L'internazionalizzazione passa anche dal conoscere le norme che permettono di vendere in paesi 'difficili'. Purtroppo tante imprese rinunciano per pigrizia
A cura dell'Avv. G. Cattani, docente in area Legale
:: (articolo pubblicato su "La Repubblica Affari & Finanza" del 15 febbraio 2016) ::
Nel 2015 il commercio della filiera pelle made in Italy verso la Russia si è quasi dimezzato rispetto l’anno precedente. Si è svuotato anche il carrello della spesa tra Mosca e dintorni di prodotti della Penisola: Confagricoltura parla di 245 milioni di euro di acquisti in meno con frutta, carni, latticini e formaggi in caduta libera. Nel complesso, lo rileva l’Istat, l’export dei nostri prodotti verso la Russia è calato del 25% nel 2015 per un giro d’affari di circa 2,3 miliardi di euro. Un tonfo che fa male ai tentativi di ripresa dell’economia italiana e che continua a far paura perché la Ue ha deciso di estendere le sanzioni economiche alla Russia fino al 31 luglio 2016. E fa soprattutto arrabbiare gli imprenditori italiani perché chi pretende la stretta anti Putin, la Germania guidata da frau Merkel, soffre molto meno rispetto alle nostre aziende. L’anno scorso le società tedesche hanno visto frenare il loro export in Russia del 18% pur mantenendo un giro d’affari di 29 miliardi. La battuta di arresto non ha impedito a Berlino di toccare nuovi record di export, superando — nonostante i richiami Ue — il 6,4% di superplus commerciale con un avanzo di 248 miliardi. Insomma le sanzioni economiche riducono i sentieri degli scambi commerciali ma non li eliminano. La Germania insegna. A spiegare l’export ai tempi della geopolitica ci ha pensato Gianluca Cattani dello Studio Delfino Willkie Farr & Gallagher, co-autore del libro “L’Esportazione di Beni Dual use”. «Intanto dobbiamo sgombrare il campo dagli equivoci: le sanzioni decise dalla comunità internazionale, come nel caso della Russia e dell’Iran, non sono degli embarghi, si tratta di restrizioni commerciali che in molti casi non precludono alle aziende italiane di esportare i propri beni in quei paesi nel rispetto della legalità — spiega l’avvocato Gianluca Cattani — Bisogna però conoscere le regole del gioco, e nel rispetto delle regole è spesso possibile continuare a fare affari in questi paesi. Purtroppo per pigrizia culturale tante imprese rinunciano e si lasciano intimidire dagli ostacoli burocratici. Non devono. Le autorità Italiane competenti sono di alto profilo e pronte a guidare le imprese a un commercio competitivo e responsabile ». Anche perché se Russia e Iran hanno rappresentato negli ultimi anni le grandi occasioni mancate, i paesi sotto sanzioni nella Ue sono ancora tanti: dall’Afghanistan alla Birmania, Bielorussia, Libia, Costa d’Avorio, Egitto, Serbia, Yemen. Per Cattani la strada dell’internazionalizzazione passa anche dal riconoscimento da parte delle aziende di doversi dotare di compliance normative dedicate anche alle esportazioni in paesi sottoposti a restrizioni economiche. «Prendiamo il caso di un’impresa attiva nel campo oil & gas che vince una commessa con la Russia. Ci sono alte probabilità che ci siano uno o più componenti che rientrano nelle maglie delle sanzioni. Una volta presa conoscenza della situazione si può intervenire sui materiali e modificare il proprio prodotto in modo responsabile e rispettoso delle regole dettate dalla comunità internazionale». Ripensare e riprogettare, solo così l’impresa può rimanere in pista. Per farlo «bisogna essere pronti a cambiare mentalità e anche la natura stessa dei prodotti se si vuole continuare a operare in certi paesi. Il tutto nel pieno rispetto delle regole e della legalità». Le cose si complicano quando l’azienda esportatrice ha una filiale o fa affari con gli Stati Uniti. A questo punto l’impresa deve rispettare non solo le sanzioni dell’Ue su Russia e Iran ma anche quelle americane.