La retribuzione: obbligo del datore di lavoro e diritto del lavoratore subordinato
La retribuzione: tra obblighi e diritti
Quando si parla di rapporto di lavoro subordinato uno tra i primi concetti a cui viene automatico pensare è quello di retribuzione, anche detta stipendio nel gergo comune, versata dal datore di lavoro al proprio dipendente in genere mensilmente.
Scopo di questo lavoro è comprendere, in maniera più approfondita, tale concetto e conoscerne gli aspetti principali e le differenti tipologie esistenti per acquisirne maggiore consapevolezza da un punto di vista giuridico-economico.
La retribuzione, ai sensi dell’art. 2094 c.c., è una prestazione fondamentale erogata dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa e di collaborazione alle dipendenze e sotto il potere direttivo del titolare[1].
Quest’ultimo provvede a remunerare il dipendente per le energie lavorative messe a disposizione durante un determinato periodo di tempo, oltre che per la qualità e quantità del lavoro svolto.
Tale obbligazione retributiva connota il contratto di lavoro come un contratto a prestazioni corrispettive, consistente nello scambio tra l’erogazione della prestazione lavorativa e la corresponsione della retribuzione da parte del datore di lavoro.
La retribuzione deve essere corrisposta in maniera obbligatoria secondo quanto disposto dall’art. 2099 c.c[2] e può essere stabilita in maniera autonoma dalle parti mediante un accordo, oppure richiamando quanto previsto dai contratti collettivi nazionali; il più delle volte si inizia partendo dall’importo stabilito dai contratti collettivi nazionali a cui viene aggiunto un superminimo individuale pattuito dalle parti.
Ai sensi dell’art. 36 Costituzione[3] la retribuzione deve essere proporzionata e sufficiente, riconoscendo ai lavoratori il diritto ad una remunerazione proporzionata alla qualità e quantità di lavoro eseguito e ad ogni modo sufficiente a garantire al lavoratore ed alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa, oltre che un tenore di vita socialmente adeguato al contesto storico ed ambientale.
In relazione al principio della sufficienza della retribuzione se le clausole contenute nel contratto lavorativo individuale prevedono degli importi inferiori, rispetto a quelli presenti nel contratto collettivo nazionale, dovranno essere sostituite con i legittimi importi fissati da quest’ultimo.
Nello specifico sorgerà un diritto alle differenze retributive sottoposto a prescrizione quinquennale[4] sulla cui decorrenza si sono alternati diversi orientamenti giurisprudenziali nel corso degli anni.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 1268 del 1976 aveva previsto che nei rapporti lavorativi stabili e sottoposti all’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori la decorrenza della prescrizione avveniva già durante lo svolgimento del rapporto lavorativo, di contro in tutte le fattispecie lavorative instaurate nelle piccole aziende la prescrizione decorreva dalla cessazione del rapporto lavorativo stesso.
Tale orientamento giurisprudenziale è stato confermato, per molti anni, sia da giudici di merito che di legittimità anche se, dall’entrata in vigore della Legge n. 92/2012, la c.d. Legge Fornero, la recente giurisprudenza di merito ha stabilito la non decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro già durante il rapporto lavorativo, ma dalla data di cessazione di quest’ultimo, indipendentemente dalle dimensioni aziendali.
È opportuno inoltre sottolineare che il nesso di corrispettività esistente tra la retribuzione fornita dal datore ed il lavoro erogato dal dipendente subisce notevoli modificazioni in alcune ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro per i motivi previsti dagli articoli 2110 e 2111 c.c., come malattia, infortunio, puerperio, gravidanza oltre che nelle ipotesi relative a sospensioni brevi, quali, permessi di studio, sindacali, congedi durante i quali il datore di lavoro manterrà l’obbligo di versare la remunerazione, nonostante la mancata controprestazione ad opera del lavoratore dipendente.
Ulteriore elemento favorevole alla posizione ricoperta dal dipendente consiste nel principio dell’irriducibilità della retribuzione, previsto dall’art. 2103 c.c. primo comma, secondo cui il datore di lavoro ha l’obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni per cui è stato assunto, oppure a mansioni equivalenti, garantendo l’intangibilità della remunerazione pattuita.
Dopo l’esame degli elementi che contraddistinguono e caratterizzano la remunerazione è necessario esaminare le diverse forme esistenti.
La distinzione tra salario e stipendio, il primo previsto per le classi operaie e corrisposto per periodi inferiori al mese ed il secondo stabilito per i comparti impiegatizi e dirigenziali e pagato mensilmente, è ormai superata dalla fine degli anni 80 a seguito della riunione di operai ed impiegati in un unico inquadramento.
Sussiste ancora la remunerazione a tempo fissata in base alla durata della prestazione lavorativa ossia in base alle ore, giorni, mesi o anni lavorati, e quella a cottimo nella quale la quantificazione della retribuzione è proporzionata ai risultati prodotti; oppure la retribuzione mediante prestazioni in natura, consistente nella concessione al dipendente di viveri, prodotti aziendali o di un alloggio; oppure la retribuzione con provvigione, in cui il compenso dipende dalla percentuale di affari trattati dal lavoratore; o ancora la retribuzione con partecipazione agli utili netti dell’impresa o ai prodotti.
Esiste altresì la remunerazione variabile, o ad incentivo, riconosciuta a coloro che ricoprono posizioni ad elevato contenuto professionale ai quali possono essere attribuiti premi di redditività in base ai risultati complessivi maturati dall’azienda, o premi di produttività in relazione ai risultati conseguiti singolarmente.
Va infine richiamata la retribuzione così detta differita maturata a seguito della prestazione lavorativa ordinaria che non è corrisposta periodicamente, a differenza dei premi, ma che va ad integrare alcuni istituti quali il trattamento di fine rapporto (TFR), la tredicesima e la quattordicesima mensilità, in modo che al momento della risoluzione del rapporto lavorativo il dipendente possa ottenere, oltre al TFR, anche i ratei di tredicesima e quattordicesima maturati e non percepiti precedentemente.
Si conclude sottolineando un aspetto di notevole rilievo e modernità richiamato dall’art. 141 TCE e dalla Direttiva n. 2002/73/CEE, poi trasfusa nella Direttiva 2006/54/CE, secondo cui gli Stati della Comunità europea devono rispettare il principio della parità di trattamento retributivo tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile per evitare ogni sorta di discriminazione a livello lavorativo[5].
[1] L’art. 2094 c.c., rubricato Prestatore di lavoro subordinato, stabilisce che «E’prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».
[2] L’art. 2099 c.c., rubricato Retribuzione, prevede che «La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata, con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito. In mancanza di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali. Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti con provvigione o con prestazione in natura».
[3]L’art.36 Costituzione, rubricato Diritti dei lavoratori, stabilisce che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi».
[4] Ex art. 2948, primo comma, c.c., rubricato prescrizione in cinque anni, prevede che «Si prescrivono in cinque anni: 1) le annualità delle rendite perpetue o vitalizie; 1 bis) il capitale nominale dei titoli di Stato emessi al portatore; 2) le annualità delle pensioni alimentari; 3) le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici ed ogni altro corrispettivo di locazioni; 4)gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi; 5) le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro».
[5] Nell’ordinamento italiano è l’art. 37, primo comma, della Costituzione a vietare qualsiasi trattamento differenziale tra lavoratrici e lavoratori. L’art. 37 Costituzione, primo comma, prevede che «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione».
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A cura di Federica Pica (partecipante all'Executive Master in Direzione del Personale)
Questi ed altri temi sono affrontati ed approfonditi nel Corso in Paghe e Contributi.
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