Il welfare aziendale ci aiuterà a vivere meglio il rapporto tra benessere e lavoro?
A cura di D. Trotti, Presidente regionale AIDP Lazio
Una delle novità che sta emergendo in questi ultimi tempi, e che a mio avviso sta passando in sordina, è quella del sempre più “inserimento” del benessere nell’apparato produttivo. Dimostrazione palese di ciò è la gestione dell’emergenza covid che sta dimostrando come il tema del passaggio dal welfare state al welfare mix sia sempre più vicino al mantenimento della produzione, e di quanto la responsabilità sociale delle imprese stia divenendo un tema significativo anche dal punto di vista del “profitto”.
La gestione del benessere dei dipendenti si sta concretizzando sempre più come elemento legato ad una maggiore produzione. Basti pensare a tutto il dibattito sull’ homeworking (come oramai è chiamato lo smartworking del periodo covid) e sulla necessità delle tutele sanitarie extra-professionali. Nel recente passato, il legislatore ha dato la possibilità anche alla contrattazione di poter erogare il cosiddetto welfare, ed in particolare opere e servizi di utilità sociale.
Qui è necessario, prima di addentrarci, fare una piccola introduzione. Nel nostro ordinamento vige un principio che è quello in cui si prevede che il datore di lavoro possa erogare, oltre che retribuzione in denaro, anche retribuzione in natura o a diverso titolo. Ma attenzione, ciò comporta che, quanto erogato, diviene automaticamente imponibile dal punto di vista fiscale e previdenziale…e quindi rientra nel cosiddetto cuneo fiscale. La norma fiscale (art.51 del TUIR) dispone: "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro."
Quindi, qualunque cosa il datore di lavoro dia, produce contributi e tasse. Non rientrano in questo regime le opere ed i servizi di utilità sociale erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie specifiche, in particolare: l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100;
articolo 100 del TUIR che le definisce: opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
Vuol dire che, se applico questi due concetti (indicati dal 51 e dal 100), l’imponibile fiscale e previdenziale è azzerato. In molti definiscono tale possibilità come welfare (ne parleremo tra un po') e io da ora in poi mi riferirò ad esso con questo nome.
Dunque abbiamo un fenomeno importante: se io datore di lavoro retribuisco i lavoratori (non ho usato il singolare in maniera specifica) con opere e servizi di utilità sociale, io datore di lavoro non pago i contributi a carico azienda ed il lavoratore vede realizzarsi l’equazione ‘lordo = netto’.
Qualcuno dice “Ma non sono soldi”. Ciò è vero qualora io dessi il welfare in aggiunta, se invece sostituisco delle spese già sopportate dal dipendente includendole nel welfare, allora libero delle risorse economiche al lavoratore che avrà a disposizione del denaro. Faccio un esempio: se ho necessità di attività fisica per motivi di salute e spendo 500 euro di palestra al mese ed il datore di lavoro nel paniere (basket) che mette a disposizione ai propri dipendenti include 500 euro in corsi di palestra, il lavoratore non avrà euro, ma la sua disponibilità economica mensile aumenterà di 500 euro perché non dovrà spenderli per la palestra.
La domanda a questo punto è la stessa che ho posto nell’intervento sulla produttività. Sarà possibile gestire gli aumenti retributivi del CCNL futuri come welfare?. Sicuramente sì, e credo sarà in uno spazio alternativo alla produttività.
Se poi si privilegerà il welfare sanitario e della previdenza complementare, si realizzerà quel welfare mix di cui abbiamo parlato all’inizio.
Il benessere del lavoratore sarà messo al centro affinchè possa produrre di più. Non dimentico mai che le aziende non sono enti di beneficenza, inoltre il meccanismo che ho presentato può dare una svolta anche al sistema paese, sia perché le attività produttive collegate al welfare avranno un “integratore” sia perché lo stato probabilmente dovrà spendere meno risorse.
Non dimentico poi il valore per il sistema cooperativo e del volontariato che di questo strumento, anche a livello di contrattazione collettiva, può fare il suo cavallo di battaglia.
Vorrei proporre al legislatore di stimolare la contrattazione collettiva ad utilizzare sempre più certi strumenti di cui abbiamo discusso e, con gradualità e attenzione, attraverso questi strumenti abbattere il costo del lavoro (quindi mettere in grado aziende e lavoratori di aver più denaro), aumentare la produttività e dare ai lavoratori strumenti a livello della salute e del benessere maggiormente utilizzabili, senza dimenticare la costruzione della pensione.
Ricordo sempre ai miei studenti che la negoziazione è la base della nostra cultura giuridica e che, se vissuta bene, produce vantaggi per ciascuno dei contraenti.
Riusciremo per la retribuzione a passare dal conflitto alla cooperazione? …ai posteri l’ardua sentenza
Ultima modifica il 03/10/2020