbligo di curare in modo adeguato l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, ma il secondo comma dell’art. 2086 cc amplia la portata di tale disposizione estendendo a tutti gli amministratori tale dovere, a prescindere dal fatto che essi siano dotati di deleghe o meno. La portata innovativa della modifica normativa in parola è ancor più evidente se viene rapportato il precedente obbligo dell’amministratore a scongiurare la prosecuzione dell’attività aziendale in caso di dissesto dell’impresa, al nuovo dovere di rendersi parte attiva per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale, anche attraverso lo scambio di informazioni con i soggetti tenuti a segnalare la presenza dei sintomi di una possibile crisi d’impresa.
La nuova previsione genera non poche perplessità.
Il dettato del secondo comma dell’art. 2086 cc comporta una responsabilità dell’amministratore anche solo semplicemente per non essersi attivato in una fase che (per giunta) è precedente rispetto a quella di dissesto e che, proprio per tal motivo, rende nella pratica difficoltosa la sua individuazione. Indubbiamente la finalità del legislatore è quella di preservare la continuità aziendale, punendo e definendo le situazioni in cui non si siano prontamente attivati i soggetti obbligati. Tuttavia, si è (forse) responsabilizzato fin troppo il ruolo dell’amministratore, al quale si chiede quasi di “prevedere” la possibilità di un dissesto ancor prima che se ne presentino i sintomi. L’impressione è che, a prescindere da una situazione di crisi d’impresa, la riforma agevoli la proposizione di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori oltre che prospettarne di nuove; soprattutto nelle società a responsabilità limitata, infatti, sono stati ridisegnati i profili di responsabilità degli amministratori che sono chiamati a rispondere non solo nei confronti della società ma anche dei creditori sociali, a causa dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione e all’integrità del patrimonio sociale ex art. 2476 cc (come riformato dall’art. 378 cii).
Altra novità introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, sempre al fine di favorire un’emersione tempestiva della crisi, vede quale protagonista l’organo di controllo. Ai sensi del riformato art. 2477 cc anche le piccole società saranno tenute a nominare un organo di controllo o un revisore quale conseguenza dell’abbassamento dei limiti che lo rendono obbligatorio e, se del caso, uniformare l’atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni codicistiche riformate. In capo agli organi di controllo societari, al revisore contabile e alle società di revisione gravano degli obblighi di segnalazione c.d. interna (diversa da quella c.d. esterna in capo all’Agenzia delle Entrate, all’INPS e all’Agenzia della Riscossione) sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo e sulla presenza di indizi di crisi. Successivamente, spetterà all’imprenditore o all’organo amministrativo attivarsi entro 30 giorni, comunicando le soluzioni individuate e le iniziative intraprese per superare lo stato di crisi anche con l’ausilio dell’organo di controllo o dell’organismo di composizione della crisi d’impresa (OCRI); in caso contrario saranno gli stessi soggetti che hanno effettuato la segnalazione a dover informare tempestivamente l’OCRI. Il mancato rispetto di tali obblighi, come detto, fa sorgere delle responsabilità in capo ai citati soggetti, chiamati a rispondere del proprio inadempimento. Questo, presumibilmente, comporterà il moltiplicarsi di azioni legali siffatte e che potrebbero essere promosse pretestuosamente per “tagliare fuori” soggetti scomodi.
Tuttavia toccherà attendere il 2020 e il trascorrere di qualche tempo dall’entrata in vigore del Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza per avere dei riscontri circa l’impatto dello stesso nell’attuale contesto sociale ed economico. Certo è che, dati alla mano, sarà sufficiente vedere il numero di imprese per le quali è stato necessario ricorrere alla liquidazione giudiziale – rapportate a quelle fallite negli anni precedenti – e quelle che, invece, si è riusciti a risanare dallo stato di crisi per potersi pronunciare sulla reale efficacia del nuovo Codice e sul concreto raggiungimento degli obiettivi che il legislatore si era preposto.
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Fonti:
- Compendio di Diritto della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Edizioni giuridiche Simone, 2019
- Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, 15 febbraio 2019, Il Sole 24 Ore
- Amministratori e nuove responsabilità: uno sguardo oltre il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, 4 marzo 2019, Il Sole 24 Ore
- Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: impatto sugli assetti organizzativi societari, lawpartners
- Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza pubblicato in Gazzetta, 15 febbraio 2019, Altalex.
Ultima modifica il 25/07/2019