Le Convenzioni internazionali

A cura di R. Farina e G. Laterza (partecipanti del Master in Giurista d'Impresa)


Il contratto internazionale è l’accordo con il quale sorge e viene disciplinato un negozio giuridico tra due o più parti appartenenti a diversi Paesi, anche afferenti a differenti sistemi legislativi (civil o common law), o tra due soggetti pur appartenenti allo stesso Paese ove il contratto produce i suoi effetti anche o solo in un Paese straniero.

Il sorgere di tale rapporto comporta il sopravvenire di circostanze che il contratto internazionale deve prevedere tramite apposite clausole dirimenti le controversie circa eventuali conflitti nati proprio per la diversità dei sistemi giuridici coinvolti e applicabili al contratto.

Pertanto, nella redazione di un contratto internazionale occorre tenere in debita considerazione anzitutto la gerarchia di fonti internazionali che possono influire, individuate in:

  • leggi nazionali che costituiscono il punto di riferimento;
  • convenzioni internazionali, nei limiti in cui sono state recepite dal Paese firmatario;
  • norme comunitarie, per i Paesi menbri dell’Unione Europea;
  • norme “transnazionali”, ossia i principi generali del diritto;
  • usi e prassi del commercio internazionale (lex mercatoria);
  • codificazioni private (Incoterms, Unidroit).

Ebbene, uno degli aspetti più rilevanti che è sempre bene disciplinare in maniera compiuta ed espressa nel contratto internazionale, è anzitutto la scelta della legge regolatrice per evitare il rischio di negoziare e redigere clausole che possano rivelarsi non pienamente applicabili - o non valide - e conoscere la disciplina degli aspetti non regolamentati dalle parti sul piano contrattuale.

Nei rapporti commerciali tra imprese aventi sede in diversi Paesi di fatto occorre fare sempre riferimento ad uno dei sistemi giuridici nazionali coinvolti, in quanto in un contratto internazionale vi saranno sempre differenti leggi potenzialmente applicabili allo stesso (almeno quelle dei Paesi ove hanno sede le due parti, ad esempio la legge italiana o la legge del Paese ove ha sede il partner estero).

Tale scelta avrà conseguenze notevoli per le parti soprattutto sotto il profilo economico, nonché per i possibili vantaggi e svantaggi che il sistema legislativo scelto presenta in merito al rapporto sorto in ragione dell’accordo.

In tale contesto, le Convenzioni internazionali rivestono un ruolo fondamentale per la risoluzione di alcune questioni.

Rimane salva la facoltà dei contraenti di scegliere, attraverso un’espressa clausola contrattuale, la legge che regolerà sia gli aspetti espressamente disciplinati sia i punti che non sono stati previsti dalle parti.

Laddove le parti non abbiano espressamente effettuato tale scelta, ecco che entra in gioco la Convenzione di Roma del 1980 applicabile solo per i contratti conclusi tra gli Stati membri dell’UE.

Tale Convenzione è stata poi sostituita dal Regolamento 593/2008, meglio conosciuto come “Regolamento Roma I”, che disciplina tutti i contratti stipulati a partire dal 17 dicembre 2009.

Il principio fondamentale della Convenzione è contenuto nell’art. 3 che sancisce la libertà di scelta della legge applicabile, ciò vuol dire che le parti possono determinare l’applicazione della legge dell’uno o dell’altro Stato di appartenenza, così come potranno scegliere di applicare la legge di uno Stato terzo preferendo in tal modo la garanzia offerta dalla posizione di parità del terzo rispetto ai contraenti.

La scelta della legge non necessariamente deve essere contenuta in un’apposita clausola, potendo anche essere tacita purché risulti “..in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze concrete”.

Ulteriore manifestazione del principio della libertà di scelta può ricavarsi dal secondo comma dell’art. 3 che prevede la possibilità per le parti di modificare la propria scelta in un momento successivo alla stipulazione del contratto, purchè dal cambiamento della legge applicabile così operato non sia inficiata la validità del contratto né vengano pregiudicati i diritti di terzi.

Infine, sempre in base a quanto disposto dall’art. 3 comma 1, le parti hanno la libertà di stabilire che la legge prescelta si applichi all’intero contratto o ad una parte soltanto dello stesso. Questa tecnica, cosiddetta “depeçage” (“frazionamento”) o “morcellement”, che presuppone la scomposizione del contratto in più parti con l’assoggettamento di ciascuna di esse a leggi nazionali diverse, incontra tuttavia il limite sancito dall’art. 3 comma 3 per il quale qualora le parti abbiano scelto l’applicazione della legge di uno specifico Paese, se gli altri dati di fatto rimandano alla legge di un diverso Paese rispetto a quello indicato, la scelta effettuata non consente di derogare alle norme imperative di detto Paese.

Ad ogni buon conto, nel caso in cui le parti non abbiano esplicitamente scelto una legge da applicare al negozio giuridico cui hanno dato vita, l’art. 4 della medesima Convenzione, in via sussidiaria, statuisce che la disciplina che regolerà il contratto sarà quella del Paese con il quale sussiste il collegamento più stretto. Il collegamento più stretto è stato individuato dapprima nel Paese in cui ha sede legale la parte che, al momento della conclusione del contratto, deve fornire la cd. prestazione caratteristica. Successivamente, con il sopravvenire del Regolamento 593/2008, si è stabilita un regola diversa per la quale deve farsi riferimento alla tipologia contrattuale sottesa.

In particolare:

  • il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del Paese nel quale il venditore ha la residenza abituale;
  • il contratto di prestazioni di servizi è disciplinato dalla legge del Paese in cui il prestatore di servizi ha la sua residenza abituale;
  • il contratto avente ad oggetto beni immobili è disciplinato dalla legge del Paese in cui l’immobile è situato;
  • il contratto di affiliazione è disciplinato dalla legge del Paese nel quale l’affiliato ha la residenza abituale;
  • il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del Paese nel quale il distributore ha la sua residenza abituale;
  • il contratto di vendita di beni all’asta è disciplinato dalla legge del Paese in cui ha luogo la vendita all’asta.

La legge da applicare al contratto internazionale, individuata secondo questi criteri, incide su altri aspetti del contratto, quali (art. 10):

  • l’interpretazione;
  • l’esecuzione delle obbligazioni che ne discendono;
  • le conseguenze in caso di inadempimento;
  • il risarcimento dei danni che ne conseguono;
  • i diversi modi dell’estinzione delle obbligazioni;
  • le conseguenze della nullità del contratto internazionale.

La Convenzione di Bruxelles

Accanto all’importanza della scelta della legge applicabile al contratto in caso di controversie, le questioni ulteriori da non sottovalutare in occasione della redazione del contratto internazionale tra imprese, riguardano la competenza giurisdizionale ed il riconoscimento ed esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale.

Sapere infatti a quale giudice nazionale l’impresa si può - o si deve - rivolgere per tutelare i propri diritti in caso di controversia, è fondamentale anche ai fini del prevenire o disincentivare il sorgere di controversie.

Spesso l’impresa non si preoccupa di inserire nel contratto una clausola di individuazione del giudice competente a dirimere eventuali controversie e, talvolta, subisce le scelte imposte dal partner estero. Ove l’impresa scelga un giudice competente (individuato in via esclusiva, con riserva della facoltà di rivolgersi al giudice competente per la controparte), salvo che per alcuni sistemi giudiziari (ad esempio in alcuni Paesi arabi), nella maggior parte dei Paesi tale scelta sarà considerata valida.

In mancanza di scelta, la competenza del giudice (c.d. giurisdizione) sarà determinata sulla base dei criteri di diritto internazionale privato e processuale (D.i.p.p.).

Tra le Convenzioni internazionali, almeno per ciò che riguarda l’ambito europeo, ha dato inizialmente una risposta la Convenzione di Bruxelles firmata nel 1968 ed entrata in vigore l’1 febbraio 1973 fra i sei Stati fondatori della Comunità Economica Europea (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo).

Le modifiche intervenute nel corso degli anni, portarono alla firma di quasi tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, i quali per regolare i rapporti con gli Stati aderenti all’Associazione Europea di Libero Scambio (EFTA), nel 1988 giunsero a sottoscrivere la Convenzione di Lugano con i Paesi comunitari.

Successivamente, l’adozione del Regolamento (CE) n. 44/2001 ha reso necessario stipulare una nuova Convenzione di Lugano il 30 ottobre 2007 da parte della Comunità europea e di Islanda, Norvegia e Svizzera per riallineare le disposizioni in vigore all’interno dell’Unione Europea e quelle relative ai rapporti con i rimanenti Stati EFTA. Quest’ultimo regolamento, primo frutto del processo di "comunitarizzazione" del diritto internazionale privato e processuale reso possibile dall’introduzione, con il Trattato di Amsterdam, della cooperazione giudiziaria codificata nel nuovo articolo 65 del Trattato di Roma, ha sostituito e profondamente rivisto la Convenzione di Bruxelles sulla base delle criticità emerse negli anni e degli orientamenti della Corte di Giustizia Europea.

Successivamente, vi è stata l’adozione del Regolamento (UE) n.1215/2012, anche noto come Regolamento “Bruxelles I bis”, in vigore dal 10 gennaio 2015.

Il Regolamento “Bruxelles I bis” si applica in materia civile e commerciale, indipendentemente dalla natura dell’autorità giurisdizionale.

La Convenzione prima ed i regolamenti poi individuano e sanciscono i criteri in ordine alla competenza giurisdizionale, al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale in caso di controversia insorta nel territorio dei Paesi aderenti. Premessa imprescindibile, ad oggi ribadita dall’art. 4 del Regolamento, è che “le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro”, pertanto tale disciplina si applica laddove il convenuto abbia il proprio domicilio (persona fisica) o la propria sede (persona giuridica) in un Paese contraente, salvo alcune eccezioni.

In particolare, una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta: 1.in materia contrattuale, di fronte alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui è prevista l’esecuzione dell’obbligazione; 2.in materia di illeciti civili dolosi o colposi, di fronte all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’illecito si è verificato; 3.in caso di azione risarcitoria o restitutoria conseguente ad un illecito penale, di fronte alle autorità giurisdizionali del luogo in cui l’azione viene esercitata.

Pertanto, salvo sempre individuare le opportune deroghe con la previsione di fori facoltativi, alternativi ed esclusivi, anche attraverso regole specifiche per i casi nei quali risulti necessario tutelare la parte debole del rapporto contrattuale, la regola è quella del foro del convenuto.

Quanto poi agli specifici contratti, per ciò che riguarda la compravendita e la prestazione di servizi, il Regolamento ha voluto introdurre maggiore certezza con l’individuazione del foro competente in base alla prestazione caratteristica, individuata nel primo caso nel luogo di consegna contrattuale e nel secondo caso nel luogo in cui sono stati resi o sarebbero dovuti essere resi secondo contratto i servizi (articolo 5.1).

In materia d’illeciti civili, dolosi o colposi, il Regolamento prevede il foro alternativo del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire (articolo 5, numero 3). Questa disposizione è stata interpretata nel senso di includere sia il luogo in cui il danno si è manifestato che quello dell’evento generatore di tale danno, dando rilievo per il primo aspetto al danno iniziale diretto, ma non anche ai danni conseguenti.

In caso di pluralità di convenuti, il convenuto domiciliato in un Paese contraente può essere citato innanzi al giudice di un altro Paese contraente nella cui circoscrizione è situato il domicilio di un altro convenuto (articolo 6, numero 1). Sulla scorta dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia Europea con riferimento alla Convenzione, la norma del Regolamento specifica che detto foro alternativo può essere esperito se fra le domande esiste un nesso così stretto che risulta opportuna una trattazione e decisione unica per evitare il rischio di decisioni incompatibili.

L’art. 24 del medesimo regolamento sancisce inoltre le competenze esclusive riconosciute in capo a determinate Autorità giurisdizionali indipendentemente dal domicilio delle parti.

Più precisamente:

 in materia di diritti reali immobiliari e di contratti di locazione di beni immobili è competente l’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui si trova l’immobile;

se la questione riguarda la validità della costituzione, scioglimento o nullità della società, è competente l’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui si trova la sede della società oggetto della controversia;

 con riferimento alla validità delle trascrizioni e iscrizione nei pubblici registri la competenza spetta all’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui sono tenuti i registri;

in materia di esecuzione delle decisioni la competenza è riconosciuta in capo all’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui ha avuto luogo l’esecuzione.

E’ prevista poi una disciplina di semplificazione in materia di circolazione delle decisioni nei singoli Stati membri. Più precisamente l’art. 39 del regolamento stabilisce che una decisione che è stata emessa in uno Stato membro ed in esso diventa esecutiva, sarà tale anche negli altri Stati membri senza la necessità di quelle procedure macchinose volte a richiedere una specifica dichiarazione di esecutività della medesima.

Tuttavia non mancano eccezioni a questo meccanismo di semplificazione laddove infatti dall’automatico riconoscimento di una sentenza possa derivare la manifesta contrarietà all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto, se la decisione è stata resa in contumacia del convenuto, salvo che pur avendone la possibilità questi non abbia impugnato la decisione, o ancora se sussiste un contrasto con una decisione resa fra le medesime parti nello Stato richiesto o una incompatibilità con una decisione emessa tra le stesse parti nello Stato membro richiesto.

La Convenzione di Vienna

Nello studio delle Convenzioni internazionali non può mancare il richiamo alla Convenzione di Vienna seppur applicata al più specifico ambito della compravendita di beni mobili tra due imprese residenti in due Paesi diversi.

La compravendita di beni mobili rappresenta senz’altro la tipologia di rapporto contrattuale più diffusa negli scambi internazionali, pertanto, anche in questo campo le imprese devono tenere in debita considerazione i due aspetti che abbiamo già menzionato: l’applicazione della legge al contratto e l’individuazione del giudice competente in caso di controversia.

In un quadro di armonizzazione della disciplina applicabile a questo tipo di contratti, la comunità internazionale, tramite l’UNCITRAL (United Nations Commission International Trade Law), ha approvato la Convenzione di Vienna l’11 Aprile 1982 sui contratti di compravendita internazionale di merci (chiamata CISG da United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods), applicabile a tutti i contratti conclusi  tra commercianti con sede in Stati differenti, a condizione che le rispettive sedi si trovino sul territorio di uno Stato firmatario o che, in alternativa, le regole di diritto internazionale privato prevedano l’applicazione del diritto di un tale Stato. La Convenzione è stata sottoscritta da Paesi appartenenti ad aree geografiche diverse e con diverso grado di sviluppo (al 29 dicembre 2017 si contano 89 Stati firmatari) e costituisce la legge nazionale applicata alla vendita internazionale di beni mobili per gli Stati che vi hanno aderito.

E’ composta di 101 articoli ed è entrata in vigore in Italia il 1 gennaio 1988. Essa disciplina numerosi aspetti della compravendita internazionale, quali gli obblighi delle parti (per ciò che concerne la consegna della merce e i criteri di conformità al pattuito, il pagamento del prezzo, le garanzie ed i possibili rimedi forniti al compratore ed al venditore in caso di inadempimento, ivi compreso il risarcimento del danno), nonché le modalità di formazione dei contratti di vendita.

A tal proposito, uno dei tanti meriti della Convenzione di Vienna è l’aver stabilito che la conclusione di un contratto di compravendita internazionale non richiede particolari formalità. Ciò sta a significare che l’operatore economico, per ritenersi giuridicamente impegnato con la controparte, non deve necessariamente concludere un contratto scritto, ma è sufficiente che intervenga anche un semplice accordo verbale o un accordo informale (ad esempio un ordine non confermato, scambi di mail o un accordo telefonico). Ne consegue che, sul piano probatorio, la conclusione del contratto potrà essere provata con ogni mezzo, anche mediante testimoni. Altra caratteristica della Convenzione è che essa trova applicazione diretta anche nel caso in cui non venga esplicitamente richiamata nel contratto in quanto, come accennato, la normativa ad essa sottesa è considerata diritto nazionale applicabile ai contratti internazionali tra Stati ad essa aderenti, fatta sempre salva la facoltà dei contraenti di prevedere espressamente nel contratto l’esclusione o la deroga dell’applicazione della Convenzione, facoltà che deve sempre essere esercitata in maniera espressa.

Tuttavia, l’applicazione automatica della Convenzione di Vienna impone alle imprese operanti a livello internazionale alcune attenzioni da non trascurare. Anzitutto, le imprese coinvolte devono saper valutare le differenze tra le soluzioni prospettate dalla Convenzione di Vienna e quelle abitualmente vigenti in ambito prettamente nazionale, evitando di dare per scontata l’applicazione di principi generalmente accettati nelle vendite tra operatori interni.

Inoltre, bisogna sempre considerare che la Convenzione di Vienna non disciplina tutti gli aspetti che possono insorgere nell’ambito dell’accordo commerciale.

Al contrario, essa esplicitamente lascia alcune materie alla disciplina delle rispettive leggi nazionali che i contraenti sceglieranno di applicare sulla base dei criteri sopra indicati. Di conseguenza, occorre sottolineare che la Convenzione di Vienna non può essere considerata un testo normativo autosufficiente in grado di disciplinare tutte le problematiche di un contratto di vendita.

In verità la Convenzione di Vienna dovrà essere esaminata con attenzione in quanto presenta alcuni limiti: non si applica, ad esempio, ai contratti nei quali la parte che ordina la merce fornisce una parte sostanziale dei materiali per la fabbricazione o produzione (cd. conto lavoro) ed ai contratti nei quali parte preponderante è la fornitura di mano d'opera o di altri servizi; non disciplina il passaggio di proprietà della merce, aspetto particolarmente importante in caso di fallimento della controparte.

Proprio a tal fine sembra opportuno, anche nei contratti tra parti di Stati aderenti alla Convenzione, avere una specifica previsione sulla scelta della legge applicabile al contratto di vendita, al fine di concordare la normativa di riferimento per le materie non contemplate dalla Convenzione.

Conoscere, dunque, la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili consente all’impresa non solo di conoscere la normativa che sarà considerata applicabile in caso di controversia (con particolare riferimento agli obblighi delle parti - tra cui la consegna della merce e i criteri di conformità al pattuito, il pagamento del prezzo e le garanzie ed i possibili rimedi forniti al compratore ed al venditore in caso di inadempimento, ivi compreso il risarcimento del danno) ma conoscere altresì le modalità di formazione dei contratti di vendita.

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