A cura di R. Roberti (partecipanti del Master in Giurista d'Impresa)

2.1 LE COSIDDETTE CRIPTOVALUTE SECONDO LA SCIENZA ECONOMICA: VALUTE DI NOME…MA NON DI FATTO. LE I.C.O., I TOKEN.E I C.D. “EXCHANGE”.

Analizzando la fase iniziale della storia del Bitcoin si osserva che il progetto nato dalla mente (o dalle menti) di Satoshi Nakamoto per essere sviluppato aveva bisogno non solo di miners ma di veri e propri finanziatori in quanto non bastavano certo i Bitcoin, che all’inizio valevano quanto i soldi del Monopoli,[1] per rimborsare ai miners il costo dell’energia elettrica impiegata nel mining. Inoltre, per rendere più allettante tale attività era necessario far sì che da essa si potesse ricavare un vero profitto.

Per attrarre, dunque, investitori, alcuni mesi dopo[2] dalla nascita di Bitcoin la comunità fondata da Nakamoto creava il sito “New Liberty Standard”. Su tale piattaforma potevano essere acquistati o ceduti Bitcoin in cambio di denaro: veniva così dato un valore reale al Bitcoin fissato inizialmente a 0,007 $, (ovvero il costo dell’energia elettrica che un computer all’epoca doveva consumare per ottenere un Bitcoin). Alcuni mesi dopo fu aperta la più famosa piattaforma di compravendita di Bitcoin chiamata “Mt.gox” (chiuse i battenti 3 anni dopo a causa di un attacco hacker).Tale tipologia di piattaforme web vengono denominate comunemente “Exchange”. Ad oggi si contano circa 500 piattaforme di questo tipo sparse in tutto il mondo.

Il termine “Exchange” associato a quello di “Bitcoin” o “Coin” generalmente fa pensare che si tratti di un’attività di cambiavalute, in questo caso tra le criptovalute e le valute avente corso legali. Ma in realtà i fatti ci dimostrano che non è così.

Come è noto,il valore del Bitcoin da 0,007 nel 2009, con varie oscillazioni, è aumentato in maniera esponenziale negli anni fino ad arrivare a migliaia di dollari al Bitcoin a fine nel 2017. Negli ultimi mesi sembra che la crescita si sia arrestata, anche se le oscillazioni giornaliere del Bitcoin continuano ad essere dell’ordine di centinaia o migliaia di dollari: questa caratteristica si riscontra in tutte le altre criptovalute.

Secondo la scienza economica delle oscillazioni così brusche di valore non sarebbero tipiche di una valuta, ma piuttosto di un prodotto finanziario: più precisamente emesso per fini speculativi.

Per dimostrare e comprendere meglio tale assunto, ritengo utile partire dalla descrizione del fenomeno delle Initial Coin Offer (ICO),lanciate per la prima volta nel 2014 da Ethereum, progetto fondato per creare un tipo di criptovaluta,  ovvero l’ “Eth”, molto differente da Bitcoin. In breve,una ICO non è altro che la versione “Blockchain” di un’Initial Public Offering (IPO).[3] Scopo dichiarato di Ethereum, e più in generale delle I.C.O., è quello di attrarre investitori che finanziano con criptovalute start up digitali le quali si propongono di creare e sviluppare delle “DApp”, applicazioni e progetti industriali basate sulla tecnologia Blockchain; più in generale,le ICO sono utilizzate per il crowdfunding.[4] In cambio, le aziende finanziaterilasciano dei “Token”, ovvero delle rappresentazioni digitali di veri e propri diritti economici legati all’andamento dell’iniziativa imprenditoriale,[5] in modo analogo a ciò che avviene per le azioni.

Comunemente i Token vengono definiti come una species del genusCriptocurrency” (trad. dall’inglese di criptovalute), da contrapporsi ai Coins” (Bitcoin e gli altri Coins, quest’ultimi detti “Altcoins”) che vengono utilizzati solamente come dei mezzi di pagamento (ma vedremo tra brevissimo che quest’ultimi sono un’altra cosa ancora in realtà).

Riguardo le ICO interessante è l’intervento dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari della Svizzera(FINMA)nella “guida praticasulle ICO”.Nel seguire “un approccio concentrato sulla funzione economica e sulla finalità dei token”,la FINMA considera i “Coins” come dei “Token” aventi la funzione di semplici “mezzi di pagamento”.[6] Ciò a mio avviso è corretto, eccetto per il fatto che in realtàle c.d. criptovalute non possono essere considerate nemmeno dei mezzi di pagamento.

Infatti, gli economisti in modo pressoché unanime sostengono che i Coins non sono assolutamente una tipologia di moneta a dispetto dei loro nomi e della loro rappresentazione grafica che ricordano i simboli delle monete più famose, come il dollaro o l’euro. In estrema sintesi, si afferma che il “Coin”, e in più in generale la criptovaluta:

  • non è moneta merce, dato che non ha valore intrinseco proprio, ma il valore dipende esclusivamente dalla domanda e dall’offerta: infatti, abbiamo pocanzi accennato che le oscillazioni di valore del Bitcoin e degli Altcoins sono tipici di uno prodotto finanziario, più precisamente di tipo speculativo.
  • non è una moneta rappresentativa, poiché non rappresenta altro se non sé stessa, ovvero, come si vedrà meglio tra breve, il protocollo contenuto nel White Paper di chi la crea.
  • non è moneta fiat, non essendo emessa da alcun ente centrale.
  • non garantisce una riserva di valore stabile, a causa delle brusche oscillazioni di valore tipiche delle c.d. criptovalute, dunque manca un’altra caratteristica essenziale della moneta.

Ciò implica, ed è bene sottolinearlo, che le uniche monete e valute che possono essere qualificate come tali sono ad oggi esclusivamente quelle emesse dalle Banche Centrali.Questo concetto la ha ribadito recentemente anche il Presidente della B.C.E. Mario Draghi in un recente intervento su Twitter[7]: “Un euro oggi, è un euro domani. Il suo valore è stabile. Il valore del Bitcoin oscilla enormemente. L'euro è supportato dalla Banca centrale europea, il dollaro dalla Federal Reserve, le monete sono sostenute dalle banche centrali. Nessuno sostiene il Bitcoin”.Di stampo più accusatorio sono i recenti interventi del Direttore Generale della Banca d'Italia, Salvatore Rossi: "i bitcoin non sono monete, ma aggeggi speculativi. Il loro valore sale e scende solo in seguito di movimenti speculativi. Non sono sistemi di pagamento, nè niente di ciò. Piuttosto, assomigliano a degli ufo".[8]

Personalmente ritengo che i Coins siano dei veri e propri Tokens che nascono con una I.C.O., anche se spesso questa non viene dichiarata ufficialmente da chi li crea: più specificatamente, i Coins sono delle rappresentazioni digitali di diritti economici rilasciati a chi ha scommesso e ha investito (e continua a farlo) su un business plan, ovvero il “White Paper” alla base di ciascuna criptovaluta: nel caso dei Bitcoin si tratta ancora del White Paper di Satoshi Nakamoto(!!!) A differenza dei Token propriamente detti, però, i Coins, rilasciano due soli diritti: 1) quello di essere utilizzati come mezzo di scambio all’interno dei circuiti che li accettano come tali; 2) quello di essere ceduti in cambio di denaro.

Pertanto, pur essendo un giurista, mi permetto di proporre una definizione economica completa delle c.d. criptovalute: esse sono dei prodotti finanziari, generalmente appartenenti a dei mercati non regolamentati,ed emessi al fine di attrarre finanziamenti volti allo sviluppo e alla diffusione di protocolli informatici che si basano sulla tecnologia Blockchain. I “Coins”, in particolare, vengono emessi per scopi principalmente speculativi, mentre i Tokens per finanziare progetti industriali o più in generale per il crowdfunding. Scopo secondario di tutti questi prodotti finanziari è quello di essere utilizzati come meri mezzi di scambio per acquistare beni e servizi, sebbene solamente all’interno di quegli stessi mercati che li accettano come tali.

Da tale definizione ne deriva come corollario che i c.d. Exchange fanno una vera e propria attività di intermediazione finanziariavendendo agli utenti questi “cripto” prodotti finanziari. Perciò, queste piattaforme web non possono essere paragonate a dei “cambiavalute”. Non a caso, infatti, molti siti “Exchange” invitano gli utenti ad iscriversi e ad acquistare “criptovalute” per fare trading.

A mio avviso è chiaro, quindi, che lo stesso termine “Coin” o “criptovaluta” è fuorviante in quanto questo prodotto finanziario non ha alcuna caratteristica della valuta, se non il nome. Difficile pensare, inoltre, che tale termine fosse stato utilizzato da Satoshi Nakamoto in maniera inconsapevole e sprovveduta. A proposito del Bitcoin, infatti, l’ingegnere giapponese, probabilmente, già sapeva sin dagli inizi della natura speculativa della sua “nuova moneta”: emblematico l’episodio in cui Nakamoto fece perdere ogni traccia di sé nell’aprile 2011, ovvero un mese dopo in cui i giornali di tutto il mondo avevano dato notizia di una “nuova valuta” che in soli due anni da 0 era passata ad un 1$ e di cui già si prevedeva una crescita esponenziale. In quel periodo, infatti, il sito Bitcoin era andato in tilt perché assalito improvvisamente da migliaia di nuovi investitori.[9] Ad oggi si stima che il non ancora identificato ingegnere sia diventato uno degli uomini più ricchi del mondo a causa della sua invenzione, sebbene tuttavia non sia chiaro come abbia fatto ad incassare i suoi guadagni dato che non ha ancora convertito i suoi 980.000 Bitcoin in una somma di denaro che ad oggi si aggirerebbe a circa 5-6 milardi di dollari.

2.2 LA NATURA GIURIDICA DELLA C.D. CRIPTOVALUTA: UNA PROPOSTA DI DEFINIZIONE E DI INQUADRAMENTO GIURIDICO ADERENTE ALLA SUA NATURA ECONOMICA E TECNOLOGICA.

Aver analizzato la natura economica del Bitcoin e delle altre c.d. criptovalute ci è utile per capire come inquadrarli da un punto di vista giuridico e provare, quindi, a formulare una definizione giuridica di questi strumenti finanziari. 

A tal proposito è intervenuto recentemente il legislatore italiano con la legge n. 90/2017 introducendo una nuova definizione di criptovaluta nel nuovo art. 1 c.2. lett qq) della normativa Antiriciclaggio d.lgs. 231/2007: “valuta virtuale:la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. 

Anche il legislatore europeo nella recentissima V direttiva Antiriciclaggio approvata il 19 aprile 2018 ha voluto dare una definizione di criptovaluta del tutto simile a quella precedente. All’art. 3 punto 18) si legge “valuta virtuale: una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.

Entrambi i dettati normativi possono parafrasarsi come segue: innanzitutto la criptovaluta, denominata semplicemente “valuta virtuale” dai legislatori,rappresenta digitalmente un valore epuò essereutilizzata come mezzo di scambio analogamente ad una valuta legale; tuttavia, si differenzia da quest’ultima in quanto manca la caratteristica fondamentale di essere emessa da una Banca Centrale; infine,la cripto valuta non deve essere necessariamente legata ad una valuta avente corso legale. Il legislatore europeo specifica ulteriormente che non possiede lo “status giuridico di valuta e moneta”.

In altre parole, entrambi i legislatori hanno formulato delle definizioni in via negationis, in cui viene stabilito più che altro che cosa non è criptovaluta piuttosto che descriverne le caratteristiche intrinseche. Dunque,non esiste ancora una risposta legislativa alle seguenti rilevanti questioni:

  • da chi e con quali modalità deve essere emessa una criptovaluta per poter essere giuridicamente riconosciuta?
  • il valore della criptovaluta da che cosa deve dipendere?
  • le oscillazioni di valore devono essere costanti e quindi analoghe a quelle di una valuta “avente corso legale”?
  • pertanto, se a detta del legislatore europeo tale “valuta” alternativa a quella legale non possiede lo status giuridico di moneta, qual è allora il suo status giuridico?

Risulta perciò chiaro che lo stesso utilizzo del termine “criptovaluta” da parte del legislatore italiano ed europeo è alquanto improprio e pone inevitabilmente una serie di problemi giuridicamente molto rilevanti. A mio avviso sarebbe stato meglio formulare una definizione giuridicache seguisse la reale natura economica dei Coins e dei Token ampiamente sopra dimostrata e, dunque, incentrata sull’aspetto di strumento finanziario e speculativo, piuttosto che su quello secondario di mero mezzo di scambio. Tale scelta ha creato molta ambiguità e contraddittorietà nelle su riportate definizioni legislative, dalle quali si evince da un lato la propensione dei legislatori a considerarle comunque delle valute, ma allo stesso tempo ad escluderne le caratteristiche tipiche di una valuta avente corso legale: ma ciò è palesemente una contraddizione in termini, in quanto, come si è visto sopra, non esistono delle valute al di fuori di quelle legali.

In modo altrettanto improprio, sia il legislatore italiano sia quello europeo hanno qualificato le piattaforme “Exchange” come dei cambiavaluteinvece che considerarli delle aziende commerciali che svolgono attività di intermediazione finanziaria. Lo vedremo meglio nella cap. 3.3. quando affronteremo nello specifico la normativa Antiriciclaggio.

Una definizione più vicina a quella economica sopra esposta si trova nella Comunicazione della Banca d’Italia del 30 gennaio 2015: “Le c.d. valute virtuali sono rappresentazioni digitali di valore, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento, che possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente.”Tale definizione, dunque, è più corretta perché innanzitutto afferma che il termine “valuta virtuale” è “cosiddetta”, cioè viene considerata un termine comunemente utilizzato anche se non corrisponde alla sua reale natura economica. Inoltre, viene correttamente indicato anche lo scopo dell’investimento oltre a quello di mezzo di scambio: tuttavia, sarebbe stato meglio, a mio avviso, affermare che il primo è lo scopo principale per cui viene emesso tale strumento finanziario, invece che considerarlo come alternativo a quello di mezzo di scambio.

Ancora prima della definizioni legislative di recente introduzione, una sentenza del Tribunale di Verona,[10] al momento in cui scrivo l’unica sentenza italiana di un Tribunale civile che ha affrontato la questione delle c.d. criptovalute (sebbene da un punto di vista della tutela del consumatore nei confronti di un “Exchange”), proponeva la seguente definizione di criptovaluta: uno strumento finanziario utilizzato per compiere una serie di particolari forme di transazioni online costituito da una moneta che può essere coniata da qualunque utente ed è sfruttabile per compiere transazioni, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer-to-peer”.Tale definizione è alquanto contraddittoria, perché se da una parte correttamente viene definita la c.d. criptovaluta come uno strumento finanziario, allo stesso tempo viene considerata anche una moneta: ciò è altresì giuridicamente errato ai sensi dell’art. 1 comma 2 del d.gls. n. 58/1998 (T.U.F.) in cui viene stabilito che “gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari”.

Tra i pochi giuristi che finora hanno affrontato a fondo la materia della qualificazione giuridica della criptovaluta, prima dell’entrata in vigore della normativa Antiriciclaggio c’era chi sosteneva che le c.d. criptovalute debbano essere qualificate come dei veri e propri mezzi di pagamento, poiché prevarrebbe la funzione di scambio e di consumo piuttosto che quella del risparmio in vista di un ritorno economico.[11] Per tale motivo non potrebbero essere considerate degli strumenti finanziari ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 58/1998 (TUF).

A mio parere, ancora una volta in base a quanto sopra argomentato riguardo la reale natura economica del Bitcoin e le altre c.d. criptovalute, tale tesi è da respingere. Al contrario, a mio avviso queste sono riconducibili la categoria dei prodotti finanziari di cui all’art. 1, comma 1, lett. u) del TUF: precisamente tra quelli che rappresentano “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” diversi da quelli “tipici” previsti dall’art. 1 c.2 del medesimo Decreto Legislativo. Un autore definisce come “plausibile” questa soluzione, solamente nel caso in cui“qualora l’acquisto di Bitcoin (e delle altre c.d. criptovalute) dovesse assumere la funzione di “investimento di natura finanziaria[12]. Il sottoscritto ritiene, invece, che tutte le c.d. criptovalute, sia i Token che i Coins, siano emesse allo scopo primario di attrarre investitori, sebbene, per quanto riguarda la seconda categoria, questo scopo generalmente non viene dichiarato nei White Papers.

Pertanto, mi permetto in questa sede di proporre una definizione giuridica di criptovaluta che vada oltre quelle citate dal legislatore italiano ed europeo e che, quindi, tenga davvero conto della sua reale natura tecnologica ed economica. A mio avviso le c.d. criptovalute sono dei prodotti finanziari atipici ai sensi dell’art. 1 c. 1 lett. u) del TUF, emessi allo scopo di attrarre investimenti in tecnologie e protocolli Blockchain e, in via secondaria ed eventuale, per essere utilizzati come meri mezzi di scambio per acquistare beni e servizi. In quanto strumenti finanziari, conferiscono a chi li possiede diversi diritti economici: si suddividono principalmente in Tokens e in Coins; i primi emessi allo scopo di ottenere finanziamenti per progetti industriali o più in generale per il crowdfunding,mentre i secondi per scopi principalmente speculativi in quanto tali prodotti finanziari non hanno altra funzione, oltre quella speculativa, di essere utilizzati come meri mezzi di scambio.

Ci sono, inoltre, studiosi che, evitando ogni definizione di criptovaluta, hanno cercato di trovare una sua  collocazione all’internodelle categorie generali del diritto civile: alcuni  di essi affermano che la criptovaluta può essere qualificata come un bene ai sensi dell’art. 810 c.c.[13], altri come un documento informatico ai sensi del D.lgs. n. 82/2005[14] ed infine, c’è chi sostiene che sia qualcosa di “poliforme ed anarchico”, ovvero che non può essere classificato in una categoria giuridica fino a quando non ci saranno interventi organici da parte del legislatore.[15]

A mio avviso, in quanto strumento finanziario certamente suscettibile di appropriazione, negoziazione e avente valore economico, la c.d. criptovaluta può essere ricondotta nella categoria generale dei beni di cui all’art. 810 c.c.

Altra questione civilistica fondamentale riguarda la possibilità che le c.d. criptovalute possano essere considerate mezzo di adempimento delle obbligazioni pecuniarie ai sensi dell’art. 1278 c.c: su questo tema si era espresso nel 2016 solamente un autore,[16] che non aveva escluso tale eventualità in quanto considerava la c.d. criptovaluta “moneta in senso lato”. A mio avviso tale tesi è da rigettare, non solo perché abbiamo dimostrato che non è una moneta di nessun tipo, ma anche perché l’art. 1278 c.c. fa riferimentoad una “moneta non avente corso legale nello Stato”, cioè una moneta estera che ha corso legale in uno Stato diverso da quello italiano, e le comunità “cripto-virtuali” non possono essere considerate degli Stati da un punto di vista del diritto internazionale.

Ci sono, inoltre, altri problemi giuridicamente rilevanti che ancora sembra che la dottrina civilistica non si sia posta, come ad esempio la qualificazione del contratto avente ad oggetto lo scambio tra un bene e le c.d. criptovalute: a mio avviso deve esser inquadrato nella permuta ex art. 1555 c.c. e non della compravendita proprio in ragione del fatto che le c.d. criptovalute non sono delle monete. Ci si deve porre, inoltre, la questione della qualificazione giuridica di altri contratti che possono avere ad oggetto obbligazioni in criptovalute,[17] per non parlare della pignorabilità della c.d. criptovalute e altre questioni civilistiche ancora poco discusse o mai affrontate e che mi riserverò di parlarne in un diverso saggio dato che non è possibile in questa sede.

Inoltre, seppur marginale, c’è un anche un aspetto penalistico che sembra finora non abbia considerato nessuno riguardo l’utilizzo delle c.d. criptovalute come mezzo di scambio al posto del denaro: chiunque dovesse rifiutarsi di ricevere monete aventi corso legale perché preferisce al loro posto le c.d. criptovalute, potrebbe essere punito penalmente ai sensi dell’art. 693 c.p. (sebbene con una sola ammenda del valore irrisorio di 30 euro).

Da ultimo, è bene rilevare che le c.d. criptovalute possono essere naturalmente sottoposti a provvedimento di sequestro penale.[18]

In ogni caso, sicuramente le c.d. criptovalute sono beni leciti nei paesi in cui non sono vietate. Tuttavia, vedremo nella cap. 3.1. che a causa delle loro caratteristiche, si prestano ad essere utilizzati anche per fini illeciti.

 

 

[1]Metafora di G. MICELI a proposito della nascita del Bitcoin: https://www.mixcloud.com/alessandro-conte4/world-reporter-16-febbraio-2018/

[2]Esattamente il 21 ottobre 2009.

[3]I.P.O:Offerta Pubblica Iniziale di titoli azionari con cui una società colloca parte di tali titoli per la prima volta sulmercato borsistico, offrendoli al pubblico degli investitori nei mercati finanziari primari.

[4]Ci sono anche esempi di Token emessi per scopi di beneficenza:  https://www.aidcoin.co/?lang=it

[5]Generalmente i Token vengono suddivisi in: a) security token, rappresentativi di diritti economici legati all’andamento dell’iniziativa imprenditoriale (ad esempio, il diritto di partecipare alla distribuzione dei futuri dividendi) e/o di diritti amministrativi (ad esempio, diritti di voto su alcune materie); b) utility token, rappresentativi di diritti diversi, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo).

[6]https://www.finma.ch/it/news/2018/02/20180216-mm-ico-wegleitung/

[7]https://twitter.com/ecb/status/953945215299194880

[8]http://www.repubblica.it/economia/2018/02/13/news/bce_askdraghi_bitcoin_crisi-188765722/

[9] https://www.huffingtonpost.com/martin-oaleary/the-mysterious-disappeara_2_b_7217206.html

[10]Trib. di Verona, Sez. Civile – Sent. n. 195/2017.

[11]R. BOCCHINI, “Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche”, in Diritto dell’Informazione e dell’informatica (II), fasc. 1, febbraio 2017, p. 27; N. VARDI, “Criptovalute” e dintorni: alcune considerazioni sulla natura giuridica dei bitcoin”, in Diritto dell’Informazione e dell’informatica (II), fasc. 3, giugno 2015, p. 443

[12]P. IEMMA N. CUPPINI: “La qualificazione giuridica delle criptovalute: affermazioni sicure e caute diffidenze.” In www.dirittobancario.it marzo 2018.

[13]A. CAPOGNA, et al., “Bitcoin: profili giuridici e comparatistici. Analisi e sviluppi futuri di un fenomeno in evoluzione”, in “Diritto mercato tecnologia”, 3(2015): 32-74

[14]R. BOCCHINI, cit., fasc. 1, febbraio 2017, p. 27

[15]P. IEMMA, N. CUPPINI, cit.

[16]G. LEMME e S. PELUSO, “Criptomoneta e distacco dalla moneta legale: il caso bitcoin, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 43, 2016

[17]Per esempio, può essere qualificabile come “appalto” ai sensi dell’art. 1655 c.c. un contratto che ha come corrispettivo criptovalute, invece che denaro, se le parti hanno voluto attribuire alla datio in Bitcoin una forma di pagamento?

[18]Questa eventualità si è già recentemente realizzata nel marzo di quest’annoper la prima volta in Italia (la seconda volta in tutto il mondo).  Il G.I.P. aveva sequestrato un “Exchange” e le c.d. criptovalute in esso contenute perché il titolare di tale piattaforma è stato accusato per il reato di abusivimo finanziario di cui all’art. 166 T.U.F. Tuttavia, le indagini erano iniziate a seguito di una denuncia dalla CONSOB che, contrariamente da quanto stabilito dal giudice, aveva ad oggetto il reato di vendita piramidale di cui alla l. n.173/2005. Ulteriori dettagli in: http://fulviosarzana.nova100.ilsole24ore.com/2018/03/24/bitcoin-crypto-e-primo-sequestro-italiano-di-criptovaluta-cosa-e-successo-veramente/

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