La legge di riferimento nei rapporti contrattuali aventi parti di paesi differenti
A cura di N. Martuncelli (partecipante del Master in Giurista d'Impresa)
L’intensa globalizzazione corrente è indubbio che costituisca un fenomeno economico-sociale che tanto repentinamente quanto radicalmente ha modificato le abitudini afferenti il commercio internazionale.
Sebbene quest’ultimo fosse praticato già da secoli, ma invero costituiva oggetto di interesse solo in capo a pochi operatori economici impegnati in operazioni commerciali transfrontaliere, ad oggi si può ritenere che la propensione, da parte delle imprese, alla colonizzazione di mercati stranieri sia sempre più diffusa. È di tutta evidenza che tale nuovo assetto del mercato stia medio tempore ponendo in capo ai giuristi la necessità di comprendere quantomeno i principi fondamentali che sono alla base della contrattualistica internazionale, foriera di notevoli e innovativi riflessi operativi.
Le riflessioni che poniamo qui di seguito, seppur introduttive e dunque senza alcuna pretesa esaustiva, auspicano di fornire contezza al lettore di un aspetto al contempo preliminare ed essenziale, relativo alla contrattualistica internazionale, ossia quale legge di diritto positivo regolerà il rapporto commerciale tra contraenti di Paesi diversi[1]. L’argomento de quo, seppur in apparenza banale, potrebbe ingenerare rilevanti conseguenze all’atto pratico.
Un ulteriore, ma imprescindibile, ordine di valutazioni necessita di essere spiegata prima di inoltrarsi nell’approfondimento della materia de qua. In primis non esiste, ad oggi, un ordinamento sovranazionale preposto alla regolamentazione uniforme dei rapporti commerciali tra contraenti appartenenti a Stati diversi, idoneo a trovare diretta applicazione. Quanto appena esposto rende di tutta evidenza intuibile la difficoltà che le imprese operanti a livello transnazionale incontrino nell’individuare ex ante un quadro normativo di riferimento sicuro e prevedibile. Invero, è prassi assai frequente quella che vuole l’operatore commerciale ignaro, in caso di lite, sia circa la determinazione della normativa applicabile alla fattispecie concreta e sia su quale sarà l’organo giurisdizionale designato a dirimere una eventuale controversia. Ecco, dunque, che in un contesto a tal punto incerto, assume un ruolo primario il contratto, inteso quale strumento per il cui tramite le parti potranno ex ante stabilire quale legge disciplinerà il rapporto e quale giudice, ovvero arbitro, sarà chiamato a giudicare su un eventuale lite tra le medesime, in tal modo conferendo prevedibilità a una eventuale fase patologica del rapporto.
Esaurita questa seppur breve premessa, si ritiene opportuno, per il tramite di un esempio,dissuadere il lettore dalla convinzione che le tematiche in questione siano squisitamente teoriche. Poniamo che due contraenti, un venditore americano e un compratore italiano si accordino per il passaggio di proprietà di un fabbricato. Essendo per l’acquirente italiano indispensabile che l’acquisto avvenga entro e non oltre una determinata data, le parti convengo di inserire nel contratto una clausola penale. Per una serie di vicissitudini contingenti l’operazione non viene portata a termine. La problematica, ancorché non preliminarmente avvertita, si pone ora nella fase patologica del rapporto, giacché il diritto americano, fortemente volto alla liberalità, non prevede quale istituto la clausola penale, in quanto strumento idoneo a costringere una parte all’adempimento. Da quanto detto ne discende che, qualora non sia stata ex ante determinata la legge applicabile (in questo caso si rendeva necessario un esplicito richiamo al diritto italiano, e segnatamente l’art. 1382 Codice Civile), se il giudice ritenesse che quella applicabile sia la legge americana allora sarà probabile che tale organo dichiari l’invalidità ovvero l’inefficacia dalla pattuizione negoziale in esame, viceversa il giudice italiano la riterrebbe perfettamente valida[2].
Assodato che il contratto gioca nel campo delle operazioni commerciali transnazionali un ruolo precipuo, rimane da domandarsi cosa accada qualora le parti non pattuiscano preliminarmente quali regole amministreranno il rapporto e quale foro avrà giurisdizione in caso di lite.
In assenza di una tale disposizione contrattuale, l’individuazione della legge nazionale applicabile, ovvero di una convenzione internazionale, è rimessa alle norme di diritto internazionale privato, dalle quali, seppur all’esito di un procedimento la cui risultanza può condurre a conclusioni contraddittorie, si potrà pervenire alla individuazione del diritto applicabile.
Ragioni di spazio sconsigliano di optare per un approfondimento trasversale della materia de qua, ma si ritiene comunque appropriato dedicare, soprattutto in ragione dell’importante traguardo di armonizzazione recentemente raggiunto, un cenno alla nuova disciplina uniforme del diritto internazionale privato in tema di obbligazioni contrattuali adottata dall’Unione Europea, Reg. n. 593/2008, Regolamento Roma I.
Va fin d’ora precisato che il regolamento di cui sopra è in vigore in tutti gli stati europei (eccezion fatta per la Danimarca), Gran Bretagna compresa, e che questi ha sostituito il precedente regolamento, ossia la Convenzione di Roma del 1980. Nonostante ciò, quest’ultima riveste ancora precipua importanza in quanto, per espressa pattuizione ex art. 28 del Regolamento Roma I, sarà applicata a tutti i contratti conclusi prima del 17/12/2009.
In merito ai criteri funzionali alla determinazione della legge applicabile, assume la veste di parametro primario, ut supra se ne faceva cenno, la volontà delle parti, e tale assunto viene confermato dal dettato di cui all’art.3, rubricato appunto “Libertà di scelta”, ai sensi del quale “Il contratto è disciplinato dalla legge scelta dalle parti”. Tale scelta può essere sia espressa che tacita: “risultare”, quindi, “in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o delle circostanze”, come previsto dall’art. 3.1 del regolamento in esame.
Precedentemente si sottolineava come, seppur nella pratica talvolta confusi, il concetto di legge applicabile sia distinto da quello di foro competente, e ciò rimane invero il postulato di primaria importanza nell’approccio alla materia della contrattualistica internazionale. Talvolta può capitare che sia il legislatore medesimo a ergere un collegamento operativo tra legge applicabile e foro competente, e che ciò avvenga tramite apposita positivizzazione di norma. Ciò è quanto accade ai sensi del Reg. 593/2008, il quale al considerando n°12 suggerisce che “l’accordo tra le parti volto a conferire a uno o più organi giurisdizionali di uno Stato membro competenza esclusiva a conoscere delle controversie riguardanti il contratto dovrebbe essere uno dei fattori di cui tener conto nello stabilire se la scelta della legge risulta in modo chiaro”.
La libertà delle parti circa la scelta delle norme regolatrici il rapporto contrattuale deve essere considerata svincolata, perciò libera, anche per quanto attiene la sfera temporale. Infatti le parti possono scegliere ovvero modificare la legge applicabile, in qualsiasi momento. Tant’è vero che, presupponendo il consenso di ambe le parti, tale momento potrà essere differito anche in pendenza di processo.
Veniamo ora all’ipotesi in cui nessuna clausola di rinvio sia contenuta nel contratto, né sia determinabile per via indiretta (ad esempio tramite una clausola di giurisdizione, la quale potrà espressamente deferire l’eventuale lite a determinati tribunali e con ciò consentire la determinazione della fonte, o meglio della legge di diritto internazionale privato alla quale fare riferimento per l’individuazione dell’ordinamento di riferimento). La questione in esame è disciplinata dall’art.4 della Convenzione Roma I, eccezion fatta per i contratti conclusi da consumatori, contratti di trasporto, i contratti individuali di lavoro e, infine, per i contratti di assicurazione, per i quali,appunto, in ragione delle imminenti peculiarità proprie di ogni singolo contratto il legislatore ha optato per una disciplina distinta contenuta agli artt. 5, 6, 7 e 8 del regolamento stesso.
Il Regolamento Roma I all’art.4dapprima fissa al paragrafo 1, in relazione a specifici contratti e operando per il tramite di un’elencazione specifica, taluni criteri ad hoc volti alla predeterminazione della legge applicabile (così avviene riguardo al contratto di vendita di beni[3]; contratto di prestazione di servizi; contratti relativi a diritti reali o locazioni immobiliari; contratti relativi a locazioni immobiliari temporanee; contratti di franchising; contratti di distribuzione e, in ultimo, contratti di vendita all’asta) e solo successivamente, in via sussidiaria, prevede taluni criteri prodromici, segnatamente due, anch’essi preposti all’individuazione della legge sostanziale applicabile al rapporto contrattuale.
Sebbene l’interpretazione circa l’effettivo regime d’uso dei criteri di collegamento previsti per le singole tipologie contrattuali lasci in capo all’interprete, all’atto pratico, alcune zone d’ombra, in definitiva può dirsi che il legislatore abbia comunque fornito a questi una consistente norma regolatrice volta a conferire carattere di prevedibilità al rapporto.
Differentemente dall’appena esposto criterio, connotato, in via approssimativa si può dire, da una sola apparente certezza, destano maggiori dubbi i riflessi operativi afferenti i criteri generali di collegamento di cui agli artt. 4 par. 2 e par. 4 del Regolamento Roma I.
Per i contratti non riconducibili al novero di cui all’art. 4.1 regolamento Roma I ai sensi dell’art. 4 par 2 è prevista l’applicazione del criterio della residenza abituale della parte tenuta alla prestazione caratteristica. In ragione dell’importanza che riveste il concetto di prestazione caratteristica è bene qui ribadire che per tale debba intendersi la prestazione non consistente nel pagamento della somma di denaro. A ben vedere, l’applicazione di tale criterio, con riferimento a talune fattispecie contrattuali, può prospettarsi, talvolta, alquanto complicata; si pensi ad esempio al contratto di mutuo ove entrambe le obbligazioni hanno natura monetaria. Spetterà dunque alla giurisprudenza nazionale ovvero alla Corte di Giustizia comunitaria tracciare un consolidato orientamento di riferimento a favore dell’interprete.
Infine, ultimo parametro di collegamento volto a guidare l’operatore all’individuazione della legge applicabile al singolo rapporto contrattuale e preposto a fungere da norma di chiusura è il criterio del collegamento più stretto (c.d. most relevant relationship”). Ai sensi dell’art. 4.4 “Se la legge applicabile non può essere determinata a norma dei paragrafi 1 o 2, il contratto è disciplinato dalla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto”. Già in prima facie l’appena riportato dettato normativo appare prestarsi ad ampie ed eterogenee interpretazioni, ciò rende di tutta evidenza ancor più complicata l’individuazione preliminare della legge sostanziale regolatrice del rapporto. Bisognerà, dunque, porre l’attenzione sulla prassi giurisprudenziale dei singoli paesi per poter conferire contenuto al concetto legislativo de quo, ontologicamente aperto a molteplici lettere ermeneutiche[4].
In ragione di quanto suesposto circa i parametri di collegamento funzionali all’individuazione delle norme di diritto sostanziale e processuale destinate alla regolamentazione del rapporto contrattuale, si perviene, di tutta evidenza, alla conclusione che tali criteri, seppur conferendo una maggior certezza e consapevolezza circa ipotetiche dinamiche di natura patologica afferenti al rapporto contrattuale tra parti appartenenti a Paesi diversi, non soddisfino appieno l’esigenza di certezza del diritto che dovrebbe invece essere elemento immanente del rapporto giuridico. D’altra parte, a ragion del vero, è apprezzabile lo sforzo posto in essere da alcune organizzazioni attive nel diritto commerciale internazionale volto alla predisposizione di normative concernenti la contrattualistica internazionale[5].
L’auspicio è che, in un contesto connotato da plurime lacune legislative, qual è il diritto contrattuale internazionale, come invero già parzialmente avviene, si possano muovere sempre più decisi passi in direzione di una uniformità del diritto privato/commerciale internazionale, al fine di garantire in capo all’operatore economico e altresì all’interprete di addivenire con giustezza, ex ante, all’individuazione del comparto normativo preposto alla regolamentazione della fattispecie concreta. Consapevole dell’ardua praticabilità dell’appena citato proposito, è onere dell’operatore del diritto, qualora chiamato in causa nella fase embrionale del rapporto giuridico, compiere attività di assistenza alla parte nell’individuazione della normativa che meglio abbraccia e intercetta le esigenze proprie del cliente e, in seguito, mediante confacente formula, provvedere alla stesura di apposita clausola di rinvio ad una determinata normativa. Quest’ultima attività potrebbe anche non manifestarsi necessaria qualora mediante l’analisi di taluni presupposti risulti di agevole predeterminazione, a prescindere dalla stesura di una confacente clausola di rinvio, la normativa destinata alla regolamentazione dell’afferente rapporto giuridico.
[1] Invero, una trattazione seppur introduttiva richiederebbe fosse affrontato un ulteriore tema che non riveste minor importanza, ossia quello del foro competente.
[2] Il termine penalty infatti individua un dettato contrattuale afflittivo e punitivo, carente di equità in quanto inidonea alla determinazione dell’entità del danno.
[3] Così il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del Paese nel quale il venditore ha residenza abituale.
[4] A titolo esemplificativo si sottolinea come la giurisprudenza italiana abbia individuato il luogo di esecuzione delle obbligazioni caratteristiche del contratto, la legge del luogo di conclusione del contratto etc etc
[5] Tra queste si annoverano l’UNCITRAL (Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto Commerciale Internazionale); la CCI ( Camera di Commercio Internazionale); l’UNIDROIT (Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato); la OMC-WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), etcetc.
Bibliografia
- CAMPIGLIO C. E MOSCONI F., Diritto internazionale e processuale, Volume I, Parte generale e Obbligazioni, 8 ed.,UTET GIURIDICA, Torino;
- BORTOLOTTI F., Il contratto internazionale, 2 ed., CEDAM, Padova;
- D’ANDREA SILVIO, Contratti d’impresa, Aspetti fiscali e civilistici, IPSOA, Milano.
>> Leggi anche "La Convenzione di Vienna"