L’internazionalizzazione rappresenta una delle sfide più importanti per il sistema imprenditoriale italiano, un’opportunità di crescita e di sviluppo che permette alle imprese di apportare valore aggiunto alle loro attività, estendere la loro competitività, sviluppare mezzi finanziari e competenze manageriali ed accrescere la loro qualità anche sul loro mercato nazionale.

A cura dell’Avv. Laura Manzoni, partecipante dell'Executive Master in Avvocato di Affari.


L’internazionalizzazione rappresenta una delle sfide più importanti per il sistema imprenditoriale italiano, un’opportunità di crescita e di sviluppo che permette alle imprese di apportare valore aggiunto alle loro  attività, estendere la loro competitività, sviluppare mezzi finanziari e competenze manageriali ed accrescere la loro qualità anche sul loro mercato nazionale.

Con questi obiettivi al processo di internazionalizzazione stanno sempre più partecipando  anche le piccole e medie imprese italiane (PMI: per la relativa definizione, di origine comunitaria, si veda la Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione Europea del 6.05.2003, recepita in Italia con il D.M. 18.04.2005).

Ma in che modo  estendere il proprio business all’estero, e come scegliere la soluzione più idonea alle proprie esigenze imprenditoriali?

Risultano infatti necessariamente rilevanti al riguardo diverse variabili che possono incidere sulla scelta del Paese estero in cui operare l’insediamento e delle relative modalità, in primis quella fiscale, vero focus nelle scelte strategiche dell’impresa nell’ambito del processo di internazionalizzazione.

I principali strumenti organizzativi a disposizione della PMI che vuole espandersi all’estero sono:

  • Ufficio di Rappresentanza;
  • Stabile Organizzazione (“Branch”);
  • Società controllata di diritto estero (“Subsdiary”).

L’ufficio di Rappresentanza   

Rappresenta la struttura più semplice ed economica, ma è solo propedeutica ad un successivo  vero e proprio insediamento nel territorio estero scelto: la stessa  infatti  è preordinata a svolgere  in loco esclusivamente compiti preparatori dell’attività  di impresa, di carattere promozionale ed informativo e diretti ad aprirsi  il mercato  analizzandone le caratteristiche e le specifiche esigenze e potenzialità, ma non può esercitare né porre in essere alcuna attività commerciale e/o industriale o concludere contratti in nome e per conto dell’impresa italiana.

Tale struttura, priva di propria identità giuridica e fiscale rispetto all’impresa italiana - per la quale quindi non sorgono obblighi fiscali di alcun tipo nello Stato Estero - contabilmente  rappresenta per la stessa semplicemente un centro di costo, deducibile ma non sottoposto ad alcun carico fiscale, non potendo produrre alcun  reddito né conseguentemente emettere fatture.

Occorre però porre la massima attenzione alle attività in concreto svolte dall’Ufficio di Rappresentanza, pena l’identificazione dello stesso a fini tributari come una stabile organizzazione occulta (vd. infra), con tutte le conseguenze sanzionatorie che ciò comporta.

La Stabile Organizzazione ("Branch")

E' un istituto di diritto tributario che collega ad un Paese Estero il reddito derivante da un’attività economica svolta sul suo territorio da un’impresa non residente.

L’importanza  di una definizione chiara di tale concetto, sia per il contribuente che per l’Amministrazione Finanziaria, nasce dall’esigenza di determinare con esattezza il luogo dove il reddito prodotto debba essere soggetto ad imposizione fiscale.

Nel nostro ordinamento la Stabile Organizzazione è individuata attraverso  il  DPR 917/86 (TUIR) il quale, all’art. 162 - introdotto con il D. Lgs. 12.12.2003 n. 344, poi novellato  dalla L. 27.12.2017 n. 205, in aperta ricezione del  Modello di Convenzione OCSE -  la identifica in una “sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte  la sua attività sul territorio dello Stato”, distinguendo due tipologie di  Stabile Organizzazione:

  • La Stabile Organizzazione Materiale (S.O.M.), basata sulla  presenza fisica di una sede fissa di affari di impresa, e/o sulla “significativa e continuativa presenza economica… di una impresa, seppur  priva di “consistenza fisica nel territorio dello Stato” (art. 162, c. 2, lett. f-bis TUIR) ;
  • La Stabile Organizzazione Personale (S.O.P.), in presenza di agenti non indipendenti con potere di concludere contratti in nome e per conto della impresa madre (art. 162 commi 6,7);

elencando una serie di requisiti (oggettivi, soggettivi e funzionali) integranti  gli elementi costitutivi della fattispecie, e stabilendo una “Positive list”  di ipotesi di  sussistenza di Stabile Organizzazione materiale (art. 162 comma 2) ed una “Negative list”(art. 162 comma 4) di ipotesi in cui al contrario tale sussistenza è da ritenersi esclusa. Il Commentario al citato Modello OCSE fornisce inoltre una serie di indicazioni  per meglio individuare nel caso concreto la sussistenza o meno di una stabile organizzazione, anche occulta, segnalati anche dalla giurisprudenza italiana (fra tutte, le note sentenze sul caso Philip Morris, nn. 3367,  3368, 7682 e 10925 del 20.12.2001).

L’impresa madre che operi tramite una struttura erroneamente ritenuta non integrante la fattispecie della Stabile Organizzazione si esporrà al rischio di gravi conseguenze non solo ai fini tributari, ma anche penali (ove il reddito riferibile  dalla struttura estera superi determinate soglie); ciò vale per l’ipotesi  di cui alla norma citata (impresa estera  che operi in  territorio italiano) come per la simmetrica ipotesi di impresa italiana che operi all’estero attraverso una struttura qualificabile come Stabile Organizzazione.

Civilisticamente la Stabile Organizzazione, non specificamente  disciplinata, è un’entità priva di autonomia giuridica rispetto alla casa madre italiana, essendo  lo strumento  di operatività della stessa in Paese Estero; non avrà necessità di capitale sociale - ma solo di un fondo di dotazione idoneo allo svolgimento della propria attività -, di organi gestori propri o di obblighi di redazione di bilancio; per le passività della stessa risponde esclusivamente la casa madre con il proprio patrimonio.

La stessa ha quindi una valenza esclusivamente fiscale con riferimento al reddito prodotto dalla casa madre nel Paese Estero; avrà un proprio numero identificativo estero (come la PI o il CF) e, in quanto autonomo centro di imputazione di ricavi e costi, verrà tassata nello Stato Estero per i redditi ivi prodotti.

Sotto il profilo tributario va evidenziato il verificarsi  quindi  necessariamente di  un fenomeno di duplice tassazione - dei redditi prodotti dalla Stabile Organizzazione - sia nel Paese Estero, secondo la normativa ivi vigente, sia nel Paese di residenza della casa madre, attenuato (in Italia, unico strumento di gestione della fiscalità della Stabile Organizzazione fino all’introduzione  della branch exemption, di cui infra) dal meccanismo delle Convenzioni sulla non doppia imposizione, che molti Stati stipulano in condizione di reciprocità (imprescindibile  elemento di valutazione   nella scelta del Paese Estero di insediamento tramite una Stabile Organizzazione  sarà quindi la sussistenza o meno di una tale Convenzione con lo stesso) e  si realizza attraverso la tassazione integrale dei redditi prodotti dalla struttura  all’estero in capo alla casa madre, e corrispondente  riconoscimento per quest’ultima del credito d’imposta per i carichi fiscali scontati nel Paese Estero  con il quale esista apposita  Convenzione.

Riguardo la disciplina contabile,va rilevato:

  • La Stabile Organizzazione è obbligata a tenere le scritture contabili previsti dalla normativa del Paese Estero in cui si trova ed ad assolvere ai relativi adempimenti tributari; normalmente non è richiesto apposito bilancio, ma è necessaria la redazione di apposito rendiconto degli utili e/o  perdite riferibili alla struttura ai fini della determinazione della locale imposizione fiscale;
  • La casa madre italiana è tenuta, oltre agli adempimenti di pubblicità al Registro delle Imprese (art. 2197 c.c.) ed all’indicazione nella Relazione sulla gestione (art. 2428 c.c.),  a rilevare distintamente nelle proprie Scritture  Contabili le operazioni ed i fatti di gestione della Stabile Organizzazione,  determinando separatamente i risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse (D.P.R.  n. 600/1973, art. 14 comma 5),  per la determinazione del risultato complessivo di esercizio dell’impresa italiana (unicità del bilancio rilevante verso i terzi e consolidamento diretto sulla società dei dati della Stabile Organizzazione).

L’Amministrazione Finanziaria  si è pronunciata sui diversi modi in cui tale  contabilità separata è realizzabile nella contabilità generale della casa madre, a seconda delle modalità di tenuta della contabilità  della Stabile Organizzazione nel Paese Estero di riferimento (vd. R.M. 1.02.1983-prot. N. 9/2398; R.M.  15.07.1980 N9/428, Corte Cass.  sent. n. 7554 del 23.05.2002).

In buona sostanza le operazioni svolte dalla Stabile Organizzazione, pur  contabilizzate  separatamente dalla casa madre, confluiscono nelle registrazioni contabili di quest’ultima; conseguentemente le perdite realizzate dalla Stabile Organizzazione nello stato Estero sono portate in diretta deduzione del reddito imponibile italiano, e dunque immediatamente recuperate.

Con il D. Lgs. 14.09.2015 n. 147, peraltro, nell’ottica di favorire  la competitività delle imprese residenti che operano all’estero attraverso Stabili Organizzazioni ed in linea con le raccomandazioni degli organismi internazionali e dell’UE, è stato introdotto l’istituto della “branch exemption” con l’art. 168 ter TUIR, che  prevede - in deroga al principio generale della "worldwide taxation" - la possibilità per l’impresa italiana di optare per la non rilevanza fiscale  in Italia  di utili e perdite realizzate dalle sue stabili organizzazioni all’estero, potendo così usufruire per le stesse delle imposizioni fiscali dei Paesi esteri di insediamento, con un tax rate di norma più basso rispetto a quello nazionale.

Detta opzione deve essere esercitata dall’impresa madre al momento della costituzione della Stabile Organizzazione, si estende a tutte le Stabili Organizzazioni all’estero dell’impresa, è irrevocabile ed ha effetto dal medesimo periodo di imposta in cui è esercitata;  finalità precipua dell’istituto è quella di favorire l’internazionalizzazione delle imprese italiane rendendo “neutro” il risultato conseguito all’estero. Per particolari ipotesi di Stabili Organizzazioni (art. 167, 4^ comma)   l’opzione  è esercitabile ove ricorra l’esimente di cui al 5^ comma della stessa norma.

L’istituto della Branch exemption di cui sopra trova un contemperamento in virtù del meccanismo cd. di recapture, in base al quale sono deducibili le perdite nette prodotte dalla medesima branch nei cinque periodi di imposta antecedenti l’esercizio dell’opzione (par. 4 Provv. Direttore Ag. Entrate 28.08.2017, n. 165138).

Da tenere presente che in ogni caso nei rapporti fra casa madre e Branch estera si applicano i principi del Transfer Pricing (art. 110, c. 7  TUIR).

Va valutato inoltre ed infine che un’eventuale  cessione dell’attività insediata all’estero tramite una Stabile Organizzazione sarà configurabile come cessione di ramo d’azienda, con tassazione integrale del plusvalore, al contrario di quanto accadrà  in caso di cessione di una partecipazione in una controllata estera,  alla quale sarà applicabile, ove sussistenti i requisiti di legge,  il regime della participation exemption, con detassazione in capo al soggetto nazionale pressoché integrale (95%)  dell’eventuale plusvalenza (art. 87 TUIR);

La Società controllata di diritto estero (“Subsdiary”)

Rappresenta la modalità più completa di insediamento all’estero: la società controllata estera (la nozione di controllo societario è quella di cui  all’art. 2359 c.c.) ha una propria personalità giuridica separata dalla casa madre, deve avere un proprio capitale sociale rispondente ai minimi previsti dalla normativa locale, ha una propria autonomia contabile e fiscale e risponde in proprio per le obbligazioni sociali, elementi questi ultimi due spesso posti alla base della scelta verso  un veicolo societario estero per la gestione del business oltrefrontaliero.

Di grande favore per l’insediamento estero tramite una Subsidiary in ambito comunitario la Direttiva madre/figlia (Direttiva 2011/96/UE), che consente, in ambito UE ed in presenza di determinati presupposti, l’esenzione dall’applicazione della ritenuta fiscale in uscita (nello stato estero) dei flussi reddittuali  provenienti dalla società partecipata estera, che  possono  essere distribuiti sotto forma di dividendi alla casa madre con sede in  un altro Stato membro UE; in Italia, tali dividendi saranno tassati nella misura di cui all’art. 89 TUIR (5% del loro ammontare); ciò vale in ogni caso di rimpatrio alla casa madre delle risorse (royalties  alla casa madre italiana per uso del marchio, interessi per finanziamenti fruttiferi) della Subsidiary UE, mentre in ipotesi di società extra UE sarà necessario verificare le Convenzioni con il Paese estero di riferimento per verificare le ritenute in uscita.

Occorre però tenere ben presenti anche norme tributarie introdotte al fine specifico di contrastare fenomeni di carattere elusivo realizzati attraverso strutture societarie meramente artificiose e localizzate in stati esteri (spesso a fiscalità di particolare favore) al solo scopo di eludere l’imposizione fiscale italiana, ossia in particolare:

  • La normativa sull’esterovestizione societaria, di cui all’art. 73 comma 5 bis TUIR, che prevede una presunzione legale di esterovestizione  per  la società estera che sia o controllata da soggetti residenti nel territorio dello Stato,  o amministrata da un CDA o altro organo equivalente di gestione composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato; in caso di accertamento pertanto l’imprenditore nazionale  dovrà fornire la prova positiva dell’effettiva sussistenza - ed operatività - all’estero della sede societaria,  della sede dell’amministrazione e dell’oggetto principale dell’attività, ossia dovrà dimostrare  che la controllata estera effettivamente  gode di propria autonomia decisionale e funzionale e  svolge   attività economica nel Paese estero dove è stata stabilita. Rilevanti ed utili a tal fine saranno gli elementi propri della società estera, fra cui la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione della dirigenza societaria e quello dove vengono adottate -con cadenza regolare, e comunque non sporadicamente- le decisioni della politica generale della società; possono venire in considerazione altri elementi (domicilio delle posizioni apicali, luogo di tenuta dei documenti contabili) sempre peraltro solo indicativamente, essendo la relativa casistica  piuttosto varia rendendosi opportuna una analisi nel caso concreto (si veda in proposito, Cass. 7.02.2013, sent. n. 2869);
  • La normativa CFC (Controlled Foreign Company), introdotta sempre con finalità antielusive, di cui all’art. 167 TUIR, che nella più recente formulazione (a partire dal periodo di imposta 2010) è stata estesa anche alle società controllate residenti in Stati a fiscalità ordinaria, inclusi gli Stati membri UE e gli stati SEE (comma 8 bis dell’art. 167 cit.). La suddetta norma dispone la tassazione cd. per trasparenza (vd. artt. 115 e 116 TUIR)  dei redditi prodotti dalle società, imprese o altri Enti   controllati (da   soggetti residenti in Italia) localizzati in “Stati o Territori a regime fiscale privilegiato di cui al comma 4”  dapprima “diversi da quelli appartenenti all’UE o aderenti allo SEE con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni” poi estesi, dall’art. 167,   comma 8bis TUIR, anche ai Paesi UE e SEE nonché  alle Stabili Organizzazioni che abbiano optato per la branch exemption.Tali redditi  cioè vengono imputati ai soggetti residenti controllanti in proporzione alle partecipazioni in esse detenute (art. 167, c. 1 TUIR cit.). Va  rilevato come la nozione di “paradiso fiscale” inteso come “Stato o Territorio a regime fiscale privilegiato” abbia conosciuto  nel corso degli anni più fasi, passando dalla rigida individuazione per liste (black list/white list) ad un criterio mobile e più flessibile  basato sul livello di tassazione  per consentire  una individuazione immediata di detti stati, in linea con le evoluzioni del sistema fiscale italiano e dei regimi fiscali dei Paesi Esteri. L’ultima formulazione della norma citata  è attuata a fronte del recepimento della Direttiva UE cd. “ATAD”, n. 1164/2016 del 12.07.2016 (si vedano in proposito i chiarimenti dell’Ag. Entrate  forniti dalla Circolare 18/E del 27.12.2021 relativi alle CFC sull’operatività della norma in esame) la quale  assoggetta i redditi delle CFC  alla tassazione per trasparenza nella sussistenza congiunta dei seguenti due presupposti: 
    • Tassazione effettiva inferiore a oltre la metà rispetto a quella cui sarebbero soggette le CFC medesime ove residenti in Italia;
    • Conseguimento di proventi derivanti per oltre il 50% da gestione, detenzione o investimenti in titoli, partecipazioni , crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione/concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica o dalla prestazione di servizi intercompany (ossia in presenza delle cd. passive company, società di mero godimento attraverso la localizzazione di assets immateriali e finanziari in Paesi a fiscalità particolarmente agevolata).

Dalla doverosa panoramica esposta, solo apparentemente prolissa data la complessità della normativa e della materia, i pro e contro delle differenti fattispecie di insediamento si possono sintetizzare come segue:

BRANCH

VANTAGGI:         

  • Autonomia patrimoniale e giuridica verso i terzi; 
  • In caso di cessione della partecipazione, tassazione sulla plusvalenza solo 5%;    
  • Applicabilità della Direttiva UE madre-Figlia fra stati UE.                                                                                                        

SVANTAGGI:

  • Responsabilità della casa madre verso i terzi;
  • Gestione contabile separata presso la contabilità dell’impresa italiana; 
  • Irrecuperabilità delle perdite  ove si opti per la  branch exemption;
  • Tassazione integrale della plusvalenza e imposta di registro in  caso di cessione della  branch.

            SUBSIDIARY

VANTAGGI:                                                                                  

  • Autonomia patrimoniale e giuridica verso i terzi;                                                                                           
  • In caso di cessione della partecipazione, tassazione sulla plusvalenza solo 5%;                    
  • Applicabilità della Direttiva UE madre-Figlia fra stati UE.                                                          

SVANTAGGI:                                                                                                           

  • Costi societari e di governance più elevati;
  • Assoggettamento alla disciplina su  estero vestizione;
  • Possibile ritenuta alla fonte su interessi e dividendi;    
  • Tassazione in Italia su dividendi Distribuiti (5%).   

Importante quindi valutare attentamente caso per caso la scelta delle diverse forme in relazione al Paese estero di insediamento, alla normativa fiscale ivi vigente, ma anche alle prospettive di esito positivo o negativo della penetrazione del mercato, al fine di  una corretta gestione di utili o perdite e di conseguimento degli obiettivi propri del processo di internazionalizzazione.


Riferimenti normativi e giurisprudenziali:

  • Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione Europea del 6.05.2003 , in G.U. dell’Unione Europea del 20 maggio 2003, serie L124;
  • DM 18.04.2005, in G.U. n. 106 del 9.05.2005;
  • DPR 917/86 e ss. mm. (TUIR ), art. 162 come introdotto dal D. Lgs. 12.12.2003 n. 344 e novellato dall’art. 1 c. 1010 della L. 27.12.2017 n. 205;
  •  Modello  OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) di Convenzione contro le doppie imposizioni, art. 5, e relativo Commentario;
  • Cass. Sez. Trib. Nn. 3367, 3368, 7682 e 10925 del 20.12.2001, depositate rispettivamente il 7.03.2002, il 25.05.2002 e il 25.07.2002;
  • Cod. Civ., artt. 2197 e 2428;
  • D.P.R.  n. 600/1973, art. 14 comma 5;
  • R.M. 1.02.1983-prot. N. 9/2398; R.M.  15.07.1980 N9/428, Corte Cass.  sent. n. 7554 del 23.05.2002;
  • D. Lgs. 14.09.2015 n. 147;
  •  Linee guida OCSE (“Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and  Tax Administration”) versione aggiornata al 2022;
  • Art. 26 DL 78/2010 convertito in L. 122 del 30.07.2010;
  • Art. 110, c.7 TUIR;
  • Art. 87 TUIR;
  • Art. 168 ter TUIR;
  • Provv. Direttore Ag. Entrate 28.08.2017, n. 165138;
  • Direttiva 2011/96/UE (Direttiva madre-figlia);
  • Art. 89, commi 2 e 3 TUIR;
  • Art. 2359, comma 1  c.c.;
  • Art.  73 comma 5 bis TUIR;
  • Cass. 7.02.2013, sent. n. 2869;
  • Art. 167  comma 8bis TUIR,   come modificato dall’art. 4 D. Lgs. 29.11.2018  n. 142;
  • Artt. 115 e 116 TUIR;
  • Art. 167 comma 1 TUIR, come modificato dalla L. 28.12.2015 n. 208;
  • Direttiva UE n. 2016/ 1164 del Cons. Eur. 12.07.2016, recepita in Italia con D. Lgs. 142/2018 (Direttiva ATAD);
  • Circolare Ag. Entrate 18/E del 27.12.2021  (cd. Circ. ATAD n. 1).

Ultima modifica il 10/05/2022