La ratio delle trasferte di lavoro e problemi applicativi
A cura del Dott. Salvatore Liguori, partecipante all’Executive Master in Amministrazione Del Personale e Consulenza del Lavoro
L’istituto delle trasferte (o missioni, che dir si voglia) di lavoro si configura nel momento in cui il lavoratore (sia esso subordinato, parasubordinato o dirigente) svolge la propria mansione lavorativa in una sede differente da quella abituale e generalmente individuata in sede di assunzione.
Ripercorrendo il Codice civile1 e recente giurisprudenza di legittimità2 sembra chiaro che il lavoratore non può esimersi, in caso di richiesta del datore di lavoro, dallo svolgimento della trasferta costituendo, in caso contrario, un’insubordinazione o comunque grave infrazione alla disciplina e alla diligenza.
Come auspicabile, al lavoratore viene corrisposta un’indennità economica per ogni giornata di trasferta (al di fuori del territorio comunale della sede abituale), in base ad un accordo tra lo stesso lavoratore e il datore di lavoro oppure alternativamente in base alle disposizioni del CCNL applicato.
Le caratteristiche tipiche della trasferta di lavoro, ormai consolidate anche dalla giurisprudenza di legittimità, sono da individuarsi nella transitorietà e nell’occasionalità3 mentre, in caso prolungato o addirittura definitivo, l’istituto a cui riferirsi può riguardare distacco o trasferimento.
Identificata la nozione di trasferta, prima di passare al suo potenziale trattamento economico – e derivanti riflessi fiscali e contributivi – risulta fondamentale dapprima specificare la distinzione che, seppur circoscritta all’ambito fiscale, il T.U.I.R.4 opera in termini di trasferte e in stretta connessione agli istituti dei rimborsi spese.
Difatti, attraverso la disamina del legislatore, è possibile operare tale distinzione:
- Indennità di trasferta o rimborso forfettario;
- Rimborso misto;
- Rimborso analitico o rimborso a piè di lista;
Il rimborso forfettario è identificabile in un’indennità corrisposta al lavoratore in misura, appunto, forfettaria: vale a dire a prescindere dai costi effettivamente affrontati dal lavoratore per lo svolgimento della trasferta, sia essa svolta in Italia o all’estero.
Il rimborso misto, invece, prevede ugualmente l’elargizione di un’indennità di trasferta e contestualmente il rimborso spese ovvero la fornitura gratuita di vitto e/o di alloggio. Il rimborso analitico, infine, prevede la corresponsione, a titolo di rimborso, di tutte le spese affrontate per lo svolgimento della prestazione di lavoro durante la trasferta dettagliatamente riportate dal lavoratore, incluse quelle “non documentabili” seppur con qualche limite fiscale.
Come anticipato, il legislatore ha plasticamente suddiviso le modalità di indennizzo della trasferta al fine di determinare le soglie di esenzione fiscale e contributiva, come di seguito:
- In caso di rimborso forfettario, la soglia di esenzione è pari a € 46,48 per le trasferte in Italia e € 77,46 per le trasferte all’estero;
- In caso di rimborso misto, le soglie di esenzione sopra indicate sono ridotte di 1/3 in caso di vitto o alloggio rimborsato o fornito gratuitamente da cui deriverà l’importo di esenzione pari a € 30,98 per le trasferte in Italia ed € 51,64 per le trasferte estere. Nel caso di rimborso integrale o fornitura gratuita sia di vitto che di alloggio, le soglie di esenzione sono ridotte di 2/3 dando vita all’importo esente di € 15,49 per le trasferte in Italia e € 25,82 per le trasferte estere;
- In caso di rimborso analitico, le spese documentate ed esibite dal lavoratore sono interamente esenti ai fini fiscali e contributivi, eccezione fatta per le spese cd. “non documentabili” (come, ad esempio: spese telefoniche, spese di parcheggio, mance e così via) per le quali il limite di esenzione fiscale è posto in € 15,49 per le trasferte in Italia e € 25,82 per le trasferte estere.
Tale disamina permette di avere una panoramica circa il trattamento fiscale e contributivo delle spese afferenti a trasferte di lavoro. Tuttavia, tale ratio non è perfettamente sovrapponibile a quelle categorie di lavoratori che, per tipologia di mansione svolta o caratteristiche intrinseche del settore di appartenenza, sono quasi perennemente chiamati a svolgere la propria attività in luoghi variabili.
A tal fine, il legislatore ha compiutamente disciplinato5 anche questa categoria di lavoratori, cd. “trasfertisti”, enunciandone i tratti distintivi:
- la mancata indicazione, nel contratto di assunzione, della sede di lavoro;
- svolgere un lavoro che richiede un continuo movimento del dipendente;
- la corresponsione, in relazione all’attività lavorativa in luoghi costantemente variabili, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, sono attribuite senza distinguere se il dipendente ha concretamente preso parte alla trasferta.
Nel caso in cui sia appurata la sussistenza di tutti e tre i requisiti sopra indicati, si configura la fattispecie di lavoratore trasfertista, applicandone la correlata disciplina fiscale di riferimento. Il T.U.I.R., infatti, per tali categorie di lavoratori prevede che le indennità di trasferta o l’eventuale maggiorazione retributiva (a seconda del CCNL di riferimento) concorrano a formare il reddito da lavoro dipendente solo per il 50,00% del loro ammontare.
La distinzione giuridica, retributiva e fiscale tra trasferte di lavoro occasionali e lavoratori trasfertisti trova il suo fondamento, come esplicato dalla giurisprudenza di legittimità6, nella modalità di svolgimento della prestazione: nel caso di trasferte occasionali, l’indennità ha carattere restitutorio delle spese affrontate e del disagio del dipendente ad una diversa sede lavorativa temporanea; diversamente, nel caso dei trasfertisti, l’indennità o la maggiorazione retributiva è strettamente connessa alla natura della prestazione lavorativa stessa.
Quali possono essere le problematiche applicative e relative conseguenze?
Occorre evidenziare che l’istituto della trasferte (e dei lavoratori trasfertisti), soprattutto per una normativa fiscalmente favorevole, è stato spesso utilizzato impropriamente al fine di conseguire indebiti vantaggi fiscali7, tra i quali: mancato versamento di contributi previdenziali, mancato versamento di ritenute IRPEF, mancata concorrenza delle ore lavorate ai fini del TFR e delle mensilità aggiuntive.
Come emerso a seguito di controlli ispettivi delle autorità competenti, “false” trasferte spesso sono state utilizzate al fine di conseguire un risparmio contributivo e fiscale, evitando la corresponsione di ore di lavoro straordinario e/o superminimi individuali o anche per la sola mancata archiviazione della documentazione comprovante.
Ciò chiaramente comporta delle rilevanti conseguenze sia per il datore di lavoro che per i lavoratori. Da un lato, il datore di lavoro è esposto al recupero e all’imposizione delle somme a titolo contributivo, fiscale e previdenziale delle somme erogate fittiziamente come trasferte oltre alle sanzioni amministrative previste8 dalla normativa.
D’altro canto, il dipendente riscontrerà minori ritenute IRPEF e contributi previdenziali versati oltre alla mancanza di tali somme a concorrenza del proprio TFR e delle mensilità aggiuntive previste dal CCNL.
Facendo seguito proprio all’utilizzo improprio delle trasferte, il legislatore9 ha inasprito la disciplina delle trasferte e soprattutto dei rimborsi confermando le esenzioni sopra indicate ma introducendo l’obbligo di comprovare le spese affrontate attraverso mezzi di pagamento tracciabili (a titolo esemplificativo: carta di credito, assegno bancario, bonifico).
Pertanto, a decorrere dal 01/01/2025, a seguito della parziale modifica dell’art. 51 co. 5 del detto T.U.I.R., risulta necessario comprovare i rimborsi spese, da parte del dipendente, attraverso pagamenti tracciabili al fine di giovare dell’esenzione fiscale e contributiva. Ad oggi, tale obbligo sembra riguardare esclusivamente i rimborsi per spese di vitto, alloggio, trasporto e non anche le indennità forfettarie sopra delineate.
A corollario di quanto esposto, risulta spesso ostico riuscire a comprovare – in caso di controlli ispettivi – la veridicità delle trasferte di lavoro con conseguente esenzione fiscale e contributiva di cui sopra.
Quali potrebbero essere le “soluzioni” per gestire correttamente le trasferte ed evitare salate sanzioni in caso di verifiche ispettive?
- Accertarsi, anche tramite un professionista del settore, del rispetto della normativa vigente in tema di trasferta e/o c.d. lavoratori trasfertisti;
- Sensibilizzare i dipendenti al rispetto normativa vigente – soprattutto a decorrere dal 2025 – mediante il supporto di regolamenti, comunicazioni elettroniche e/o incontri con personale qualificato e/o consulenti del settore in cui venga sottolineata l’importanza, ambo i lati, di adeguarsi alle procedure di comprovazione della trasferta di lavoro e dei rimborsi spese.
- Adottare un sistema di tracciabilità e archiviazione delle trasferte effettuate mediante moduli predefiniti in cui siano evidenziati i dati fondamentali della trasferta di lavoro (data, luogo, spese affrontate e/o eventuale indennità di trasferta forfettaria) con relativa documentazione comprovante;
L’adozione di tali semplici (ed esemplificative) misure può notevolmente supportare sia il datore di lavoro in caso di verifica ispettiva e, allo stesso tempo, anche il lavoratore per vedersi riconosciuti, con vigente trattamento fiscale e contributivo, rimborsi di spese affrontate e/o indennità per trasferte di lavoro effettuate.
FONTI:
- Codice civile;
- Cassazione civile sez. IV, sentenze varie;
- T.U.I.R. – D.P.R. 917/1986;
- D.L. 193/2016;
- D.L. n. 112/2008;
- Manovra di bilancio 2025 – L. 207/2024;
- https://www.ansa.it;
- https://www.rainews.it;
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