Le operazioni di private equity e venture capital quale strumento di creazione di valore
A cura di A. Cecchi (partecipante del Master in Avvocato di Affari)
Introduzione: l’investimento istituzionale in capitale di rischio
L'Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital (AIFI) definisce l'attività di private equity come «un'attività di investimento nel capitale di rischio di imprese non quotate, con l'obiettivo della valorizzazione dell'oggetto di investimento ai fini della sua dismissione entro un periodo di medio-lungo termine»[1]. Tale attività è svolta da operatori specializzati di natura finanziaria, prevalentemente strutturati come fondi chiusi, che raccolgono capitali presso investitori istituzionali[2] (fondi di fondi, fondazioni, fondi pensione, gruppi industriali, assicurazioni, banche, family office, fondi sovrani o altri asset manager) e privati, per investirli successivamente nel capitale sociale di imprese non quotate ad alto potenziale di sviluppo, per un arco temporale medio-lungo, mediamente di 3-7 anni[3]. L’operatore di private equity diventa quindi socio a tutti gli effetti della società target e, in virtù di questo status, apporta, oltre a risorse finanziarie, una serie di competenze manageriali, un ampio network di contatti, in ambito nazionale e internazionale, e l'esperienza maturata in molteplici operazioni precedenti[4]. Il tutto con l'obiettivo di accrescere il valore dell’azienda, in vista dell’alienazione della partecipazione detenuta e della correlativa realizzazione di un guadagno di capitale (cd. capital gain)[5]. Naturalmente, si realizzerà una plusvalenza solo se il prezzo di vendita della partecipazione sarà maggiore del costo di acquisto della stessa. Questo tipo di investimento, dunque, si differenzia per diversi aspetti dalle tradizionali forme di finanziamento, come il ricorso al capitale di debito, e richiede uno stretto rapporto di collaborazione tra il socio imprenditore e il socio investitore, che condivide il rischio d’impresa ed è interessato ad ottenere un ritorno sull’investimento esclusivamente derivante dal successo economico della società[6].
All’interno del più ampio genus del private equity si suole individuare la specie del venture capital, nel senso che «Il venture capital non costituisce un'attività diversa e distinta dal private equity bensì una particolare attività di private equity volta al finanziamento dell'impresa nelle prime fasi del suo ciclo di vita. L'attività di venture capital si concentra, quindi, in investimenti nelle prime fasi del ciclo imprenditoriale particolarmente delicate e avventurose (da qui, la definizione, appunto, di capitale di ventura)»[7]. In particolare, in funzione della fase del ciclo di vita aziendale in cui si trova la società target durante l’operazione, è possibile distinguere diverse tipologie di investimento:
- seed financing: investimento nella fase di sperimentazione, momento in cui esiste solo un'idea circa il nuovo prodotto o servizio da mettere sul mercato;
- start up financing: investimento finalizzato all'avvio dell'attività, una volta superata la fase di sperimentazione. L’attività di venture capital è caratteristica di queste prime due fasi, complessivamente definite early stage financing,che implicano un elevato grado di rischio, dovuto all'assenza di una storia dell'attività di impresa;
- expansion financing o growth capital: investimento finalizzato a sviluppare un’impresa già esistente e, in particolare, volto ad espanderne (geograficamente, merceologicamente, ecc.) il business. Tendenzialmente, nell’ambito di tali operazioni, l’investitore assume una partecipazione di minoranza al fianco dell’imprenditore, con un approccio prevalentemente finanziario;
- replacement capital: investimento finalizzato alla ristrutturazione della base azionaria, in cui l'investitore istituzionale si sostituisce, temporaneamente, a uno o più soci non più interessati a proseguire l'attività, evitando che questi frenino lo sviluppo aziendale. Anche in questo caso, il più delle volte si tratta di interventi di minoranza;
- buy out: investimento finalizzato al sostegno dell'acquisizione di un'impresa. I buy out possono essere classificati in base ai soggetti che li pongono in essere (family buy out, management buy out, employee buy out, management buy in) oppure per la tecnica utilizzata per la loro realizzazione (leveraged buy out o unlevaraged buy out a seconda che l'acquisizione avvenga con l'uso della leva finanziaria e quindi con un preponderante utilizzo di capitale di debito, o meno)[8]. Le operazioni di buy out sono generalmente dirette all’acquisizione di partecipazioni di controllo o totalitarie in società di capitali;
- turnaround financing: investimento finalizzato a risanare un'azienda in situazione di crisi, sostituendo chi non è più in grado di proseguire nell'attività e gestendo direttamente tutte le fasi connesse alla ristrutturazione e al rilancio dell'attività.
Le fasi del processo di investimento
L'investimento è il cuore dell'attività di private equity ed è un processo lungo e complesso scandito da alcune fasi fondamentali.
Individuazione della società target
Il processo di investimento comincia con una fase preparatoria volta alla ricerca e selezione di opportunità di investimento (cd. origination). Nel corso di tale fase, viene presentata una società a un operatore di private equity, solitamente mediante l'invio di un estratto del business plan, che sintetizza il piano aziendale e rappresenta il biglietto di presentazione dell’imprenditore e del progetto. L’investitore esamina quindi l'iniziativa imprenditoriale, valutandone la redditività in funzione delle caratteristiche specifiche della società target (quali dimensioni, fatturato attuale e prospettico), del suo management, del suo track record e dei fattori di crescita caratteristici del mercato in cui la società opera[9].
Gli accordi di riservatezza e la lettera di intenti/term sheet
Nel caso in cui la proposta di investimento venga valutata positivamente dall’investitore, si apre la fase di negoziazione. In tale fase, le parti sottoscrivono innanzitutto un accordo di riservatezza (cd. non-disclosure agreement o confidentiality agreement) che sancisce l’obbligo per l’investitore di mantenere, per un dato periodo di tempo, riservate e confidenziali le informazioni acquisite nel corso delle trattative e di non utilizzarle per scopi diversi dalla valutazione dei termini e delle condizioni dell'eventuale operazione di investimento nel capitale della società target[10]. Dopo i consueti informali contatti e, ove prevista, la tappa dell'accordo di riservatezza, la vera e propria negoziazione entra nel vivo con la stipulazione di un accordo variamente denominato – lettera di intenti o term sheet o memorandum of understanding o heads of agreement ecc. – con cui le parti concordano le modalità procedurali con cui dar seguito alla trattativa e si danno reciprocamente atto dei termini principali sui quali è già stata raggiunta un’intesa di massima, al fine di fissare i punti fermi sui quali si muoverà la successiva negoziazione di maggiore dettaglio. Si tratta di documenti tendenzialmente di natura non vincolante[11] ai fini del perfezionamento dell’operazione, pur contenendo specifiche previsioni vincolanti concernenti l’obbligo riservatezza, l’eventuale obbligo di esclusiva, la legge applicabile, il Foro competente ovvero l’eventuale clausola arbitrale. Solitamente, gli aspetti essenziali contenuti in una lettera di intenti/term sheet includono oltre agli aspetti economici dell’operazione di investimento, anche le pattuizioni riguardanti al governo della società target, quelle che pongono limiti al trasferimento delle partecipazioni, quelle concernenti il monitoraggio dell’investimento e quelle inerenti il disinvestimento. Infine, viene solitamente condizionata la firma del contratto definitivo al buon esito delle previste attività di due diligence.
La due diligence
Successivamente alla sottoscrizione della lettera di intenti o del term sheet, prende avvio la fase di due diligence[12]. In questa fase gli investitori cercano di approfondire la conoscenza della società e di identificare tutte le aree di rischio e di opportunità, nonché i punti di forza e di debolezza che potrebbero avere un impatto sul successo o meno dell'investimento. Le principali aree di analisi sono il mercato in cui opera la società (due diligence di mercato), il suo posizionamento strategico, i dati finanziari e del business plan (due diligence finanziaria), le problematiche di natura legale (due diligence legale)[13], gli eventuali rischi fiscali (due diligence fiscale), gli eventuali rischi di natura ambientale (due diligence ambientale), la valutazione del management e le modalità e la tempistica dello smobilizzo dell'investimento.
Il contratto di investimento
Se la trattativa tra le parti si conclude con esito positivo, una volta concordato il prezzo di acquisto, si giunge alla stipulazione del cd. contratto di investimento (cd. investment agreement o subscription agreement), che stabilisce l'impegno delle parti a procedere a una data operazione di investimento nel capitale nella target company. Benché le casistiche possano essere molteplici, solitamente, l'operazione di investimento può consistere in una compravendita di azioni/quote della società target, nell'acquisto dell'azienda o di un ramo d’azienda della medesima società, nell’apporto di nuovo equity mediante sottoscrizione di un aumento di capitale o nell’apporto di semi-equity mediante sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi emittendi dalla società target. Dal punto di vista contenutistico, tra le principali clausole del contratto di investimento figurano:
- l’oggetto e il prezzo[14];
- le pattuizioni che disciplinano gli atti da compiere al momento del closing (ossia l'attività per mezzo della quale le parti procedono alla formale e definitiva intestazione delle partecipazioni sociali e che raramente, nelle operazioni di private equity, è contestuale al signing, ossia la sottoscrizione del contratto di investimento)[15];
- le clausole relative alla gestione della società target nel lasso di tempo intercorrente tra il signing e il closing (cd. periodo interinale o interim period);
- le clausole che subordinano l'obbligo delle parti di procedere al closing all’adempimento di preliminari obbligazioni delle medesime (cd. covenants) e/o al verificarsi di determinate condizioni sospensive (cd. conditions precedent)[16] e/o al mancato verificarsi di fatti che legittimano una parte a sciogliersi dal vincolo contrattuale, mediante recesso[17] o invocando condizioni risolutive (cd. conditions subsequent) o clausole risolutive espresse;
- le clausole di price adjustment, nel caso in cui il prezzo dell’investimento non sia stato pattuito, al momento del signing, in maniera fissa, definitiva e vincolante e sia suscettibile di rettifica in relazione ad eventi verificatisi anteriormente al closing, ma accertabili solo successivamente allo stesso;
- le clausole di earn out, nel caso in cui l’acquirente intenda condizionare il pagamento di una parte del prezzo al raggiungimento di certi obiettivi da parte della società target in un lasso di tempo successivo al closing (cd. milestones)[18];
- eventuali forme di garanzia degli obblighi di pagamento successivi al closing[19], quali la fideiussione bancaria a prima richiesta e il deposito fiduciario della somma dovuta presso un terzo (cd. escrow agreement);
- le dichiarazioni e garanzie (cd. representations & warranties) in merito alla situazione economica, finanziaria e gestionale della società target; e
- le pattuizioni di indemnity, ossia quelle clausole che stabiliscono a carico della parte garante un’obbligazione pecuniaria volta a tenere indenne la parte garantita dalla diminuzione di valore della partecipazione dovuta all’eventuale violazione delle representations & warranties.
I patti parasociali
Nella quasi totalità dei casi, contestualmente al contratto di investimento[20], il nuovo investitore e i soci originari stipulano dei patti parasociali (cd. shareholders’ agreement) che, unitamente allo statuto, regolano i rapporti all’interno della compagine azionaria, rendendo efficace la collaborazione che si instaura tra il socio imprenditore e il socio investitore. Tali accordi sono volti a disciplinare:
- la stabilità della compagine sociale e l’incentivo del socio imprenditore e del management;
- la corporate governance e l’informativa societaria; e
- le modalità e i termini del disinvestimento da parte del socio investitore.
Con riguardo al primo aspetto, deve notarsi che è interesse del socio investitore incentivare la componente gestionale in quanto essenziale per il successo della società e dunque dell’operazione. Tra le pattuizioni maggiormente diffuse nella prassi operativa del private equity, tendenti a garantire la stabilità dell’azionariato della società target, limitando la libera trasferibilità delle partecipazioni, meritano una citazione (i) gli accordi di lock-up, in forza dei quali il socio imprenditore si impegna a non cedere la propria partecipazione societaria per un periodo di tempo determinato, e (ii) la clausola di prelazione[21] che, nel caso di vendita della partecipazione di un socio, attribuisce agli altri il diritto di acquistare la stessa in via preferenziale, alle medesime condizioni della prospettata vendita ad un terzo. Invece, tra le pattuizioni volte ad assicurare il coinvolgimento del socio imprenditore figurano (i) gli accordi di earn out, come sopra descritti, (ii) i piani di stock option e il cosiddetto management by objectives, che sono meccanismi di incentivazione volti a “fidelizzare” il management, almeno fino al momento in cui il socio investitore abbia ceduto la propria partecipazione; e (iii) gli accordi di exit ratchet, in forza dei quali, al momento del disinvestimento da parte del socio investitore (e sul presupposto della realizzazione di un capital gain), le proporzioni di partecipazione nella società vengono idealmente riallocate tra il socio investitore e il socio imprenditore in maniera tale che il secondo incrementi la propria quale “premio” per la performance realizzata.
Con riferimento al secondo aspetto, si tratta di trovare il giusto equilibrio tra le aspettative dell’imprenditore, l’approccio più o meno partecipativo dell’investitore e la tipologia di operazione (di maggioranza o di minoranza). Solitamente, i temi più dibattuti in merito al governo della target company riguardano (i) la nomina e il funzionamento dell’organo amministrativo e dell’organo di controllo[22], (ii) il riconoscimento di poteri di veto in sede assembleare e/o consiliare, (iii) la previsione di maggioranze qualificate per deliberare su determinate materie ritenute significative, (iv) la sottoscrizione di azioni privilegiate da parte di una sola categoria di soci, (v) le clausole anti-diluzione e (vi) i diritti di informativa.
Quanto ai meccanismi di liquidazione dell’investimento, i patti parasociali sono soliti definire un percorso che porti alla cessione della partecipazione, una o più modalità di attuazione della cessione e le relative modalità di valutazione della partecipazione ceduta. Tra le pattuizioni a servizio del diritto di exit[23] si annoverano (i) l’opzione di vendita (cd. put option) o di acquisto (cd. call option); (ii) le clausole di co-vendita (cd. tag-along), che permettono all’investitore di obbligare gli altri soci, che intendano vendere ad un terzo la propria partecipazione, a procurare la vendita anche delle quote partecipative dell’investitore; (iii) le clausole di trascinamento (cd. drag-along), che permettono all’investitore di vendere, insieme alla propria partecipazione, anche quella degli altri soci; (iv) le clausole di cessione della partecipazione (cd. trade sale) tramite il mandato congiunto a vendere; (v) il diritto di recesso; (vi) le clausole di distribuzione preferenziale del ricavato della vendita delle partecipazioni (cd. liquidation preference); e (vii) le pattuizioni per la soluzione di uno stallo decisionale (cd. deadlock).Infine, i patti parasociali possono prevedere anche pattuizioni a favore dalla società target, quali, a titolo esemplificativo, i patti di finanziamento e i patti di non concorrenza.
La gestione e il monitoraggio della società target
Successivamente all’acquisizione della partecipazione, si apre la delicata fase della gestione della società target, dalla quale dipende il successo dell’operazione e nella quale l’attività dell’operatore di private equity acquista la sua connotazione tipica. Infatti, in tale fase l’investitore ha il compito di supportare il management nella creazione di valore per l’impresa[24]. A tal fine, l’investitore, cerca sin da subito di implementare la struttura societaria e la trasparenza informativa, richiedendo di accedere regolarmente alle informazioni societarie per tenere sotto controllo l’andamento della società e individuare con tempestività eventuali problemi. Il monitoraggio dell’investimento viene effettuato sia attraverso l’analisi di indicatori economico-reddituali sia attraverso la presenza di rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione. Nella prassi, si è soliti distinguere tra investitori poco coinvolti nella gestione dell’azienda partecipata (cd. hands off approach), tipico dei fondi ad approccio puramente finanziario, e investitori molto coinvolti (cd. hands on approach), tipico dei fondi ad approccio industriale[25]. In ogni caso, tendenzialmente, l’investitore non ha alcuna velleità di partecipare alla gestione operativa quotidiana della società, ma pretende di contribuire alla definizione dell’indirizzo strategico della medesima.
Il disinvestimento
Come già detto, l’operatore di private equity rappresenta un socio temporaneo, interessato a sviluppare e supportare un piano di crescita dell’azienda. Trascorso quindi il tempo necessario per una adeguata creazione di valore, la partecipazione dell’operatore di private equity deve essere ceduta, attraverso un processo di disinvestimento. Di solito, gli investitori cercano di prevedere già al momento dell’acquisto della partecipazione, gli eventuali canali di uscita ed i tempi di realizzo. Nei casi di successo, si disinveste quando l’azienda ha raggiunto il livello di sviluppo previsto e il valore della società si è incrementato. In caso, invece, di fallimento dell’iniziativa, si disinveste quando matura la convinzione che non è più possibile risolvere la situazione di crisi. Le tipiche forme di disinvestimento (c.d. way out) sono:
- la quotazione in Borsa della società e/o la vendita di azioni sul mercato: rappresenta il canale più ambito dal momento che è possibile collocare anche una minoranza del capitale dell’impresa, consentendo all’investitore di cedere la propria partecipazione e all’imprenditore di mantenere il controllo della società. Di contro, si tratta di un processo molto lungo, complesso e oneroso[26];
- la cessione della partecipazione ad un socio di natura industriale (cd. trade sale): questo canale apre una prospettiva di sviluppo per l’impresa e comporta un impegno di persuasione più ristretto rispetto alla necessità di convincere l’intero mercato, nonché tempi più ristretti. Tuttavia, solitamente è necessario dismettere l’intero capitale della società;
- la cessione ad un altro operatore di private equity (cd. secondary buy out): si verifica di solito quando l’impresa non è ancora pronta per essere affidata al mercato ma l’investitore originario considera terminato il suo compito;
- il riacquisto della partecipazione da parte del gruppo imprenditoriale originario (cd. buy back): tale eventualità può essere prevista contrattualmente fin dall’inizio, affidando l’attivazione all’imprenditore (call option) o all’investitore (put option). Il riacquisto può anche essere causato da una performance insoddisfacente;
- l’azzeramento della partecipazione a seguito del fallimento dell’operazione di investimento (cd. write off).
Conclusioni
Dalle considerazioni che precedono emerge quali siano la natura e la ratio dell’intervento di private equity nel capitale della società target, la struttura di questo tipo di operazioni, i fattori chiave del successo e l’impatto economico di tali operazioni sulla crescita e sulla trasformazione delle aziende. In particolare, come si è visto, l’intervento dell’operatore di private equity può generare numerosi benefici, tra cui, inter alia, il reperimento di risorse finanziarie, il miglioramento della cultura manageriale, l’adozione di regole di corporate governance, l’implementazione delle scelte strategiche aziendali, la facilitazione del passaggio generazionale, l’accrescimento della visibilità e della competitività della società, anche sul piano internazionale, e l’allargamento del network di relazioni commerciali e finanziarie. Si viene, quindi, a creare un contesto virtuoso, nel quale il socio imprenditore si vede arricchito del contributo del socio investitore e dove entrambi hanno come unico obiettivo lo sviluppo della società. La trasformazione aziendale che ne consegue costituisce la miglior premessa per la creazione di valore. Pertanto, aprire il capitale azionario a un investitore di private equity significa favorire uno stabile e duraturo sviluppo aziendale.
[1] Così la delibera del 22 luglio 2004 del Consiglio Direttivo di AIFI, riportata da A. Gervasoni, in A. Gervasoni – F. Sattin, Private equity e venture capital – Manuale di investimento nel capitale di rischio, IV ed., 2008, Guerini, Milano, p. 32.
[2] Tali fondi vengono definiti limited partners e sono gestiti dal cosiddetto general partner, ossia la squadra di investitori che ha il controllo manageriale della società di gestione e che decide se, quando e quali investimenti effettuare. La forma giuridica più comune utilizzata a livello europeo è quella del limited partnership nella quale i soci (limited partners) delegano ad alcuni professionisti (general partners) la gestione dei capitali conferiti. La durata del fondo è solitamente di 10 anni, all'interno dei quali si distingue il periodo di investimento e il periodo di disinvestimento, ciascuno di cinque anni. I rapporti tra limited partners e general partners sono disciplinati dal regolamento del fondo che disciplina gli organi di governo e i meccanismi di funzionamento dello stesso, le forme di remunerazione dei gestori e limiti alla gestione e gli strumenti di tutela dei soci. Per un maggior dettaglio sulla struttura di un fondo di private equity vedasi Lorenzo Zamboni, Il ruolo degli investitori istituzionali nei processi di M&A: il private equity, in Maurizio Dallocchio, Gianluigi Lucchini e Marco Scarpelli (a cura di), Mergers & Acquisitions, Egea, Milano, 2015, pag. 404.
[3] Un imprenditore che sia alla ricerca di capitale di rischio dovrà individuare l’investitore più adatto al suo caso, informandosi sulle caratteristiche e sulle sue preferenze in tema di investimento. È infatti possibile differenziare gli investitori per settore industriale, area geografica, tipologia di operazione, dimensione dell’investimento e acquisizione di quote di maggioranza o minoranza. Sul punto, cfr. AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Guida pratica al capitale di rischio – Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459518734-Guida_al_VC_PE.pdf?ixlib=rb-1.1.0, pag. 18.
[4] Oltre ai rapporti più strettamente finanziari vi sono una serie di specifici vantaggi che possono essere ottenuti grazie alla partecipazione al capitale di un investitore istituzionale: (i) collaborazione nel tracciare una strategia di sviluppo e nel perseguirla sfruttando occasioni di crescita esterna, quali acquisizioni, fusioni, concentrazioni, joint-venture ecc.; (ii) maggiore funzionalità della compagine sociale; (iii) gestione più professionale manageriale; (iv) crescita del potere contrattuale dell'impresa; (v) miglioramento dell'immagine dell'impresa nei confronti delle banche e del mercato finanziario; (vi) maggiore capacità di attrarre management capace ed esperto. Cfr. AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Guida pratica al capitale di rischio – Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459518734-Guida_al_VC_PE.pdf?ixlib=rb-1.1.0, pag. 8 ss.
[5] Solitamente, gli operatori di private equity intervengono nel capitale delle società per (i) finanziare le fasi iniziali di sviluppo; (ii) sostenere progetti di crescita; (iii) promuovere e sostenere progetti di acquisizione; (iv) risolvere situazioni di passaggio generazionale; (v) permettere ai manager di diventare imprenditori; (vi) ristrutturare la base azionaria; (vii) bilanciare le fonti di finanziamento; (viii) sostenere e agevolare programmi di sviluppo e di internazionalizzazione; (ix) promuovere la quotazione in borsa. Sul punto, si veda AIFI – Commissione Mid Market e Buy Out, Gli operatori di private equity, 2013, consultabile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459521140-1414658032wpdm_leaflet.pdf?ixlib=rb-1.1.0.
[6] L’unione tra il socio imprenditore e il socio investitore si deve quindi basare su un rapporto di estrema fiducia e condivisione degli obiettivi, che tenga, al tempo stesso, ben presente che il socio investitore si configura quale partner temporaneo del socio imprenditore, con cui condivide gli obiettivi prestabiliti, fornendo il proprio contributo alla società, senza peraltro sminuire in alcun modo il ruolo imprenditoriale e gestionale dell’imprenditore, che rimane “fulcro” dell’impresa. Cfr. AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Private equity e corporate governance delle imprese, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459780704-PrivateEquity_CorporateGovernancedelleImprese.pdf?ixlib=rb-1.1.0, p. 5.
[7] Per la definizione di private equity e venture capital si veda Bruna Szego, Il venture capital come strumento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese: un’analisi di adeguatezza dell’ordinamento italiano, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza Legale, Banca d’Italia, giugno 2002, p. 15, consultabile su https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/quaderni-giuridici/2002-0055/quaderno_55.pdf; Giovanni Antonio Mazza, Patti sociali e parasociali nelle operazioni di private equity e venture capital, Egea, Milano, 2017, pag. XIII.
[8] Leveraged buy out (LBO): è sicuramente la tipologia di operazione più diffusa. L'acquisizione è finanziata con capitale (equity) fornito dal fondo di private equity e con debito bancario. Family buy out (FBO): è l'acquisizione di un'azienda da parte di un ramo/individuo di una famiglia che, con il supporto di un investitore finanziario, acquista le quote di familiari uscenti. Management buy out (MBO): è l'acquisizione di un'azienda da parte del suo stesso management grazie al supporto di un investitore finanziario. I manager diventano imprenditori. Management buy in (MBI): è l'acquisizione di un'azienda da parte di un gruppo di manager esterni alla stessa portati dal fondo di private equity. Employees buy out (EBO): è l'acquisizione di un'azienda da parte dei suoi stessi dipendenti oltre che dal management. Cfr. Lorenzo Zamboni, Il ruolo degli investitori istituzionali nei processi di M&A: il private equity, in Maurizio Dallocchio, Gianluigi Lucchini e Marco Scarpelli (a cura di), Mergers & Acquisitions, Egea, Milano, 2015, pag. 400.
[9] L’elemento “chiave” per il successo di un’operazione di private equity è rappresentato dal socio imprenditore: è evidente, infatti, che il socio investitore, prima ancora di investire nel business della società target, investe sulle capacità gestionali del socio imprenditore e sulla sua capacità di realizzare un progetto imprenditoriale di successo nel medio/lungo termine. Cfr. AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Private equity e corporate governance delle imprese, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459780704-PrivateEquity_CorporateGovernancedelleImprese.pdf?ixlib=rb-1.1.0, p. 6.
[10] L’accordo di riservatezza è generalmente redatto dal venditore. Solitamente, prevede clausole che disciplinano l'utilizzo delle informazioni ricevute, i soggetti a cui possono essere trasmesse le informazioni riservate, le circostanze in cui viene meno l'obbligo di riservatezza, il termine di durata dell'accordo, la restituzione di tutti i documenti ricevuti e la loro distruzione, il divieto di assunzione di dipendenti della target, la eventuale quantificazione forfettaria del danno derivato alla società target dall'inadempimento del potenziale acquirente e dai soggetti a cui questo ha fornito le informazioni riservate (dipendenti, collaboratori e consulenti). Per un maggiore approfondimento sui confidentiality agreement si veda Luca Renna, Compravendita di partecipazioni sociali. Dalla lettera di intenti al closing, Zanichelli, Bologna, 2015, pag. 8.
[11] Al di là del nomen juris utilizzato per qualificare il contratto sottoscritto, al fine di stabilire se le parti abbiano voluto effettivamente assumere impegni vincolanti, occorrerà rifarsi al testo dell'accordo e al comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione del contratto. Cfr. Giovanni Antonio Mazza, Patti sociali e parasociali nelle operazioni di private equity e venture capital, Egea, Milano, 2017, pp. 5 ss.
[12] Si veda Trib. Torino, 3 marzo 2015, in www.ilcaso.it, secondo cui: “Con l’espressione due diligence - mutuata dall'ordinamento dei paesi anglosassoni e ormai comunemente utilizzata, senza traduzione, anche nel nostro ordinamento - ci si riferisce all'attività di investigazione e approfondimento di dati e informazioni relative all’oggetto di una trattativa. Il fine di questa attività è quello di valutare la convenienza di un affare e di identificarne i rischi e le problematiche: sia per negoziare termini e condizioni del contratto, sia per predisporre adeguati strumenti di garanzia, di indennizzo o risarcimento”.
[13] La due diligence legale consiste nell'esame della documentazione legale e societaria, dei contratti stipulati con i clienti e fornitori e con società terze, dei contratti di lavoro dei dipendenti e dei dirigenti, dei contratti di collaborazione e di consulenza, del contenzioso in essere, delle possibili future controversie e di tutti gli aspetti, inclusi quelli relativi alla proprietà intellettuale, rilevanti per valutare i rischi di natura giuridica connessi all'acquisizione di società target. Per un approfondimento sulle caratteristiche delle attività di due diligence si veda AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Guida pratica al capitale di rischio – Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459518734-Guida_al_VC_PE.pdf?ixlib=rb-1.1.0, pag. 28.
[14] In caso di compravendita di azioni/quote, contratto di investimento dovrà indicare la partecipazione oggetto della compravendita e il relativo prezzo (determinato o determinabile). In caso di acquisto di azienda o di un suo ramo, il contratto dovrà indicare il “perimetro aziendale” oggetto di cessione e il relativo prezzo (determinato o determinabile). In caso di apporto di equity o semi-equity, il contratto dovrà indicare esattamente cosa il nuovo investitore riceverà in cambio del previsto apporto (es. azioni/quote o strumenti finanziari partecipativi). Sul punto, vedasi Giovanni Antonio Mazza, Patti sociali e parasociali nelle operazioni di private equity e venture capital, Egea, Milano, 2017, p. 12.
[15] Tipici adempimenti sono trasferimento delle azioni, il pagamento del prezzo, il rilascio delle garanzie, l’eventuale sostituzione degli amministratori e la sottoscrizione dei contratti accessori. Cfr. AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Guida pratica al capitale di rischio – Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459518734-Guida_al_VC_PE.pdf?ixlib=rb-1.1.0, pag. 29.
[16] Esempi di covenants sono la stipula di patti parasociali o la stipula di contratti ancillari o l’effettuazione delle comunicazioni previste dalla normativa antitrust. Esempi di condizioni sospensive sono l’ottenimento di permessi e autorizzazioni da pubbliche amministrazioni, la concessione di finanziamenti al nuovo investitore, il compimento di operazioni societarie prodromiche al closing, le dimissioni dell’organo amministrativo e/o di controllo. Cfr. Giovanni Antonio Mazza, Patti sociali e parasociali nelle operazioni di private equity e venture capital, Egea, Milano, 2017, p. 8.
[17] Nella prassi è particolarmente rilevante la material adverse change (m.a.c.) clause che legittima l’investitore a sciogliersi dal vincolo contrattuale qualora tra il signing e il closing si verifichino circostanze straordinarie e imprevedibili che compromettano il valore della società target o alterino il normale andamento del relativo mercato di riferimento. Cfr. Marco Speranzin, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrrattuali, Giuffrè, Milano, 2006, p. 36.
[18] Gli accordi di earn out costituiscono una tipica modalità di incentivazione al raggiungimento di risultati aziendali da parte del socio imprenditore che mantenga, anche dopo la cessione, un ruolo operativo determinante nella società target. Nella prassi si distingue tra economic earn out e performance earn out a seconda che il corrispettivo dovuto dal compratore sia determinato con riferimento a indici contabili (es. utile netto, cash flow o EBITDA) o al raggiungimento di una o più attività (es. la sottoscrizione di un importante contratto o l’ottenimento di un brevetto). Sebbene poco frequenti, possono essere previste anche clausole di earn in, in virtù delle quali è il venditore ad impegnarsi a restituire una parte del prezzo incassato alla data del closing nel caso in cui la società target non raggiunga le previste milestones. Cfr. S. Crosio, C. Gregori, Acquisizione di società ad elevato contenuto tecnologico: clausole di earn out e dichiarazioni e garanzie del venditore, in Contr. Impr., 2000, p. 1109.
[19] Successivamente al closing, una parte può essere tenuta ad effettuare esborsi a titolo di apporto di equity o semi-equity, price adjustment, earn out/in o prezzo dilazionato. In particolare, si ricorre spesso a forme di dilazione del prezzo dovuto nel caso in cui l’investitore effettui l’acquisizione ricorrendo alla leva finanziaria (cd. acquisition financing). Talvolta, peraltro, è lo stesso venditore a fornire all’acquirente una parte dei fondi necessari al pagamento di una parte del prezzo attraverso un vero e proprio finanziamento (cd. vendor loan). Cfr. Giovanni Antonio Mazza, Patti sociali e parasociali nelle operazioni di private equity e venture capital, Egea, Milano, 2017, p. 22.
[20] Nelle operazioni di private equity con ricorso a indebitamento, il nuovo investitore stipula altresì un contratto di finanziamento con le banche, normalmente garantito dal pegno sulle azioni della società target e/o da altre forme di garanzia reale (es. ipoteca sugli immobili, ipoteca sul marchio, ecc.). Per tutelare gli interessi dei finanziatori del debito, i contratti di finanziamento sono soliti prevedere delle clausole che, al verificarsi di particolari condizioni, riconoscono loro il diritto di revocare o rinegoziare il prestito concesso o addirittura escutere il pegno e prendere il controllo della società. Cfr. Lorenzo Zamboni, Il ruolo degli investitori istituzionali nei processi di M&A: il private equity, in Maurizio Dallocchio, Gianluigi Lucchini e Marco Scarpelli (a cura di), Mergers & Acquisitions, Egea, Milano, 2015, pag. 416.
[21] Tra le pattuizioni limitative della libera circolazione delle azioni rientrano anche: la clausola di gradimento, che subordina il trasferimento delle partecipazioni sociali al gradimento di organi sociali, di altri soci e, limitatamente alle s.r.l., anche di terzi; la clausola di prima offerta, in base alla quale un socio che intenda vendere la propria partecipazione, prima di relazionarsi con terzi, deve informare gli altri soci, invitandoli a formulare entro un dato termine, un’offerta di acquisto; e la clausola di primo rifiuto, in base alla quale un socio che intenda vendere la propria partecipazione, prima di relazionarsi con terzi, deve informare gli altri soci, formulando al contempo una proposta di vendita. Per un approfondimento su tali clausole, vedasi Giovanni Antonio Mazza, Patti sociali e parasociali nelle operazioni di private equity e venture capital, Egea, Milano, 2017, pp. 166 ss.
[22] È d’uso che il socio investitore sia rappresentato, all’interno dell’organo amministrativo della società in misura proporzionale o più che proporzionale rispetto all’entità della propria partecipazione. Cfr. AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Private equity e corporate governance delle imprese, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459780704-PrivateEquity_CorporateGovernancedelleImprese.pdf?ixlib=rb-1.1.0, p. 8.
[23] Per un approfondimento delle pattuizioni a servizio del diritto di exit, vedasi Giovanni Antonio Mazza, Patti sociali e parasociali nelle operazioni di private equity e venture capital, Egea, Milano, 2017, pp. 223 ss.
[24] In merito alle leve di creazione di valore, vedasi Lorenzo Zamboni, Il ruolo degli investitori istituzionali nei processi di M&A: il private equity, in Maurizio Dallocchio, Gianluigi Lucchini e Marco Scarpelli (a cura di), Mergers & Acquisitions, Egea, Milano, 2015, pag. 420.
[25] Sulle differenze tra i due tipi di approccio, vedasi AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Guida pratica al capitale di rischio – Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459518734-Guida_al_VC_PE.pdf?ixlib=rb-1.1.0, pag. 31.
[26] Per un elenco dettagliato dei vantaggi e svantaggi della quotazione in Borsa vedasi AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Guida pratica al capitale di rischio – Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459518734-Guida_al_VC_PE.pdf?ixlib=rb-1.1.0, pag. 33.
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Riferimenti bibliografici
- Giovanni Antonio Mazza, Patti sociali e parasociali nelle operazioni di private equity e venture capital, Egea, Milano, 2017
- A. Gervasoni, in A. Gervasoni – F. Sattin, Private equity e venture capital – Manuale di investimento nel capitale di rischio, IV ed., 2008, Guerini, Milano
- Lorenzo Zamboni, Il ruolo degli investitori istituzionali nei processi di M&A: il private equity, in Maurizio Dallocchio, Gianluigi Lucchini e Marco Scarpelli (a cura di), Mergers & Acquisitions, Egea, Milano, 2015
- Stefano Bonini, Il ruolo degli investitori istituzionali nei processi di M&A: il venture capital, in Maurizio Dallocchio, Gianluigi Lucchini e Marco Scarpelli (a cura di), Mergers & Acquisitions, Egea, Milano, 2015
- Andrea Vicari, Le Operazioni di acquisizione societaria assistite finanziariamente dalla società acquisita, in Maurizio Irrera (opera diretta da), Le acquisizioni societarie, Zanichelli, Bologna, 2015
- Stefano A. Cerrato, Le operazioni di leveraged buy out, in AA. VV., Le operazioni societarie straordinarie, in Gastone Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Cedam, 2011, Padova
- AIFI – Commissione Mid Market e Buy Out, Gli operatori di private equity, 2013, consultabile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459521140-1414658032wpdm_leaflet.pdf?ixlib=rb-1.1.0
- Claudio Bonora, Il finanziamento delle acquisizioni, in Ugo Draetta e Carlo Monesi (a cura di), I contratti di acquisizione di società ed aziende, Giuffrè Editore, Milano, 2007
- Memento Pratico, Società commerciali, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019
- AIFI Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, Guida pratica al capitale di rischio – Avviare e sviluppare un’impresa con il venture capital e il private equity, reperibile sul sito https://www.datocms-assets.com/45/1459518734-Guida_al_VC_PE.pdf?ixlib=rb-1.1.0
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- Barbara Fidanza, Private equity in Italia: caratteristiche del mercato e ruolo per le imprese, reperibile sul sito https://u-pad.unimc.it/retrieve/handle/11393/41154/902/mcgrawhill.pdf
- Bruna Szego, Il venture capital come strumento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese: un’analisi di adeguatezza dell’ordinamento italiano, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza Legale, Banca d’Italia, giugno 2002, p. 15, consultabile su https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/quaderni-giuridici/2002-0055/quaderno_55.pdf
- Luca Renna, Compravendita di partecipazioni sociali. Dalla lettera di intenti al closing, Zanichelli, Bologna, 2015
- Marco Speranzin, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrrattuali, Giuffrè, Milano, 2006
- S. Crosio, C. Gregori, Acquisizione di società ad elevato contenuto tecnologico: clausole di earn out e dichiarazioni e garanzie del venditore, in Contr. Impr., 2000
Questi ed altri temi sono affrontati nel Master in Avvocato di Affari di MELIUSform Business School.
Ultima modifica il 23/04/2020
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