Formazione aziendale: cos'è e come è cambiata con il Covid-19
Formazione aziendale e Covid19
La formazione continua come approccio strategico win-win nella relazione tra persona e organizzazione
Negli anni il concetto di formazione ha presentato una connotazione sempre più polisemantica, riferendosi ad accezioni molteplici e non univoche; questo perché, come ci suggerisce Quaglino (2005), si tratta di una disciplina “se non di incerta identità, sicuramente di molteplice e complessa identificazione” (p. 10).
Una delle definizioni classiche, che ben si sposa con i fini del presente paragrafo, è quella offerta da Goad (1982), che la considera “un’attività di sviluppo delle risorse umane […] collegata al miglioramento di abilità, al come fare le cose […] che contribuisce direttamente e indirettamente al benessere e al successo degli individui e delle organizzazioni” (pp. 9-10).
Tutte le definizioni presenti in letteratura sembrano però avere un’indiscutibile trasversalità: quella dell’apprendimento, concetto chiave all’interno di un contesto organizzativo caratterizzato da continui cambiamenti, in cui ogni conoscenza consolidata va incontro ad una sempre più rapida obsolescenza.
In uno scenario di questo tipo, apprendere significa quindi esplorare nuovi spazi di intervento e sperimentare nuove possibilità di azione al fine di ristrutturare il patrimonio conoscitivo e di elaborare nuovi modelli cognitivi e comportamentali (Warglien, 1990). In altre parole, come sostiene Gagnè (1990), apprendere significa avviare e sostenere un processo di sviluppo, sia per la persona che per l’organizzazione.
La crescita delle forme di lavoro atipico e i continui processi di ristrutturazione, di reengineeringe di downsizing che le aziende devono realizzare per far fronte alla complessità dei mutamenti in atto – riassumendo, la “stabilità dell’instabilità” tipica dell’odierno sistema economico – si traducono spesso per i lavoratori in una condizione di precarietà: la maggior parte delle organizzazioni non può più promettere che esse non verranno comprate da un'altra società, che ci sarà spazio per le promozioni, che il tipo di lavoro che propongono esisterà fino al raggiungimento dell'età pensionabile, che non si troveranno costrette a dover licenziare parte del personale (Bianco & Toderi, 2008).
I lavoratori sono pertanto sempre più incoraggiati, se non costretti, a mantenere la loro esperienza lavorativa il più aggiornata possibile, in modo da potersi assicurare un altro posto di lavoro in caso di licenziamento o di mancato rinnovo del contratto attuale.
Tra le considerazioni che si possono fare sulla base di quando esposto finora, vi è quella inerente all’esigenza dell’individuo di lavorare in un contesto che valorizzi l’apprendimento continuo, in modo tale da consentire lo sviluppo della propria employability. A tal proposito, l’organizzazione, da un lato sa che dovrebbe fare importanti investimenti in programmi di formazione e sviluppo per i propri dipendenti, facendo sue tutte le caratteristiche tipiche di una learning organization, dall’altro sa che i dipendenti appena formati potrebbero non rimanere abbastanza a lungo per consentire il recupero dei costi di formazione (Cappelli, 1997).
Come sottolinea Pia-Maria Thoren (2019), questo dilemma non dovrebbe esistere: solo incentivando una formazione continua, l’organizzazione può ambire ad una più rapida innovazione, oggi necessaria per la sopravvivenza. Considerando inoltre il modo in cui si sono modificate le aspettative del lavoratore, investire sulla formazione rappresenta oggi non solo una delle principali leve che l’organizzazione può utilizzare per fronteggiare la possibile mancanza di motivazione dei dipendenti causata dalla scarsità della stabilità lavorativa, ma anche un’ottima strategia di employer branding. In merito, l’autrice riporta all’interno del suo libro “Agile People”, una conversazione breve ma emblematica tra un CFO e un CEO, in cui il primo chiede «Cosa succede se investiamo nello sviluppo dei nostri e poi loro ci abbandonano?» e il secondo risponde «Cosa succede se invece rimangono?».
L’impatto del Covid-19 sulla formazione aziendale
L’imprescindibilità della formazione continua è stata resa ancora più evidente dalla crisi causata dal Coronavirus, durante la quale la formazione e le competenze hanno acquisito sempre più importanza, come dimostrato da una ricerca condotta fra novembre 2020 e gennaio 2021 da AstraRicerche per conto di CFMT e Manageritalia su un campione di oltre 1.100 manager del settore Terziario: nonostante si siano trovati a fronteggiare anche altre criticità di primaria rilevanza (quali, per esempio, la revisione dei budget e delle strategie a medio e lungo termine), i manager si sono occupati in modo più significativo rispetto a prima sia della propria formazione (59,6%) che di quella dei lavoratori (53,4%).
Va inoltre tenuto in considerazione che la pandemia è arrivata mentre il mondo e il nostro Paese stavano già fronteggiando numerose crisi, rappresentando così non solo una rivoluzione in sé, ma anche un enorme amplificatore di rivoluzioni già in essere. L’organizzazione lavorativa è mutata radicalmente e con essa anche il sistema formativo ha subito una profonda trasformazione, dovuta in primo luogo ad un’inevitabile accelerazione del passaggio dalla classica formazione in presenza a quella digitalizzata. Proprio con il fine di comprendere in che modo la formazione sia cambiata a seguito dell’emergenza Covid-19, Doxa ha svolto una ricerca in Italia su un campione di aziende sopra i 300 dipendenti. Tra i risultati emersi è stato evidenziato un netto aumento delle iniziative in e-learning (dal 18% al 64%), del budget destinato a questa nuova modalità di erogazione della formazione (dal 18 al 62%) e dei dipendenti che ne hanno beneficiato (dal 19 al 59%).
Ad essere cambiate non sono però soltanto le modalità, ma anche i contenuti della formazione. In particolare, la pandemia sembra aver rafforzato la richiesta di soft skill: per rispondere nel migliore dei modi alla presente crisi, serviranno infatti non solo un potenziamento delle competenze tecnologiche, ma anche e soprattutto competenze quali il time management, la leadership, la creatività, l’intelligenza emotiva, l’ascolto attivo, la flessibilità, la negoziazione, il problem solving, la resilienza, la capacità di lavorare in team (anche virtuali). Questa tendenza trova conferma da un’indagine svolta nel corso del giugno scorso dall’Associazione Italiana per la Direzione del Personale (AIDP), a cui hanno preso parte 158 imprese, tramite i loro HR Director. A livello di contenuti, è emerso che subito dopo quelli obbligatori (sicurezza, gestione dell’emergenza sanitaria, Legge 231) a prevalere sono stati proprio i temi relativi alle soft skill (59%).
La pandemia ha così portato a un nuovo atteggiamento delle aziende nei confronti della formazione online e dell’e-learning. Tale modalità di apprendimento rappresenta per molti Responsabili HR non solo un’importante opportunità, ma anche una scelta strategica: essa porta infatti con sé numerosi vantaggi in termini di accessibilità, velocità, riduzione dei costi, facilità di adesione. L’impressione è quella che si sia avviata una “democratizzazione” del sistema formativo, nel senso che il risparmio di tempo oltre che di costi monetari, stia consentendo a molti più lavoratori e anche ad aziende con budget limitati di investire in una formazione di alto livello. Tuttavia, quando si ha l’esigenza di lavorare sul senso di appartenenza e di trattare tematiche come il coinvolgimento e la motivazione, la formazione in presenza sembra rivelarsi ancora la modalità più adeguata. Essa, per sua natura, favorisce inoltre anche una più semplice creazione di networking e un maggiore sviluppo di rapporti interpersonali, più difficili da consolidare attraverso una formazione digitale.
In conclusione, in un contesto sempre più complesso e imprevedibile, la consapevolezza sul ruolo chiave di una formazione aziendale continua sembra essere notevolmente aumentata. Se da un lato la pandemia ha accelerato il processo di digitalizzazione della formazione, rendendola più accessibile, dall’altro, per tutti quegli aspetti che riguardano la sfera relazionale, la formazione tradizionale sembra ancora essere la modalità privilegiata.
Allo stato attuale, lo scenario più plausibile per il prossimo futuro sembrerebbe pertanto quello in cui a prevalere sarà un modello blended, ovvero un percorso formativo in parte in presenza e in parte a distanza. Non vi è però nessuna certezza a riguardo, se non quella che l’auspicato ritorno alla normalità non ripristinerà le abitudini del mondo del lavoro precedenti, comprese quelle relative al fare formazione: “niente sarà più come prima”.
Bibliografia e Sitografia
Bianco, G., & Toderi, S. (2008). Aspettative di reciprocità nella relazione persona-organizzazione: Il contratto psicologico. Giornale italiano di psicologia, 35(1), 71-102
Cappelli, P. (1997). Rethinking the nature of work: A look at the research evidence. Compensation & Benefits Review, 4, 50-58.
Gagné, R.M. (1990). Le condizioni dell'apprendimento. Roma: Armando Editore.
Goad, T.W. (1982). Delivering effective training. San Diego: University Associates.
Quaglino, G.P. (2005). Fare formazione. I fondamenti della formazione e i nuovi traguardi. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Thoren, P. M., (2019). Agile people. Un approccio radicale per HR e manager. Milano: Guerini Next.
Warglien, M. (1990). Innovazione e impresa evolutiva: Processi di scoperta e apprendimento in un sistema di routines. Padova: Cedam.
https://www.infinance.it/assets/Uploads/inFinance-HBR-RapportoFormazione-0721.pdf
Questi ed altri temi sono affrontati nel Master in Direzione del Personale.
A cura di Lucrezia Pedana (partecipante dell'Executive Master in Direzione del Personale).
Ultima modifica il 12/11/2021
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