A cura di R. Farina e W. Pezone (partecipanti in area Legale)

Il concetto di rischio è connaturato al significato d’impresa, ma mai come negli ultimi anni, è divenuto così  complesso e insidioso, colpendo duramente anche le istituzioni finanziarie.

Quest’ultimi tipi d’impresa, pur altamente regolamentati, hanno mostrato, infatti, disastrose debolezze strutturali che sono state causa di ampi danni reputazionali e di vasti danni economici alla clientela, nonché di ingenti problemi occupazionali. Tali criticità si sono verificate nell’ambito del contesto nazionale che internazionale.

Le imprese in genere sono risultate impreparate  nell’affrontare problemi inattesi quali:

  • il crollo della domanda di molti prodotti (si veda in particolare il mercato immobiliare);
  • lo shock conseguente alla innovazione tecnologica (il fenomeno di Amazon ne è un chiaro esempio, per ciò che ha determinato alla concorrenza);
  • la volatilità del prezzo delle commodities;
  • la turbolenza dei mercati finanziari e la stretta sulla disponibilità di liquidità.

In una situazione in cui la realtà economica risulta ristabilita o, se non altro, stabilizzata, le istituzioni finanziarie si interrogano su come, nonostante la loro attività sia ampiamente regolamentata,  i loro sistemi di gestione del rischio abbiano fallito.

Alla luce di tali fatti, le aziende stanno provvedendo a realizzare un adeguato sistema di gestione del rischio e di framework of risk management, al fine di poter affrontare il prossimo eventuale shock.

Il concetto di rischio è correlato a quello di pericolo, che può valutarsi in pericolo probabile e pericolo che, non potendosi approssimare o ricostruire statisticamente, va definito incerto, ma può anche essere fonte di profitto per chi esercita attività d’impresa. In questo modo, il rischio potrà essere eliminato, trasferito o essere fatto oggetto di una gestione integrata che individui possibili aree di miglioramento della competitività aziendale.

Il rischio può essere, inoltre, variamente classificato, ad esempio in:

  • rischio imprenditoriale o competitivo;
  • rischio non competitivo (es. rischi di Compliance).

Fra i rischi principali che afferiscono la vita di un’azienda. Particolare attenzione, va attribuita ai rischi di Compliance, collegati al rapporto fra risk management e la normativa italiana e internazionale.

Il rischio di Compliance è suddivisibile in rischio: legale e reputazionale.

Entrambi possono minare le basi dell’azienda qualora si verifichino. I Controlli Interni nelle istituzioni bancarie, in passato, vedevano, come unico attore il Collegio Sindacale, ora la funzione di Compliance, nell’ambito dell’attività finanziaria e creditizia, consiste:

  • nell’asseverare la conformità alle norme, qualsiasi ne sia la fonte, alle quali gli istituti che operano in tale ambito, ne siano soggette;
  • allineare l’attività bancaria alle norme giuridiche che l’afferiscono;
  • operare con un approccio ex ante, in relazione alle esposizioni, effettuando valutazioni preventive, ed ex post riscontrando le soluzioni adottate;
  • valutare l’impatto delle norme sull’istituto bancario, formulando proposte organizzative.

Norme oggetto dell’attività di Compliance sono, per esempio, quelle afferenti la:

  • normativa antiriciclaggio e contro il finanziamento al terrorismo;
  • normativa antiusura;
  • legge n. 231/01.

Il riciclaggio di denaro è una pratica diffusa, da considerarsi elemento detrattivo intrinseco al sistema economico. Le fonti italiane ed internazionali, negli ultimi anni, hanno affrontato il problema in modo sempre più risoluto, soprattutto nella direzione di prevenzione e tracciabilità del denaro proveniente da attività criminosa che continuamente minaccia il sistema finanziario internazionale.

In questa direzione va citato il d.lgs n. 231/2007, che recepisce la direttiva CE n. 60/2005. La suddetta fonte normativa pone alla propria base l’obiettivo d’individuare i proventi illeciti derivati da attività criminose, attraverso l’identificazione di alcune azioni che, se sorrette dall’intenzionalità, vengono configurate come pratiche volte al riciclaggio di denaro. Tale decreto individua i seguenti aspetti:

  • l’azione cosiddetta di “pulizia” del denaro sporco, la quale si estrinseca attraverso la  prima fase di collocamento del denaro - placement - dove il denaro viene frazionato in piccole tranche e immesso nel circuito finanziario;
  • fase di stratificazione, che avviene susseguentemente all’immissione del denaro illecito nel mercato, attraverso una serie di trasferimenti e spostamenti che ne fanno perdere l’origine;
  • conseguenti investimenti ed acquisti leciti, come per esempio attività commerciali.

Il termine riciclaggio o pulizia del denaro “sporco” nasce dall’esperienza USA, dove i proventi della criminalità, negli anni ‘50 venivano reinvestiti in vere e proprie lavanderie “wash machine”.

Per poter prevenire un’azione dedita al riciclaggio di denaro, la normativa interna insieme alle direttive CE, da ultima la IV direttiva n. 849 del 2015, recepita in Italia solo nel gennaio 2017, pongono, per gli addetti ai lavori, degli obblighi di particolare importanza. Tali obblighi sono sinteticamente individuabili nell’azione di collaborazione attiva che si pongono in capo a professionisti (avvocati, commercialisti) e banche.

 Obblighi previsti:

  • identificare il cliente
  • denunciare la sua posizione qualora si configuri il solo sospetto che i proventi o la disponibilità economica del cliente derivino da azioni illecite e, in tal modo, volte a ingenerare il meccanismo di riciclo del denaro.

La posizione che assumono al riguardo le varie associazioni di categoria sono molto contrastanti e la legge pare prestare il fianco a questa generalità di applicazione della norma.

Il CNF, con circolare del 2017, prevede l’obbligo di registrazione su apposito registro  dell’anagrafica dei clienti dell’avvocato lasciando alla discrezionalità del professionista  la denuncia in caso di sospetto riciclaggio all’UIF.

Il d.lgs n. 201/2011 prevedeva il limite massimo di uso del contante di € 1.000,00 giornaliero. Nel 2017 tale limite è stato innalzato ad € 2.999,00.  Tale normativa antiriciclaggio è volta ad evitare che attività criminose possano trarre vantaggio dall’impossibilità di ricostruire i movimenti di denaro contante. La soglia limite in ogni caso non si applica per i versamenti o i prelievi da conti propri. Il tetto è infatti stabilito solo nel caso di pagamenti verso terzi.

Ruolo fondamentale può essere giocato dal funzionario di banca o delle poste per la potenziale conoscenza dell’attività svolta dal cliente e della provenienza del capitale dello stesso. Qualora venga superato questo step, nonostante l’illecita provenienza del denaro versato, si concretizza il più classico dei meccanismi di Wash Machine (Wash Money). L’auspicio, affinché questo fenomeno possa essere sconfitto, è che qualsiasi persona e a maggior ragione gli addetti ai lavori possano denunciare in tempo, qualora abbiano il fondato motivo o la fondata idea che ciò che stanno gestendo sia di provenienza illecita; ma senza ombra di dubbio tale atteggiamento non sarà mai intrapreso fin quando la legge non sia in grado di dare maggiori garanzie e incentivi a chi fornisce un sostanziale apporto alla scoperta di flussi di denaro illecito.

D’altronde non lo scopriamo di certo noi, operatori degli anni 2000, che “Segui i soldi e troverai la mafia” (G. Falcone).

Il termine usura deriva dal latino e più precisamente dalla commistione del sostantivo usus e del verbo utur, che indicavano i frutti derivanti dall’uso e quindi più genericamente si fa riferimento a qualsiasi guadagno derivante da un prestito.

Inizialmente l’art 644 c.p., rappresentava l’unica tutela rispetto al fenomeno dell’usura e faceva riferimento essenzialmente a due requisiti: l’approfittamento dell’usuraio e lo stato di bisogno in cui versava la vittima. Era esclusa dalla previsione normativa l’usura nei confronti dell’imprenditore.

Con la legge 172/1992, l’art. 644 bis c.p. venne sanzionato colui che “approfittando delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge un’attività imprenditoriale o professionale, si fa dare o promettere, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari”, lasciando alla discrezionalità del giudice in tema di tasso d’interesse applicabile.

Così l’usura, profondamente radicata nel tessuto sociale, non mostrò segni di riduzione.   La successiva legge 108/96, prevedeva un tasso soglia oltre il quale si configurava un comportamento usuraio.

Nello stesso tempo, per evitare vuoti normativi, il legislatore ha mantenuto la disciplina presente nel c.p. proprio per evitare quei comportamenti illeciti che possono verificarsi anche nelle ipotesi in cui gli interessi sono fissati al di sotto del tasso legale, ma comportano ugualmente uno squilibrio di prestazioni.

Il c.d. tasso soglia è calcolato aumentando della metà il tasso effettivo globale (TEG), rilevato dal Ministero del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio Italiano dei Cambi.

La legge 108/96 ha apportato delle modifiche anche alla disciplina sanzionatoria, infatti, è stato modificato l’art. 1815 c. 2 c.c. stabilendo che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”, senza, però, invalidare l’intero contratto.

La medesima legge ha dato origine ad un altro dibattito, relativo alla c.d. usura sopravvenuta di tassi d’interesse che erano leciti al momento in cui erano stati pattuiti.

Su questo punto si configurarono due orientamenti contrastanti: da una parte vi erano coloro che ritenevano che la legge 108 dovesse applicarsi anche ai rapporti sorti antecedentemente alla sua entrata in vigore, dall’altra vi erano gli oppositori  a questa tesi e che fondavano le loro ragioni sulla realità del contratto di mutuo che si perfeziona con la traditio.

Con la sentenza 14899/2000 della Corte di Cassazione si consacrò il primo orientamento che però creò allarmismo tra gli istituti di credito rendendo così necessario l’intervento del legislatore che con d.l. 394/200 ribaltò la situazione. Sul tema dell’usura sopravvenuta si è poi proseguito con cambi di rotta e ancora oggi non si è giunti ad una conclusione, come del resto è in continua evoluzione tutto ciò che ruota attorno alla tematica del reato di usura.

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