A cura della Dott.ssa Cristina Apice, partecipante del Master Specialistico in Diritto Penale Tributario.

L’omesso versamento IVA colpisce i soggetti passivi che non versano in tutto o in parte l’imposta sul valore aggiunto in sede di liquidazione mensile, trimestrale o in dichiarazione annuale IVA. È bene tenere presente che la disciplina si articola lungo due differenti binari: tributario e penale, ognuno dei quali prevede specifiche disposizioni in merito.

Dal punto di vista tributario, il mancato o insufficiente versamento dell’IVA può essere sanato mediante l’utilizzo del ravvedimento operoso. Tale meccanismo, secondo quanto previsto dall’art. 13 del D.lgs. 472 del 1997, prevede che il contribuente possa regolarizzare la propria posizione mediante versamento dell’imposta dovuta, unitamente ad interessi e sanzione ridotta tramite modello F24. Il D.lgs. n. 471 del 1997 fissa tale sanzione nella misura del 30% dell’imposta non versata e prevede il pagamento di un importo ulteriormente ridotto a seconda di quanto viene effettuata la regolarizzazione: prima si sana la propria posizione, più si gode della riduzione della sanzione. In particolare, il D.lgs. n. 158 del 2015 ha previsto che in caso di versamenti effettuati con un ritardo di non oltre 90 giorni dalla scadenza originaria, la sanzione si abbassi dal 30% al 15% a cui si applicano le ulteriori riduzioni previste dal ravvedimento operoso. Facendo un esempio, se il contribuente versa l’iva omessa con 28 giorni di ritardo rispetto alla scadenza iniziale, potrà beneficiare di una sanzione del 15% dell’imposta non versata, pagando 1/10 della sanzione ordinaria, ossia solo l'1,5% della stessa. Nel caso in cui il versamento avvenga entro il quindicesimo giorno di ritardo, la sanzione del 15% sarebbe ulteriormente abbattuta ad 1/15 della stessa per ogni giorno di ritardo, quindi pari all’1,00%.
Il ravvedimento operoso può essere utilizzato prima che avvenga la notifica degli atti di liquidazione e di accertamento, comprese le comunicazioni derivanti da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni. Inoltre, la Legge di Stabilità per il 2015 ha previsto che il contribuente possa ravvedersi anche se sono già in corso accessi, ispezioni o verifiche e l’utilizzo di tale meccanismo non blocca eventuali nuovi controlli.

Dal punto di vista penale, le regole cambiano. L’omesso versamento iva, infatti, rientra nei c.d. delitti in materia di documenti e pagamenti di imposte di cui al Titolo II, Capo II, del D.lgs. n.74 del 2000. All’art. 10-ter l’omesso versamento iva prevede, quale presupposto, l’omesso versamento dell’imposta per un importo superiore ad euro 250.000 , con sanzioni che vanno dalla reclusione dal minimo di sei mesi al massimo di due anni. Ne consegue che per omessi versamenti di importi inferiori non si ricade nella sfera penale. L’elemento psicologico che deve sussistere è il dolo generico, ossia è sufficiente dimostrare che colui che non versa l’imposta ha intenzionalmente omesso il versamento, senza che rilevi il motivo che lo ha mosso. Il reato si manifesta al termine della scadenza per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo (generalmente previsto in data 27 dicembre). Al fine di verificare il superamento della soglia di punibilità e, quindi, che sussistano gli estremi per l’integrazione del reato, la Cassazione n. 46953 del 2018 ha precisato che occorre prendere come riferimento il rigo VL 32 (iva a debito) e non il rigo VL 38 (totale iva dovuta).  
La soglia di punibilità di 250.000 è stata innalzata a tale importo il 22.10.2015: ora, è opportuno domandarsi che cosa accade per gli omessi versamenti antecedenti a tale data (che alla luce della nuova soglia non costituiscono più reato): 

  • se la violazione commessa in passato non è ancora stata denunciata, secondo quanto prevede la soglia attualmente in vigore, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe astenersi da qualsiasi segnalazione; 
  • nel caso in cui, invece, sia già stata effettuata la segnalazione in Procura, il P.M. dovrebbe chiedere l’archiviazione della procedura in quanto il fatto non sussiste; 
  • se il dibattimento è in corso, sarà compito del difensore, anche oltre il primo grado di giudizio, rilevare la modifica normativa e la non (più) sussistenza del reato;
  • in caso di condanna già intervenuta, il difensore potrà, secondo quanto previsto dall’art. 673 c.p.p., presentare al Giudice dell’esecuzione una richiesta di revoca della sentenza. In tal caso, si avrà il fermo dell’esecuzione e la decaduta di ogni effetto penale in capo al soggetto.

Sempre in tema di cause di punibilità, è possibile evitare il procedimento penale provvedendo al pagamento integrale del debito prima dell’apertura del dibattimento di primo grado. Inoltre, l’art. 13 co. 3 del D.lgs. n.74 del 2000 prevede che, qualora il contribuente abbia optato per rateizzare il proprio debito prima dell’apertura del procedimento, gli venga concesso un termine di tre mesi per il pagamento del residuo. In tal caso, la prescrizione è sospesa e l’interruzione permane anche nel caso in cui il Giudice conceda un’unica proroga di non oltre altri tre mesi, accordando così il massimo di sei mesi per il pagamento.
Con recente sentenza n. 43602 del 26 novembre 2021, la Cassazione non esclude il possibile reato di omesso versamento iva in caso di adesione alla rottamazione ter in quanto, come già precisato, vi sono due binari differenti. La possibilità dal punto di vista amministrativo di poter rateizzare il debito non toglie valenza all’avvenuto superamento della soglia di punibilità dal punto di vista penale, ma, se mai, può incidere sul meccanismo della confisca, che non opera per la parte versata dal contribuente.

Altro tema interessante riguarda il caso in cui l’omesso versamento iva discenda da una oggettiva crisi economica del contribuente. Ciò si verifica quando quest’ultimo non versa l’imposta per causa di forza maggiore, ad esempio in quanto non possiede la liquidità necessaria al pagamento, oppure in quanto si trova in uno stato di necessità e il mancato pagamento deriva da fatti a lui non imputabili. La Cassazione si è mostrata, con molteplici pronunce, piuttosto rigida. Sul tema spicca senz’altro la sentenza n. 25982 del 2020 in cui la Cassazione ritiene che per escludere la colpevolezza dell’imprenditore o del sostituto d’imposta per il mancato versamento dell’iva non sia sufficiente dimostrare che il contribuente versa in uno stato di crisi di liquidità, ma si debba provare che le difficoltà finanziarie siano a lui non imputabili ed, inoltre, che le stesse non possano essere affrontate, nemmeno con l’ausilio di misure sfavorevoli per il proprio patrimonio personale. 
In tema di domanda di ammissione al concordato preventivo, anche con riserva, la Cassazione n. 13628 del 2020 ha sancito che tale procedura non impedisce il pagamento dei debiti tributari in scadenza successivamente e, in caso di superamento della soglia, si configura il reato, a meno che non vi sia un provvedimento del Tribunale che vieta il pagamento di crediti anteriori. 

Un ultimo aspetto di rilievo riguarda il tema della responsabilità in caso di omesso versamento iva. Innanzitutto, in caso di amministratore di fatto è pacifica la responsabilità sia in capo al medesimo che in capo all’amministratore di diritto. In particolare, l’orientamento maggioritario e consolidato ritiene che l’amministratore di diritto, che funge da prestanome, risponda per dolo eventuale, ossia per il semplice fatto di aver accettato di ricoprire la carica di amministratore la quale comporta dei rischi, tra i quali, appunto, anche il rischio di commissione del reato in questione. In caso di cambio di amministrazione in prossimità delle scadenze fiscali vi sono opinioni contrastanti. Un primo orientamento ritiene che la responsabilità ricada sul precedente amministratore nel caso in cui vi siano delle prove a sostegno del fatto che lo stesso abbia condotto una gestione societaria finalizzata al compimento del reato. Un orientamento contrario ritiene, invece, che la responsabilità ricada sia sull’amministratore uscente che su quello entrante, in quanto, se il precedente amministratore non ha provveduto né a versare l’iva né ad accantonare le somme necessarie, tale comportamento potrebbe offrire un contributo causale alla commissione del reato. Ad ogni modo, è sicuramente sempre responsabile il nuovo amministratore in quanto accettando l’incarico si assume tutti i rischi. Pertanto, è bene effettuare una verifica della contabilità e dei dichiarativi prima di impegnarsi nella carica di amministratore. 

In conclusione, quando possibile, l’omesso versamento iva è sanabile mediante l’istituto del ravvedimento operoso, ma, in presenza di debiti ingenti, è opportuno monitorare la soglia di punibilità e, in caso di superamento e impossibilità di saldare il debito, è bene versare almeno il minimo indispensabile per scendere al di sotto della stessa e non incorrere in un procedimento penale.


Bibliografia:

  • T.U.I.R.
  • Codice penale
  • Codice di procedura penale
  • D.lgs. 472 del 1997
  • D.lgs. n. 471 del 1997
  • D.lgs. n.74 del 2000
  • Cassazione n. 46953 del 2018
  • Cassazione n. 43602 del 26 novembre 2021
  • Cassazione n. 25982 del 2020
  • Cassazione n. 13628 del 2020

Ultima modifica il 21/02/2022