La responsabilità degli amministratori verso la società ex artt. 2392 e ss.
A cura di L. Baliani e L. Sesto (partecipanti in area Legale)
In base agli artt. 2392 – 2393 bis del codice civile, gli amministratori sono responsabili civilmente verso la società; verso i creditori sociali secondo l’art 2394; verso i singoli soci o terzi ex art. 2395. Ma la disciplina delle tre azioni è diversa l’una dall’altra. L’art. 2392 impone che gli amministratori sono tenuti al risarcimento danni subiti dalla società quando non adempiono i doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, vale a dire con la normale diligenza professionale di un amministratore di società. Gli stessi amministratori esulano da responsabilità per i risultati negativi della gestione che non siano imputabili a difetto di normale diligenza nella condotta degli affari sociali o nell’adempimento degli specifici obblighi posti a loro carico. Nel caso in cui vi siano più amministratori, essi sono responsabili solidalmente. Ciò significa che ciascuno può essere costretto dalla società a risarcirle l’intero danno subito. Se il comportamento dannoso è direttamente imputabile solo ad alcuni amministratori (membri del comitato esecutivo o amministratori delegati), con essi risponderanno in solido anche gli altri qualora, per violazione degli specifici obblighi posti a loro carico, non abbiano prevenuto o impedito l’attività dannosa dei primi. Gli amministratori sono responsabili per colpa e, dunque, non si tratta di responsabilità oggettiva. A tal proposito occorre sottolineare che la responsabilità per gli atti e le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che sia immune da colpa, purché abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e del suo dissenso dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.
Trattando dell’esercizio dell’azione, l’art 2393 così recita: “L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione. La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. L'azione di responsabilità può anche essere promossa a seguito di deliberazione del collegio sindacale, assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica. La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l'assemblea stessa provvede alla sostituzione degli amministratori. La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ai sensi dei commi primo e secondo dell'articolo 2393 bis”. Pertanto, l’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato dall’assemblea ordinaria, anche se la società è in liquidazione, oppure dal collegio sindacale a maggioranza di due terzi dei suoi componenti. È presente la revoca di diritto: la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta è automatica solo se la delibera dell’azione di responsabilità è approvata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. Se non si raggiunge tale percentuale del capitale sociale sarà invece necessaria una distinta ed espressa delibera di revoca. La società può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità o pervenire ad una transazione con gli amministratori, a patto che l’una e l’altra vengano espressamente deliberate dall’assemblea. Importante è che non vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata: un quinto del capitale sociale e un ventesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale del rischio, o la (minore) percentuale prevista per l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte della minoranza. In caso contrario, la rinunzia e la transazione sono senza effetto.
Da ultimo è rilevante l’esame dell’art. 2393 bis cc a tutela delle minoranze: “L'azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al terzo. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'azione di cui al comma precedente può essere esercitata dai soci che rappresentino un quarantesimo del capitale sociale o la minore misura prevista nello statuto. La società deve essere chiamata in giudizio e l'atto di citazione è ad essa notificato anche in persona del presidente del collegio sindacale. I soci che intendono promuovere l'azione nominano, a maggioranza del capitale posseduto, uno o più rappresentanti comuni per l'esercizio dell'azione e per il compimento degli atti conseguenti. In caso di accoglimento della domanda, la società rimborsa agli attori le spese del giudizio e quelle sopportate nell'accertamento dei fatti che il giudice non abbia posto a carico dei soccombenti o che non sia possibile recuperare a seguito della loro escussione. I soci che hanno agito possono rinunciare all'azione o transigerla; ogni corrispettivo per la rinuncia o transazione deve andare a vantaggio della società. Si applica all'azione prevista dal presente articolo l'ultimo comma dell'articolo precedente.” Infatti, l’azione di responsabilità contro gli amministratori (anche contro i sindaci e i direttori generali) può essere promossa anche dagli azionisti di minoranza (un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto comunque non superiore a un terzo; un quarantesimo del capitale sociale o la percentuale più bassa prevista dallo statuto nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), affinché si superi l’eventuale inerzia del gruppo di comando.[1] La disciplina dell’art. 2393 c.c. nella pratica viene applicata soprattutto in materia di diritto fallimentare, e spesso viene affiancata dall’art. 146 della legge fallimentare; in particolare il comma 2: “sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; b) l'azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall'articolo 2476, comma settimo, del codice civile.” Il collegamento diretto tra le due norme è ravvisato dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2008[2], chiarendo come i profili civilistici dell’art. 2393 c.c. debbano essere integrati nel procedimento fallimentare: “in caso di fallimento le azioni di responsabilità ex artt. 2392 e 2393 c.c. confluiscono in un'unica azione ex art. 146 l. fall., realizzandosi con l'iniziativa processuale del curatore, nella posizione di terzo, il cumulo dei presupposti e degli scopi dell'azione di responsabilità sociale e di quella spettante ai creditori.” Questo orientamento è stato successivamente confermato dalle stesse Sezioni Unite nel 2014, definendo l’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. “frutto della confluenza delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c”[3]. La giurisprudenza nel tempo ha chiarito alcuni aspetti controversi dell’interpretazione e applicazione della norma: per quanto riguarda la definizione di “danno” causato dagli amministratori nei confronti della società e dei creditori è stato detto, prima dal Tribunale di Milano nel 2004[4] poi dalle Sezioni Unite della Cassazione[5] nel 2008, che il danno va inteso non come un’inosservanza di obblighi formali, ma come “conseguenza immediata e diretta dei fatti di mala gestio” e chi agisce in responsabilità ha l’onere di provare che “il comportamento dell'amministratore ha causato, per colpa, un effettivo depauperamento del patrimonio della società”.
Altro profilo spinoso dell’azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. riguarda l’inizio del decorso della prescrizione e il regime da applicare per la quantificazione del termine: innanzitutto possiamo dire che il Tribunale di Milano nel 2003[6] ha chiarito che per questa norma si applica termine quinquennale e non il termine più lungo per le azioni di risarcimento del danno ex. art. 2947, comma 3, c.c., mentre le Sezioni Unite della Cassazione del 2015[7], riprendendo la giurisprudenza del Tribunale di Milano, chiarisce che “il termine quinquennale di prescrizione per l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità decorre dal momento in cui il danno diventi oggettivamente percepibile all'esterno e cioè si sia manifestato nella sfera patrimoniale della società, restando sospeso fino a che l'amministratore resti in carica”.
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[1] G.F. CAMPOBASSO, “Manuale di diritto commerciale”, Milano, UTET GIURIDICA, 2019, 252-254
[2] Cass. civ. Sez. I Sent., 23/06/2008, n. 17033
[3] Cass. civ. Sez. I, 09/07/2014, n. 15600
[4] Tribunale Milano, 02/11/2004
[5] Cass. civ. Sez. I Sent., 23/06/2008, n. 17033
[6] Tribunale Milano, 19/09/2003
[7] Cass. civ. Sez. I, 04/12/2015, n. 24715
Ultima modifica il 05/03/2020
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