Le recenti misure d’urgenza in tema di crisi d’impresa e risanamento aziendale
A cura dell'Avv. G. Arpea, Docente MELIUSform nel Master in Giurista d'Impresa e nel Master in Avvocato di Affari
PREMESSA
Proseguono i lavori nel “cantiere aperto” delle regole della crisi d’impresa con l’obiettivo di prepararsi alle sfide economiche del new normal ai tempi del Covid-19. È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 24 agosto 2021, n. 202, ed è in vigore dal 25 agosto 2021 il d.l. 24 agosto 2021, n. 118, recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia (“Decreto”).
Il Decreto risponde alla necessità straordinaria e urgente di introdurre misure di supporto alle imprese per contenere e superare gli effetti negativi sul tessuto socio-economico dell’emergenza epidemiologica causata dal Covid-19. Vengono così introdotti nuovi strumenti e adeguate misure già esistenti per indirizzare le imprese verso soluzioni concordate, ossia alternative al fallimento, di ristrutturazione o risanamento aziendale.
In sintesi e facendo rinvio agli approfondimenti che seguiranno, il Decreto prevede:
- il rinvio al 16 maggio 2022 della piena entrata in vigore del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (“CCII”), anche per adeguarne gli istituti alla Direttiva Insolvency;
- il rinvio al 31 dicembre 2023 dell’entrata in vigore del Titolo II del CCII, contenente la disciplina delle c.d. misure di allerta;
- l’introduzione, a partire dal 15 novembre 2021, dell’istituto della composizione negoziata della crisi;
- l’introduzione collegata dell’istituto del concordato liquidatorio semplificato;
- modifiche alla Legge Fallimentare con l’anticipazione di alcuni strumenti di composizione negoziale già previsti dal CCII.
L’ANDAMENTO SINCOPATO DELLA RIFORMA
Non si possono comprendere le ragioni del Decreto senza prima prendere in considerazione e passare in rassegna le tappe principali della recente riforma della Legge Fallimentare:
- partiamo dal 16 marzo 2019, data di entrata in vigore parziale del CCII. Si è trattato, in prevalenza, di modifiche e adeguamenti al diritto societario; un ingresso progressivo e preparatorio alla piena entrata in vigore del CCII (all’epoca prevista per il 15 agosto 2020) e, soprattutto, al discusso meccanismo delle misure di allerta;
- già con l’art. 1, comma 1, l. 8 marzo 2019, n. 20, sono state apportate disposizioni integrative e correttive al CCII ed è stata conferita delega al Governo per emanare decreti integrativi e correttivi; più che di una “falsa partenza”, si è trattato di un invito consapevole del Legislatore a proseguire nell’opera riformista e di adeguamento normativo in un settore di confine e in costante mutamento;
- sul fronte comunitario, il 26 giugno 2019 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la Direttiva (UE) 2019/1023 (c.d. Direttiva Insolvency), contenente numerose e significative regole d’indirizzo di cui tener conto nell’esame delle misure correttive al CCII;
- è poi giunto il “cigno nero” della pandemia. Per fronteggiarne gli effetti economici, il Governo ha assunto le note misure emergenziali in forma di decretazione d’urgenza. In particolare, con d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. Decreto Liquidità) è stata differita al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del CCII e sono state adottate misure normative per adeguare la disciplina della crisi d’impresa all’emergenza causata dal Covid-19;
- è con il d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, che è giunto il primo correttivo al CCII contenente, tra l’altro, regole d’indirizzo per ridefinire i c.d. indicatori della crisi. Al tempo stesso, è parso assente un intervento strutturale di adeguamento alla Direttiva Insolvency;
- in parallelo, il maxiemendamento al d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (c.d. Decreto Ristori), ha anticipato l’entrata in vigore di parte delle norme previste nel CCII in materia di sovraindebitamento, che sono così confluite nella l. 27 gennaio 2012, n. 3;
- la l. 27 novembre 2020, n. 159, recante modifiche in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione dei debiti, con riguardo al trattamento dei debiti tributari e contributivi, ha riscritto di fatto la Legge Fallimentare negli artt. 180, 182-bis e 182-ter e anticipato nuovamente l’applicabilità di disposizioni contenute nel CCII a far data dal 4 dicembre 2020;
- giungiamo infine al 22 aprile 2021, allorché è stato firmato dal Ministro della Giustizia un decreto istitutivo della Commissione incaricata di elaborare proposte di interventi sul CCII e i cui lavori sono confluiti nel Decreto, noto anche come Decreto Pagni, il cui testo è stato approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri del 5 agosto 2021.
L’andamento della riforma ha assunto – e, per certi aspetti, ha presentato fin da subito – un moto assai irregolare per motivi sia endogeni, sia esogeni.
In primo luogo, è da tener ben presente che fin da subito si è optato per una riforma a più velocità, con un rinvio dell’entrata in vigore del corpus integrale del CCII al momento in cui il tessuto imprenditoriale sarebbe stato pronto ad affrontare la rivoluzione copernicana rappresentata dalle misure di allerta.
Gli effetti della pandemia hanno poi imposto una battuta d’arresto al programma di riforma (peraltro, già in precedenza al centro di aspri dibattiti e bersaglio di ostilità diffusa) e un ulteriore rinvio dell’esordio dell’intero meccanismo del CCII. Ciò senza considerare l’esigenza di consentire un adeguamento del CCII alla Direttiva Insolvency[1].
Al tempo stesso e per reazione agli effetti della pandemia, è stato anticipato l’esordio di alcune misure previste nel CCII e ritenute in grado di fornire un sostegno immediato all’impresa in crisi, le quali hanno ridefinito alcuni assetti interni alla Legge Fallimentare tuttora vigente e alle diverse leggi collegate[2]. Il Decreto si pone nel medesimo segno da ultimo indicato, introducendo anticipazioni del CCII e alcune importanti novità che, a ben vedere, potrebbero potenzialmente collocarsi in alternativa rispetto ad alcune delle più caratteristiche innovazioni del CCII medesimo. Il riferimento è proprio alle misure di allerta per come finora sono state delineate.
LE NOVITÀ DEL DECRETO
Analizziamo ora più in dettaglio i contenuti del Decreto.
C.1. Il rinvio del CCII e del meccanismo d’allerta
Come anticipato, il Decreto esordisce disponendo un ulteriore differimento dell’entrata in vigore del CCII (slittata al 16 maggio 2022) dal quale si scorpora (fino al 31 dicembre 2023) l’entrata in vigore del Titolo II contenente la disciplina dell’allerta e della composizione assistita della crisi.
Si tratta di un differimento che, sebbene fosse nell’aria da tempo, è particolarmente significativo poiché, per alcuni aspetti, è presupposto programmatico della (contro)riforma culturale che sembrerebbe venire abbozzata dalle misure ulteriori adottate con il Decreto: il ritorno, per certi aspetti, del principio “debtor in possession”. Tale differimento è inoltre reso necessario dall’esigenza di intervenire con ulteriori interventi di adeguamento del CCII alla Direttiva Insolvency di cui il principio appena indicato rappresenta uno dei punti fondamentali.
Si conferma il presagio che il CCII, per come è tuttora concepito, subirà mutamenti significativi e, non è da escludere, strutturali rispetto al testo pubblicato in un 2019 che sembra oggi lontanissimo.
Ancora una volta, si fa riferimento alla disciplina dell’allerta, la quale – prevista anche dalla Direttiva Insolvency in forma dei c.d. “early warning tools”, sebbene in misura assai sfumata rispetto a quella che del CCII è un elemento centrale e rigido – sembrerebbe destinata a entrare in uno stato di mutevolezza (intesa come adeguamento) fisiologica e perciò costante, prima di giungere progressivamente a un rigore che possa avvicinarsi a quello del suo concepimento iniziale.
Difatti, se quello disegnato dal CCII è un percorso nel quale, una volta che l’impresa vi abbia fatto ingresso, l’esito è tracciato (quello della composizione assistita, ovvero quello di una procedura concorsuale concordataria o liquidativa), sembrerebbe che le attuali contingenze economiche e sociali suggeriscano di adottare una maggiore duttilità o, mutuando le parole di chi ha postulato la teoria del “cigno nero”[3] già citato, “antifragilità”[4] . Al tempo stesso, resta immutato l’obbligo di istituire e mantenere assetti adeguati alla tempestiva rilevazione della crisi ai sensi del riformato art. 2086 c.c., così come il meccanismo di segnalazione interno affidato al collegio sindacale (ove esistente).
C.2. La nuova composizione negoziata della crisi
Dopo questi differimenti attesi, il Decreto entra nel vivo mettendo a disposizione delle imprese uno strumento nuovo (quantomeno all’interno del nostro ordinamento) e rivolto (principalmente, ma non in via esclusiva) al tessuto della piccola-media impresa.
Tutti gli imprenditori (commerciali e agricoli e senza preclusioni dimensionali) che si trovino in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendano probabile l’insolvenza, o anche solo la crisi, possono ricorrere su base volontaria alla composizione negoziata della crisi. Si tratta di un percorso (non già di una procedura) che mira a prevenire la crisi o l’insolvenza, e che concede a chi vi aderisce una serie di incentivi fiscali, dalla rateizzazione delle imposte non versate all’abbattimento di sanzioni e interessi.
L’imprenditore può avvalersi spontaneamente dello strumento quando risulti “ragionevolmente perseguibile” il risanamento dell’impresa (in base al criterio del “più probabile che non”[5]) e senza avere il timore, in caso di insuccesso, di trovarsi lungo un percorso concorsuale obbligato e inevitabile.
L’istanza di accesso a questo percorso avviene tramite una piattaforma telematica (in corso di allestimento) anche in funzione di supporto informativo: essa conterrà infatti una check-list particolareggiata con le indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento e un test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento medesimo.
L’imprenditore è affiancato da un esperto indipendente, un “facilitatore”[6] imparziale e tenuto alla riservatezza, selezionato da un elenco di esperti costituito presso ogni CCIAA.
Non manca la copertura delle trattative: fin dalla pubblicazione presso il Registro Imprese, sono inibite le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e la pronuncia di fallimento; inoltre non possono acquisirsi diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore. Restano invece esclusi dalle misure protettive i diritti di credito dei lavoratori.
La gestione dell’impresa (ordinaria e straordinaria) resta all’imprenditore, senza controlli invasivi o l’inibizione di effettuare pagamenti. Al tempo stesso, in funzione di bilanciamento, i pagamenti e gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono oggetto di un’informativa all’esperto che, qualora ravvisi un possibile pregiudizio in danno ai creditori, ne fa segnalazione al debitore e all’organo di controllo. L’atto può essere compiuto anche in caso di segnalazione contraria dell’esperto, il quale iscrive il proprio dissenso nel Registro Imprese con l’effetto di escludere l’esenzione da revocatoria.
Se l’esperto individua effettive possibilità di risanamento, si apre il tavolo delle trattative con la partecipazione di tutti gli interessati. Se invece risultano assenti prospettive di risanamento, l’esperto dispone, invece, l’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, senza che ciò comporti alcun condizionamento per l’impresa (la quale è però opportuno assuma altra iniziativa per rimuovere la crisi).
La conclusione delle trattative può sfociare alternativamente in:
- un contratto con uno o più creditori che, in presenza della positiva relazione finale dell’esperto sulla conservazione della continuità per almeno due anni, fa scattare una premialità;
- una mera convenzione di moratoria;
- un accordo sottoscritto dalle parti e dallo stesso esperto – in funzione di garante dell’esecuzione degli impegni assunti – con effetti assimilabili al piano attestato di risanamento di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. (pur in mancanza di attestazione).
Per individuare una soluzione adeguata l’imprenditore dispone di 180 giorni, prorogabili e decorrenti dall’accettazione dell’esperto.
Il debitore varca la soglia del Tribunale soltanto in tre ipotesi:
- per la conferma o la modifica delle misure protettive, così come per l’adozione di provvedimenti cautelari;
- per la richiesta di finanziamenti prededucibili e trasferimenti d’azienda;
- qualora l’esperto inviti le parti a rinegoziare i contratti a esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita, nel caso in cui la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa in seguito alla pandemia. Qualora le parti non si accordino, su domanda dell’imprenditore, il Tribunale può rimodularli.
Infine, v’è la possibilità di accedere a un concordato preventivo per la liquidazione del patrimonio, di cui si riferirà infra, procedura che può essere attivata entro 60 giorni dall’esito negativo della composizione negoziata della crisi.
C.3. Il concordato liquidatorio semplificato
Il Decreto introduce un’ulteriore misura inedita, il concordato semplificato di liquidazione, che pure si ricollega in appendice (nel caso di esito negativo del percorso) alla composizione negoziata della crisi.
La procedura può infatti essere attivata entro 60 giorni dall’esito negativo delle trattative avviate per la composizione negoziata della crisi che costituisce, infatti, il presupposto per poter accedere a questo istituto.
L’imprenditore dovrà presentare una proposta di concordato con cessione di beni unitamente al piano di liquidazione chiedendo, mediante ricorso al Tribunale, l’omologazione del concordato a seguito di un giudizio di fattibilità e di assenza di pregiudizi nello svolgimento di tale soluzione rispetto all’alternativa fallimentare.
Si tratta di una forma di concordato preventivo liquidatorio privo di votazione, con possibilità di liquidare gli asset senza vendite competitive (è sufficiente che il liquidatore giudiziale verifichi l’assenza di soluzioni migliori sul mercato) e con un’omologazione di cui è presupposto il previo accertamento di fattibilità del piano.
Il debitore non è tenuto a garantire il pagamento dei creditori entro soglie predefinite (nell’ambito del concordato preventivo liquidatorio è invece tuttora prevista la soddisfazione di almeno il 20% dei creditori chirografari). Tuttavia, si richiede che ciascun creditore dissenziente riceva un trattamento economico almeno pari a quello che gli sarebbe spettato nello scenario attuativo della responsabilità patrimoniale in concreto più probabile.[7]
Sembra invece restare esclusa la possibilità di utilizzare il concordato liquidatorio semplificato per perseguire finalità contrastanti con l’interesse dei creditori, quali il mantenimento dei livelli occupazionali, la salvaguardia dell’indotto o la tutela di creditori “deboli” a scapito dei sovraordinati in grado.[8]
Il Tribunale, valutata la ritualità della proposta, nonché acquisiti la relazione finale e il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, fissa la data dell’udienza per l’omologazione dopo oltre 30 giorni, nominando un ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c., il quale prende il posto del commissario giudiziale ed è chiamato unicamente a redigere un parere sulla fattibilità del piano liquidatorio.
Il decreto di omologazione, pubblicato ai sensi dell’art. 17 l.fall., è immediatamente esecutivo ed è soggetto a reclamo dinanzi alla Corte di Appello ai sensi dell’art. 183 l.fall., nonché a successivo ricorso per cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione.
A seguito dell’omologazione, il Tribunale nomina un liquidatore[9] che, se il piano contempla un’offerta di acquisto dell’azienda o di uno o più rami o di specifici beni, non dovrà necessariamente procedere alla gara competitiva prescritta negli artt. 163-bis e 182 l.fall., ma potrà verificare l’assenza di soluzioni migliori sul mercato e dare esecuzione diretta all’offerta pervenuta; egualmente l’ausiliario (che, come visto, sostituisce il commissario giudiziale) potrà procedere in tal senso qualora la cessione debba avvenire prima dell’omologazione, previa autorizzazione del Tribunale.
C.4. Le modifiche alla Legge Fallimentare
In aggiunta agli inediti istituti suindicati, il Decreto ha apportato alcune ulteriori significative modifiche alla Legge Fallimentare (recte, trattasi in prevalenza di anticipazioni della disciplina contenuta in argomento nel CCII) in materia di concordato preventivo e accordi di ristrutturazione del debito.
Si segnalano in particolare quelle relative a:
- l’art. 180, comma 4: si prevede l’omologazione del concordato preventivo anche in mancanza di adesione dei creditori pubblici[10];
- l’art. 180-bis, comma 4: si prevede che l’eventuale adesione dei creditori debba intervenire entro 90 giorni dal deposito della proposta;
- l’art. 180-bis, comma 8: viene disciplinato il rinnovo dell’attestazione in caso di modifiche dopo l’omologazione;
- l’art. 182-quinquies, commi 5 e 6: sono derogate le norme di divieto di pagamento per dipendenti e mutui in essere;
- l’art. 182-septies: viene sostituito e introdotto l’accordo di ristrutturazione a efficacia estesa.
Sono introdotti inoltre:
- l’art. 182-octies: viene disciplinata una nuova convenzione di moratoria per la dilazione dei crediti, rinuncia ad atti o sospensione di azioni esecutive;
- l’art. 182-novies: vengono introdotti gli accordi di ristrutturazione agevolata con riduzione alla metà della percentuale di aderenti;
- l’art. 182-decies: sono disciplinati gli effetti per coobbligati e soci illimitatamente responsabili;
- l’art. 186-bis, comma 2, lett. c): viene ammesso il pagamento dei creditori privilegiati in due anni, anziché uno, nell’ambito del concordato preventivo in continuità aziendale;
- quanto al concordato “in bianco”, viene esteso il termine al 31 dicembre 2022 per la conversione in piani di risanamento; al contempo, viene esteso fino a 120 giorni (prorogabile di 60 giorni) il termine per il deposito del piano e dei documenti di cui all’art. 160, commi 2 e 3, l.fall., anche quando pende richiesta per la dichiarazione di fallimento, con conseguente deroga della disposizione di cui all’art. 161, comma 10, l.fall.;
- infine, fino al 31 dicembre 2021 viene prevista l’improcedibilità dei ricorsi per la risoluzione del concordato preventivo e per la dichiarazione di fallimento qualora il debitore abbia già presentato domanda di concordato preventivo in continuità ai sensi dell’art. 186-bis l.fall. omologato a partire dal 1° gennaio 2019.
CONCLUSIONI
Emerge in definitiva dal Decreto una linea d’azione d’impronta liberista, che tempera quella di maggior controllo che aveva ispirato il CCII.
Nasce la figura di un “facilitatore”, un mediatore concorsuale di intuibile utilità nella piccola-media impresa che, a certe condizioni, può assumere i tratti di un veri e proprio garante. Soprattutto, questo esperto assolverà la funzione di colmare eventuali disequilibri tra debitore e creditori in termini di conoscenza tecnica e informazione; ciò ancor più quando – come avviene in questa crisi pandemica – la ciascuna delle parti è contemporaneamente debitore e creditore.
Si tratta di un intervento tempestivo (poiché giunge al termine delle misure di sostegno temporaneo alla liquidità e in prossimità dell’ormai prossima scadenza delle moratorie di legge sul piano tributario e lavoristico) e lucido (poiché dimostra la consapevolezza che un aumento delle dichiarazioni di insolvenza è stato tutt’altro che scongiurato, ma solo posticipato), che scambia le misure di allerta con uno strumento compositivo negoziale e gli OCRI con il “facilitatore”.
Viene rivitalizzato lo strumento del concordato preventivo liquidatorio, che pure era stato fortemente ridimensionato dal CCII, con una forma semplificata e priva dei rigori che oggi caratterizzano l’istituto disciplinato a sensi degli artt. 160 ss. l.fall.
Si prosegue, inoltre, con l’azione di anticipazione delle misure del CCII ritenute in grado di fornire un sostegno immediato all’impresa in crisi.
L’obiettivo è chiaro: evitare un ricorso massiccio alle procedure formali di ristrutturazione, che potrebbe causare un grave rallentamento del sistema.
[1] Il termine per il recepimento scadrà il 17 luglio 2022 (termine prorogato di un anno ai sensi dell’art. 34, par. 2, della Direttiva).
[2] Per una complessiva e più completa ricostruzione sul punto, v. L. PANZANI, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in Diritto della Crisi, 25 agosto 2021.
[6] Così S. PACCHI, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero i: i cambi di cultura sono sempre difficili), in Ristrutturazioni Aziendali, 9 agosto 2021.
[8] Così L.A. BOTTAI, La rivoluzione del concordato liquidatorio, in Diritto della Crisi, 9 agosto 2021.
[9] Si rammenta che l’indicazione della persona del liquidatore proveniente dal debitore, ai sensi dell’art. 182, comma 1, l.fall., ha portata di designazione vincolante, qualora rispettosa dei requisiti di professionalità e di indipendenza prescritti dall’ordinamento (così Cass. civ., 29 luglio 2021, n. 21815).
[10] Sulla rilevante modifica della formulazione del testo normativo (dalla “mancanza di voto” alla “mancanza di adesione”), v. L. GAMBI, Novità del D.L. “Pagni”: nel concordato preventivo rileva la “mancanza di adesione” (e non più la “mancanza di voto”) ai fini del cram down fiscale-contributivo, in Diritto della Crisi, 31 agosto 2021.
Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Business Law.
Ultima modifica il 13/09/2021
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