A cura di S. Caltabiano (partecipante del Master in Giurista d'Impresa)

L'IRAP è l'Imposta Regionale sulle Attività Produttive introdotta con il D.lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997, tributo dalla natura e dalla legittimità controversa, esso è stato ed è oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale su svariati fronti.

In questa sede si intende aprire un focus sull'applicazione di tale tributo in occasione di operazioni di calciomercato riguardanti l'acquisizione o la cessione di giocatori.

Tali operazioni, che innegabilmente hanno ampia visibilità nei media, hanno generato numerosi contenziosi con l'Agenzia delle Entrate in merito alla determinazione della basa imponibile su cui calcolare l’Imposta Regionale.

In relazione alla natura del tributo si deve evidenziare come esso sia definito dal MEF un “tributo regionale proprio derivato”.

L'IRAP, infatti, pur essendo un tributo che si definisce nella sua denominazione “Imposta Regionale”, è stato istituito con legge statale ed ha natura erariale.

Secondo il Giudice delle Leggi (sent. n. 296/2003) “la circostanza che l'imposta sia stata istituita con legge statale e che alle Regioni a Statuto Ordinario, destinatarie del tributo, siano espressamente attribuite competenze di carattere solo attuativo, rende palese che l'imposta stessa- nonostante la sua denominazione- non possa considerarsi “tributo proprio della Regione”, nel senso in cui oggi tale espressione è adoperata dall'art. 119, comma 2, della Costituzione, orientamento che si può dire essere stato poi consacrato nelle sent. nn. 37/2004 e 241/2004 della Corte Costituzionale.

La disciplina sostanziale dell'IRAP rientra tuttora nella esclusiva competenza dello Stato in materia di tributi erariali (art. 117, comma 2, lettera e).

L'imposta regionale sulle attività produttive ha suscitato anche forti dubbi di costituzionalità per la presunta violazione, relativamente all'individuazione del presupposto di imposta ed alla determinazione della base imponibile, dei principi di eguaglianza e capacità contributiva sanciti, rispettivamente, dagli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Si dubitava inoltre della sua compatibilità con l'art. 33 della Direttiva CEE 17 maggio 1977, n. 388 (c.d. VI Direttiva IVA): secondo la Commissione Tributaria di Cremona, che ha investito della questione la Corte di Giustizia Europea (Causa n. C- 475/03), l'IRAP sarebbe una sorta di IVA e si porrebbe pertanto in contrasto con il divieto, stabilito dal citato art. 33, di introdurre imposte sulla cifra d'affari ulteriori rispetto all'IVA medesima; posizione poi superata con sentenza del 3 ottobre 2006 che ha riconosciuto la legittimità del tributo.

In un quadro già confuso ed oggetto di un instancabile dibattito si va ad inserire l'oggetto di questa breve dissertazione vertente sulla rilevanza ai fini IRAP dei proventi e degli oneri derivanti dalle operazioni di calcio mercato.

Giova ricordare come gli operatori del settore calcistico discutano ampiamente di tale imposta poiché, a torto o a ragione, ritengono che essa presenti aspetti gravemente discriminatori: un aspetto macroscopico del problema è costituto dall’impossibilità per le società calcistiche di dedurre il costo del lavoro ai fini IRAP.

La norma che regolamenta tale aspetto, ovvero il nuovo comma 4 octies dell’art. 11 D.lgs. n. 446/97 introdotto dall’art. 1 della L. n. 190/2014, prevede l'integrale deducibilità dell'intero costo sostenuto per i lavoratori, ma solo per i dipendenti a tempo indeterminato e per poche altre categorie non riferibili certamente alla figura professionale del calciatore, e ciò a fronte di una normativa che impone che i contratti con i giocatori abbiano una durata non eccedente i cinque anni dal momento della stipula  (art. 5 Legge 23 marzo 1981 n. 91), rendendo così di fatto inapplicabile il concetto di lavoro a tempo indeterminato alla prestazione svolta dai calciatori nell'interesse della società, con la conseguente impossibilità di dedurre il relativo costo ai fini IRAP.

In considerazione dei costi sostenuti dalle società sportive per gli “stipendi” dei propri giocatori appare di tutta evidenza come l’impossibilità di portarli in deduzione incida sulla determinazione della base imponibile ai fini dell’Imposta Regionale.

Un’altra questione per lungo tempo dibattuta è stata quella delle plusvalenze o minusvalenze generate dalle operazioni di calciomercato che ha visto contrapporsi l’Amministrazione Finanziaria e le società calcistiche; questione poi in qualche modo risolta dal Decreto Milleproroghe (D.L. 244/2016 convertito dalla Legge n. 19/2017).

Invero il citato decreto ha, probabilmente come mero effetto collaterale, risolto l’annosa questione della rilevanza ai fini IRAP dei proventi e degli oneri derivanti dalle operazioni di cessioni ed acquisizioni di giocatori nell'ambito di quello che viene definito calciomercato.

Tale normativa infatti ha portato all'insperata soluzione della vexata questio della riconducibilità  del contratto di cessione del giocatore nell'alveo dei beni strumentali immateriali da inserire nel bilancio come una species del genere “concessioni, licenze, marchi e diritti simili” anziché indicarlo come un onere pluriennale suscettibile di ammortamento, con evidenti conseguenze pratiche nella determinazione della base imponibile su cui calcolare l'aliquota IRAP.

La prima scuola di pensiero, sostenuta dall'Amministrazione Finanziaria e suffragata da più pronunce positive della Corte di Cassazione e recentemente dal Consiglio di Stato (parere n. 5285 del 11 dicembre 2012), riteneva che la “cessione del calciatore” (tecnicamente la cessione del diritto alla prestazione sportiva) fosse riconducibile all'ipotesi di trasferimento di un bene strumentale immateriale.

Il negozio concluso fra le due società sportive consentirebbe infatti di succedere nel contratto di prestazione sportiva esistente, acquisendo così il diritto alla prestazione esclusiva dell'atleta (Agenzia delle Entrate risoluzione n. 213/E del 19 dicembre 2011): in tal modo apparirebbe pacifica la qualificazione in termini di bene strumentale immateriale ovvero strumentale all'esercizio dell'impresa, tanto in un’accezione fiscale (ammortizzabile ai sensi dell'art. 68 del T.U.I.R.), quanto civilistica, trattandosi di elemento necessario per conseguire l'oggetto sociale.

Facendo riferimento al principio della correlazione di cui all'art. 5 comma 4 del D.lgs. 446/97 si deve ritenere che le plusvalenze realizzate a fronte del costo del diritto alle prestazioni sportive effettivamente sostenuto ed ammortizzato (ai fini IRAP) in periodi di imposta precedenti danno luogo a componenti positive imponibili del valore della produzione netta: da ciò discende che in caso di cessioni a costo zero (ad esempio di calciatori del proprio vivaio), che non hanno dato luogo quindi alla contabilizzazione di alcun costo suscettibile di ammortamento, non sorge il presupposto imponibile.

Di fatto con la cessione del contratto di prestazione sportiva si realizza il trasferimento di un bene immateriale strumentale, cosicché il differenziale positivo e negativo, emergente dal confronto tra il corrispettivo convenuto fra i contraenti ed il valore fiscalmente riconosciuto al diritto stesso in capo al cedente, ha pieno titolo per concorrere alla formazione della base imponibile del tributo.

Di diversa opinione era l'altra scuola di pensiero che riteneva che il trasferimento dell'atleta da una società ad un'altra dovesse essere scomposto in due negozi giuridici: uno costituito dalla rinuncia della società al diritto di servirsi in esclusiva della prestazione del giocatore ed il secondo consistente nella stipula di un nuovo contratto di prestazione sportiva fra la squadra “cessionaria” e l'atleta stesso. Proprio dalla scomposizione della vicenda della cessione in due distinti negozi giuridici discenderebbe la qualificazione di onere pluriennale suscettibile di ammortamento  (espressivo dell'utilità derivante per la squadra avente causa dal consenso alla risoluzione anticipata del contratto di prestazione sportiva già in essere con l'atleta al quale essa è interessata, ottenuto dietro il versamento di un corrispettivo in favore della società dante causa).

Il prezzo riconosciuto dalla cessionaria alla cedente costituirebbe il compenso pattuito per l'assenso alla risoluzione, estraneo all'ambito di applicazione dell'imposta, mentre il contratto autonomo con il giocatore entrerebbe nell’alveo del contratto di lavoro.

Si deve aggiungere che tale orientamento, seguito prevalentemente dalla dottrina, non è stato sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità; la giurisprudenza di merito ha avuto alterni orientamenti e, di fatto, nemmeno le Società calcistiche ne hanno fatto oggetto di ricorso innanzi alle Magistrature Superiori, limitandosi a coltivare la questione relativa alle sanzioni di cui si chiedeva la non applicazione in ragione del contrasto e della difficoltà interpretativa della norma.

Tale aspra diatriba oggi sembra essere stata risolta dal decreto Milleproroghe sopra citato recante, tra l'altro norme per il “coordinamento in materia di IRES e IRAP con il Decreto Legislativo 139/2015”.

Il novellato art. 5 comma 1 della Legge 446/97 prevede oggi che per i contribuenti costituiti in forma di società di capitale residente (coinvolgendo anche i contribuenti ias adopter: A.S. Roma spa, Juventusfootball Club spa e S.S. Lazio Spa, i cui titoli sono negoziati sulla Borsa di Milano), “la base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore ed i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell'art. 2425 c.c., con esclusione delle voci di cui ai numeri 9) e 10), lettere c) e d), 11) e 13), nonché dei componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti d'azienda o di rami di azienda, così come risultanti dal conto economico di esercizio”.

Pertanto qualsiasi componente positiva o negativa, a prescindere dalla strumentalità o meno del bene che ne costituisce fonte o dalla ordinarietà o meno dell'attività di gestione che lo genera, concorrerà alla determinazione del valore della produzione netta.

Con ciò superando il problema della definizione del giocatore quale bene strumentale!

Concludendo appare doveroso segnalare il progetto di legge n. 4365 presentato alla Camera dei Deputati in data 14 marzo 2017 (progetto di legge Bernardo) con cui si propone di risolvere, tra le altre, anche la questione dell'imponibilità delle plusvalenze generate da operazioni di calcio mercato ai fini IRAP.

Ferma l’assoggettabilità delle plusvalenze ai fini IRAP, l’art. 3 del progetto consente di ripartirle fino ad un massimo di cinque periodi di imposta.

Tale previsione, qualora il progetto dovesse mai vedere la luce, permetterebbe alle società calcistiche, e solo a queste, di gestire le plusvalenze su più esercizi, con un innegabile vantaggio, ritenuto da alcuni assolutamente indebito e da altri letto invece come un parziale riequilibrio in ragione dell’indeducibilità dei costi del lavoro relativamente ai calciatori.

Appare di tutta evidenza come il settore dello sport e del calcio in particolare, in ragione dell'importanza anche economica dello stesso, richiederebbe un intervento maggiormente organico e specifico considerate le sue specifiche peculiarità.

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