A cura dell'Avv. R. Cristaldi, Docente in area Legale

1. Lo smartworking nella c.d. “Fase 2”: una nuova modalità ordinaria di svolgimento dell’attività lavorativa?

Il “lavoro agile”, disciplinato dalla L. 22 maggio 2017, n. 81 al dichiarato scopo di incrementare la competitività e di agevolare, al contempo, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ha rappresentato uno degli strumenti principali utilizzati nella fase del lockdown per consentire alle imprese, nel rispetto delle restrizioni alla libertà personale e imprenditoriale imposte dall’emergenza sanitaria, di continuare a svolgere tutta o parte delle attività lavorative. Nella fase emergenziale, infatti, lo smartworking è passato rapidamente da forma di lavoro fortemente raccomandata a unica possibilità di continuare a svolgere l’attività lavorativa – o parte di essa – per le imprese che hanno subito il blocco forzato delle attività. Anche nella nuova ed attuale “fase 2” lo smartworking si conferma utile strumento per consentire la prosecuzione dell’attività e garantire, al contempo il rispetto del distanziamento sociale e l’osservanza del divieto di assembramento nei luoghi di lavoro. 

Sotto questo profilo, la modalità “agile” di svolgimento dell’attività lavorativa si atteggia a vera e propria misura di prevenzione che può essere adottata dal datore di lavoro laddove essa rappresenti il modo di garantire la tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro. Con la decretazione d’urgenza, la disciplina del lavoro agile nel rapporto di lavoro privato è stata parzialmente modificata e integrata:

  1. Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica (31 luglio 2020) i genitori dipendenti da datore di lavoro privato che hanno almeno un figlio di età inferiore a 14 anni hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali. Il diritto riconosciuto ai dipendenti con figli di età inferiore a 14 anni è subordinato al fatto che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia altro genitore non lavoratore, nonché alla condizione che lo svolgimento dell’attività in modalità “agile” sia compatibile con la prestazione lavorativa da svolgere. Il diritto allo svolgimento dell’attività in smartworking per i dipendenti con figli di età inferiore a 14 anni si aggiunge a quello – già previsto dall’art. 39 D.L. 18/2020, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 – riconosciuto in favore dei dipendenti affetti da grave disabilità ai sensi dell’art. 33, comma 3, L. 104/1992, ovvero di quelli che assistono familiari appartenenti al medesimo nucleo familiare in condizioni di gravi disabilità, nonché in favore dei dipendenti immunodepressi o che assistono familiari conviventi immunodepressi. Hanno diritto di priorità nell’accoglimento delle domanda di svolgimento dell’attività lavorativa in smartworking, invece, i lavoratori affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa;
  2. La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente, qualora non siano forniti dal datore di lavoro;
  3. Per il periodo in cui vige lo stato di emergenza epidemiologica (fino al 31 luglio 2020) i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
  4. Per il periodo in cui vige lo stato di emergenza epidemiologica e comunque non oltre il 31 dicembre 2020 è possibile fare ricorso allo smartworking per lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività anche in assenza di specifico accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore;
  5. Gli obblighi di informativa relativi all’individuazione dei rischi generali e dei rischi specifici connessi allo svolgimento dell’attività in modalità “agile” possono essere assolti in via telematica, anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL.

Art. 90 D.L. 19 maggio 2020, n. 34

«1. Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.

2. La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro.

3. Per l'intero periodo di cui al comma 1, i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

4. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per i datori di lavoro pubblici, limitatamente al periodo di tempo di cui al comma 1 e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all'articolo 22 della medesima legge n. 81 del 2017, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL).»

 

È utile precisare che in caso di ricorso allo smartworking anche nelle forme “semplificate” introdotte dalla decretazione d’urgenza, il datore di lavoro privato deve, in ogni caso, garantire il rispetto dei principi di cui agli articoli 18 a 23 della L. 81/2017, tra i quali: rispetto dei limiti massimi di durata dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, individuazione delle misure tecniche ed organizzative necessarie per garantire il rispetto del c.d. diritto alla disconnessione da parte del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche, parità di trattamento economico e normativo, individuazione di regole e modalità per il legittimo esercizio, da parte del datore di lavoro, del potere di controllo e di quello disciplinare sull’attività del dipendente.

Al fine di garantire il rispetto di tali principi, appare senz’altro utile l’adozione di regolamenti (o protocolli) predisposti unilateralmente dal datore di lavoro, attraverso i quali prevedere, per esempio, fasce di reperibilità dei lavoratori, regole comuni di utilizzo degli strumenti informatici, nonché limiti e prerogative del datore di lavoro per il legittimo esercizio dei poteri di controllo e disciplinare. L’adozione di uno specifico protocollo aziendale consentirà al datore di lavoro, da un lato, di dimostrare di aver fatto ricorso al lavoro agile, anche quale misura di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro e, d’altro lato, di prevenire contestazioni da parte dei lavoratori relative a eventuali violazioni dei principi sanciti in tema di lavoro agile. Con il medesimo protocollo o regolamento il datore di lavoro potrà, inoltre, individuare le attività lavorative compatibili con lo svolgimento della modalità agile, onde prevenire, anche in questo caso, potenziali contestazioni da parte dei lavoratori – per esempio, con figli di età inferiore a 14 anni - relative alla violazione del diritto allo svolgimento dell’attività in smartworking.

 

2. Proroghe e rinnovi nel contratto a termine ai tempi del Coronavirus: reale vantaggio per i datori di lavoro o un’occasione mancata di un reale supporto alle imprese?

Con la (ennesima) riforma della disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato dell’estate del 2018 (attuata attraverso il c.d. Decreto Dignità – D.L. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96 che ha modificato, tra l’altro, gli articoli da 19 a 29 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81), l’allora governo gialloverde è intervenuto, stravolgendolo, su uno degli istituti del diritto del lavoro che consente alle imprese di fruire della necessaria flessibilità a fronte di specifiche esigenze aziendali.

La normativa attualmente in vigore consente di stipulare, tra datore di lavoro e lavoratore, un contratto di lavoro a tempo determinato per una durata massima di 24 mesi, comprese eventuali proroghe e rinnovi.

Il contratto di lavoro a termine che sia instaurato ab origine per un periodo superiore a 12 mesi, ovvero che superi la durata complessiva di 12 mesi considerando anche le proroghe, o che sia, a prescindere dalla durata complessiva del rapporto, rinnovato, impone al datore di lavoro di indicare una specifica causale tra quelle previste dall’art. 19 D. Lgs. 81/2015, ossia:

  • «esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria, ovvero
  • esigenze di sostituzione di altri lavoratori», oppure
  • «esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria».

È confermato, inoltre, il divieto di stipulare contratti di lavoro a termine nel caso in cui, tra le altre ipotesi, l’impresa faccia ricorso alla riduzione dell’orario o alla sospensione dell’attività in conseguenza del ricorso agli ammortizzatori sociali. In tal caso, il divieto di apposizione del termine finale di durata al rapporto di lavoro si estende tanto alla stipula di nuovi contratti, quanto alla proroga o al rinnovo di precedenti rapporti di lavoro a termine.

L’attuale emergenza epidemiologica connessa alla diffusione di Covid-19 ha imposto l’introduzione di misure eccezionali ed urgenti da parte del Governo, onde consentire, da un lato, alle imprese di sopravvivere alla protratta chiusura (o alla forte riduzione) delle attività e, d’altro lato, di salvaguardare i livelli occupazionali. Tenendo a mente questo duplice obiettivo, negli ultimi mesi anche le norme che regolano il ricorso al rapporto di lavoro a tempo determinato sono state impattate dalla necessità di rendere più “malleabili” i rigidi confini disegnati dall’ultima riforma della citata disciplina del contratto di lavoro a termine.

 

Il Decreto Cura Italia

In sede di conversione in legge del c.d. Decreto Cura Italia (D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27) il legislatore ha introdotto una temporanea deroga al divieto di prorogare o rinnovare contratti di lavoro a tempo determinato per i datori di lavoro che, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali per riduzione o sospensione dell’attività lavorativa.

Art. 19 bis D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 24 aprile 2020, n. 27, in sede di conversione)

«1. Considerata l'emergenza epidemiologica da COVID-19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto, nei termini ivi indicati, è consentita la possibilità, in deroga alle previsioni di cui agli articoli 20, comma 1, lettera c), 21, comma 2, e 32, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, di procedere, nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione.»

 

La formulazione della norma ha subito prestato il fianco ad osservazioni critiche: la possibilità di prorogare o rinnovare contratti di lavoro a tempo determinato è, in ogni caso soggetta, alla indicazione di una delle causali indicate all’art. 19 D.Lgs. 81/2015, in caso di proroga, se con lo slittamento della data finale del rapporto inizialmente concordata tra le parti la durata complessiva del rapporto di lavoro a termine sia superiore a dodici mesi, ovvero, in caso di rinnovo, a prescindere dalla durata complessiva del rapporto a termine.

 

Il Decreto Rilancio

Di più ampio respiro, invece, è la previsione introdotta con il c.d. Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34) che ha previsto la possibilità di prorogare o di rinnovare i contratti di lavoro a termine senza necessità di indicare alcuna causale.

Art. 93 D.L. 19 maggio 2020, n. 34

«1. In deroga all'articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all'emergenza epidemiologica da COVID-19, è possibile rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020, anche in assenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.»

 

Anche in questo caso, tuttavia, la norma presenta luci e ombre: se è vero che è stata liberalizzata la possibilità di rinnovare o prorogare contratti di lavoro a termine, la norma, così come attualmente formulata, non manca di offrire spunti di riflessione e, sicuramente, di dibattito interpretativo. Anzitutto, la possibilità di non indicare la causale per la proroga o il rinnovo è consentita solo per contratti di lavoro a termine già in essere alla data del 23 febbraio 2020. Restano esclusi, dunque, tutti i contratti di lavoro il cui termine era già spirato alla data del 23 febbraio 2020, nonché i rapporti a termine che abbiano avuto esecuzione (ma il cui contratto sia stato, eventualmente, sottoscritto tra le parti in data antecedente) dal 24 febbraio 2020 in poi. Altro importante dubbio interpretativo riguarda l’inciso per cui la facoltà di non indicare la causale in caso di rinnovo o di proroga del contratto a termine è riconosciuta ai datori di lavoro «per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all'emergenza epidemiologica da COVID-19».

Non sfugge, già ad un primo approccio, che l’inciso utilizzato nel Decreto Rilancio sembra richiamare l’idea di una vera e propria ragione giustificatrice (id est, una causale) che consente l’operatività del regime di acausalità solo “per far fronte al riavvio delle attività”, con la conseguenza che interpretando in maniera più rigida la norma si potrebbe giungere alla conclusione per cui la proroga o il rinnovo dei contratti a termine è consentita ai soli datori di lavoro che abbiano sospeso l’attività e che debbano farla ripartire dopo l’emergenza sanitaria. Al contrario, la proroga o il rinnovo di contratti di lavoro a termine in essere al 23 febbraio 2020 senza necessità di indicare la causale non sarebbe possibile per quei datori di lavoro che non hanno subito il fermo dell’attività. Infine, i contratti a termine potranno essere prorogati o rinnovati senza indicazione della causale entro il 30 agosto 2020.

Ma qual è il significato di questa previsione? Significa, forse, che i rinnovi e le proroghe potranno essere disposti dal datore di lavoro entro il 30 agosto 2020? Oppure che la durata del rapporto a termine, prorogato o rinnovato, non potrà comunque eccedere il termine finale del 30 agosto 2020?

Tale ultima interpretazione è stata fatta propria dal Ministero del Lavoro che, con brochure pubblicata sul sito istituzionale il 25 maggio 2020, ha chiarito che la durata dei rapporti di lavoro a termine, prorogati o rinnovati ai sensi del Decreto Rilancio, non potrà eccedere la data del 30 agosto 2020. Si tratta di un’indicazione, quest’ultima, senz’altro autorevole ma non vincolante che, in mancanza di maggiori precisazioni in sede di conversione in legge del Decreto Rilancio non è decisiva ai fini della risoluzione di eventuali conflitti interpretativi.

Il tentativo, senz’altro apprezzato e richiesto da molti operatori del settore, di allargare le maglie del ricorso al contratto di lavoro a termine rischia di generare, sotto più profili, nuovo contenzioso, con la conseguenza che, misure introdotte con il duplice obiettivo di garantire flessibilità ai datori di lavoro nella fase di ripartenza e di tutelare i livelli occupazionali, genererà, già nei prossimi mesi, nuovi costi sia per i lavoratori, sia per i datori di lavoro.

Ultima modifica il 23/06/2020

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