Le intese restrittive della concorrenza (Parte 2)
Le intese restrittive della concorrenza: come prevenirle
A cura di Giusj Maria Nardini, Eleonora Postacchini, Eleonora Scozzi, Ermelinda Cioffi, Gladys Rosa Cabrera Carlos, Piero Cecere (partecipanti all’Executive Master in Giurista d’Impresa – RM)
COMPLIANCE AZIENDALE IN MATERIA ANTITRUST
In linea generale, lo scambio di informazioni tra concorrenti, oltre ad essere una pratica comune di molti mercati concorrenziali, può determinare vari tipi di incrementi di efficienza. Esso può infatti, talvolta, risolvere problemi di asimmetria delle informazioni, rendendo quindi i mercati più efficienti o migliorare l’efficienza interna delle imprese che autovalutano le proprie prestazioni rispetto alle migliori pratiche applicate dalle altre imprese.
Tuttavia, lo scambio di informazioni cosiddette «sensibili», aumentando artificialmente la trasparenza nel mercato, può facilitare il coordinamento del comportamento concorrenziale delle imprese e dare luogo ad effetti restrittivi sulla concorrenza, in particolare quando consente alle imprese di essere a conoscenza di strategie di mercato dei propri concorrenti[1] e realizzare in tal modo preziosi “extra-profitti”.
Tale vantaggiosa prospettiva non ha tuttavia ostacolato il nascere di buone prassi da parte di imprese maggiormente attente alla materia Antitrust e la sempre più frequente implementazione da parte di queste ultime di programmi di compliance, procedure interne volte a prevenire la commissione di atti illeciti e a sensibilizzare sull’importanza della materia quei dipendenti che a vario titolo potrebbero avere contatti con la concorrenza.
Le possibili conseguenze di una violazione della normativa Antitrust sono infatti estremamente pesanti e diversificate. Ciò deriva anche dalla compresenza di un interesse pubblicistico di tutela del mercato ( c.d. public enforcement); e di un interesse privatistico del soggetto danneggiato dall’illecito, che può trovare tutela dinanzi al giudice ordinario (c.d. private enforcement).
Le imprese pertanto, oltre a dover fare i conti con le elevate sanzioni pecuniarie comminate dalle autorità (AGCM o CE) - e che possono arrivare al 10% del fatturato dell’impresa coinvolta dell’anno precedente – si ritrovano spesso a dover fronteggiare decine di azioni per il risarcimento del danno con un enorme dispendio di spese anche legali. A ciò vanno aggiunti i rilevanti danni all’immagine e al connesso rischio di svalutazione delle azioni se quotate in borsa.
Ma vi è di più. Anche i dipendenti che hanno materialmente commesso l’illecito possono subire conseguenze. In primo luogo ai sensi del diritto del lavoro, come il licenziamento o l’interdizione dall’esercizio della professione, ma essi potrebbero anche essere chiamati a rispondere personalmente nelle azioni civili promosse contro di loro e addirittura essere sanzionati a livello penale qualora la condotta posta in essere abbia avuto effetti in paesi nei quali gli illeciti Antitrust sono considerati reati e venga concessa l’estradizione[2].
Oltre alla giurisprudenza consolidata, il giurista d’impresa – nella sua opera di prevenzione - può avvalersi dell’utile strumento delle Horizontal Guidelines predisposte dalla CE[3] che offrono una serie di indicazioni, con tanto di esempi pratici, sulle molteplici sfumature interpretative delle fattispecie rientranti nell’art. 101 TFUE.
Da queste ricaviamo ad esempio indicazioni sulle caratteristiche dello scambio di informazioni, come l’irrilevanza del contesto in cui viene attuato. Essendo infatti vietati gli accordi sia quelli formali che informali, il contesto o l’occasione in cui l’informazione è scambiata, le modalità (se per telefono, di persona o in via elettronica), la frequenza o il numero dei partecipanti all’accordo non ha rilevanza alcuna. È infatti oramai pacifico che le pratiche concordate possono essere frutto di azioni unilaterali dalle quali discende un tacito accordo tra le parti[4].
Tale circostanza comporta che tutti i dipendenti debbano essere portati a conoscenza dei rischi connessi alle loro attività ordinarie e straordinarie, dei limiti entro i quali le informazioni possono essere scambiate e delle strategie difensive da porre in essere qualora vengano, anche involontariamente, a conoscenza di dati rilevanti in una prospettiva Antitrust.
A tal riguardo, le soprarichiamate linee guida, al paragrafo 61, stabiliscono infatti che lo scambio di informazioni tra concorrenti può costituire una pratica concordata se riduce l’incertezza strategica nel mercato facilitando quindi la collusione.
Altra indicazione operativa fornita dalla CE si ha nel par. 62, in base al quale quando un’impresa riceve dati strategici da un concorrente (nel contesto di una riunione, anche se in associazione di categoria, o mediante posta o per via elettronica), si presupporrà che abbia accettato le informazioni ed abbia adattato il proprio comportamento sul mercato di conseguenza, a meno che non reagisca con una dichiarazione chiara del fatto che non desidera ricevere tali dati. Costituiscono reazioni utili in tal senso comportamenti quali chiare e-mail di risposta o pubbliche obiezioni, alla presenza di testimoni, ed eventualmente redatte a verbale della propria contrarietà alla discussione di uno specifico argomento.
Molte sono dunque le buone prassi che possono “salvare” le imprese dal rischio di ingenuità che possono costarle care e che dipendono troppo spesso semplicemente da una mancata conoscenza da parte degli operatori, soprattutto commerciali, della materia e delle sue implicazioni sanzionatorie. Arduo compito del giurista diventa dunque proprio quello di sensibilizzare e orientare coloro che sono più a rischio infrazione, tenendo costantemente sotto controllo tutti i possibili punti di contatto con la concorrenza (e di tentazione!). Compito reso necessariamente ancora più delicato dalla necessità di bilanciare le motivazioni commerciali e le esigenze legate al business con le restrizioni legali ed i rischi connessi ad una loro infrazione.
LE LINEE GUIDA CONFINDUSTRIA PER LA COMPLIANCE ANTITRUST ALLE IMPRESE.
La predisposizione di tali programmi di compliance Antitrust ed una loro concreta applicazione comporta oneri rilevanti, in termini di risorse sia finanziarie che umane; tuttavia, i benefici che ne derivano superano i costi che si sopportano.
L’implementazione di effettive strategie di compliance, infatti, da un lato, aiuta le imprese a evitare le descritte conseguenze degli illeciti antitrust e, dall’altro, reca ulteriori vantaggi e opportunità. Per questi motivi lo scorso 19 aprile, nel corso di un convegno dedicato, sono state presentate da Confindustria le “Linee per la compliance antitrust delle imprese”.
L’obiettivo perseguito da Confindustria è pertanto incoraggiare e supportare le imprese nella definizione e nella relativa attuazione di strategie di compliance, rispondenti agli standard attualmente applicati a livello europeo. Tale iniziativa si è distinta per l’innovatività ed è stata oggetto di un dibattitto proficuo, vale la pena, pertanto, evidenziarne i tratti salienti.
Le Linee Guida presentano delle fasi che sono comuni a tutte le imprese ma che, a ben vedere, si articolano in modo differente in funzione dei fattori distintivi della singola realtà aziendale, quali il tipo e la dimensione, il settore d’attività, le caratteristiche del mercato, il grado di interazione con i concorrenti.
- Il primo step di un programma di compliance è rappresento dall’identificazione dei potenziali rischi di infrazioni antitrust e delle aree dell’impresa potenzialmente più esposte a tali rischi. Individuato il rischio, è poi necessario effettuare un’attenta valutazione dello stesso, operando una vera e propria “mappatura del rischio” secondo uno schema di gradualità che consenta all’impresa di agire in via prioritaria sulle aree maggiormente interessate. Per l’identificazione e la mappatura di aree esposte a potenziale rischio di intesa restrittiva della concorrenza, si possono considerare variabili quali ad esempio: i manager, le caratteristiche del mercato di riferimento, la dimensione dei competitor, l’eventuale stipula di contratti di lunga durata con clausole di esclusiva oppure accordi che comportano, anche indirettamente, la fissazione del prezzo di rivendita; eventuali accordi di cooperazione orizzontale ecc.
- Secondo step è la valutazione del rischio, infatti una volta identificati, i rischi antitrust devono essere valutati, sia per determinare la probabilità che ciascuno di essi si concretizzi sia per stimare il loro potenziale impatto. E’ opportuno valutare il rischio definendone il livello di gravità e classificarlo come elevato, medio e basso a seconda della dimensione e delle caratteristiche dell’impresa e, quindi, della probabilità che, avuto riguardo a tali caratteristiche, esso si concretizzi.
- Terzo step è inevitabilmente la gestione del rischio. Evidenziati i comportamenti che potrebbero essere ritenuti anticompetitivi o che potrebbero condurre a violazioni della normativa a tutela della concorrenza, un efficace programma di compliance deve indicare le misure volte a rimuovere o a evitare l’implementazione di tali condotte. Queste misure possono consistere in modifiche che impattano su: • strategie commerciali • contratti e accordi commerciali in essere con fornitori, partner e clienti • processi e procedure operative interni • organizzazione dell’impresa.
- La compliance antitrust si atteggia come un processo circolare che necessita di continua revisione dovendo far riscontro a input esterni che si evolvono e modificano nel corso del tempo. L’ultima fase di questo processo è pertanto quella del monitoraggio. Questa fase consente da un lato di verificare l’efficacia e il livello di concreta attuazione del programma adottato dall’altra di consentire una revisione dello stesso, laddove i rischi identificati e la loro valutazione subiscano modifiche e le misure predisposte non risultino più appropriate. A tele scopo, può essere utile svolgere un processo di audit tramite l’ausilio di un revisore esterno e indipendente, esperto della normativa sulla concorrenza, che possa stabilire se il programma contenga misure appropriate rispetto ai rischi che con maggiore probabilità potrebbero verificarsi (es. attraverso la somministrazione al personale impiegato nelle aree considerate a rischio di test che consentano la verifica della conoscenza della normativa antitrust nonché delle policy e delle procedure aziendali).
- Le sanzioni disciplinari. E’ impossibile negare che il successo e l’effettività di una strategia di compliance antitrust dipende anche dalla previsione di specifiche sanzioni disciplinari, come conseguenza delle violazioni della normativa antitrust e del programma appositamente adottato per evitarle; sanzioni che possono riguardare chiunque, incluse le figure apicali dell’impresa. Tali sanzioni, possono essere di diverso tipo: può trattarsi di un mero richiamo (orale informale o scritto formale) o di una multa, dall’obbligo di partecipare a corsi di formazione e aggiornamento sulla normativa antitrust; ma anche di sanzioni più gravi incidenti sulla carriera del responsabile dell’infrazione, come la sospensione, il demansionamento, l’arretramento nell’inquadramento o la mancata promozione fino al licenziamento o all’azione legale.
In conclusione, le linee guida fornite da Confindustria sembrano un ottimo strumento orientativo, di facile attuabilità ed indirizzato in particolar modo alle imprese italiane di medie dimensioni, anche al fine di sensibilizzare quest’ultime verso la oramai imprescindibile attuazione delle strategie di compliance aziendale.
[1] Le conseguenze dello scambio di informazioni per la concorrenza dipendono sia dalle caratteristiche del mercato interessato (quali concentrazione, trasparenza, stabilità, simmetria, complessità ecc.) sia dal tipo di informazioni scambiate, in quanto ciò può modificare le condizioni del mercato rilevante in modo da renderlo atto al coordinamento (Horizontal Guidelines, par. 57,58).
[2] È noto a riguardo il caso PIsciotti. Il manager italiano era stato arrestato a Francoforte mentre era in transito verso l’Italia di ritorno da un viaggio d’affari. Il giudice tedesco aveva quindi concesso l’estradizione verso gli Stati Uniti d’America, dove era stato poi condannato a 24 mesi di reclusione. La sentenza della corte tedesca costituiva la prima concessione dell’estradizione di un cittadino europeo su richiesta dagli Stati Uniti per violazione delle norme antitrust. Si ricorda, infatti, che nel sistema americano, a differenza di quello dell’UE e della maggioranza degli Stati Membri, le norme attribuiscono rilievo anche penale alle violazioni della normativa antitrust più gravi, come i cartelli, con la conseguenza che le persone fisiche coinvolte sono esposte a tale rischio.
[3] Si tratta delle “Linee direttrici sull’applicabilità dell’articolo 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli accordi di cooperazione orizzontale” (2011/C 11/01).
[4] È possibile parlare di pratica concordata anche qualora una sola impresa divulghi informazioni strategiche al proprio o ai propri concorrenti (che le accettano). Tali divulgazioni potrebbero avvenire, ad esempio, mediante contatti via posta, e-mail, telefono, riunioni, ecc. È poi irrilevante se solo un’impresa informi unilateralmente i propri concorrenti in merito al comportamento che intende adottare sul mercato oppure se tutte le imprese coinvolte si scambino informazioni in ordine alle rispettive considerazioni e intenzioni.
A questo articolo è collegato anche --> Le intese restrittive della concorrenza: cosa sono e come prevenirle (Parte 1)