A cura di S, Ramunno, Redazione HR Link

Lavoro agile, cassa integrazione, divieto di licenziamento, causali per i contratti a termine..i principali cambiamenti introdotti negli ultimi mesi dal governo per la gestione dell’emergenza sanitaria e il dibattito giuslavoristico e in ambito Hr che si è sviluppato sulle misure che hanno riguardato il lavoro. L’impatto sulla società italiana del coronavirus è stato talmente forte che, probabilmente, non torneremo alla normalità che abbiamo conosciuto fino a pochi mesi fa. Non è stata una semplice parentesi, ma una fase che ha generato cambiamenti profondi che resteranno, con i quali facciamo ancora fatica a misurarci. Il lavoro è stato uno degli ambiti che ha avuto i maggiori cambiamenti. Decreti, circolari, accordi e provvedimenti di vario tipo, hanno impattato sulle vite di centinaia di migliaia di persone che lavorano. Cambiamenti per occuparsi dei figli o degli anziani a carico durante il lockdown, cambiamenti per evitare assembramenti, cambiamenti fisici dei luoghi di lavoro ma anche cambiamenti normativi alla base di tutti i processi. Cambiamenti che hanno acceso il dibattito tra gli addetti ai lavori, tra i giuslavoristi che si occupano di diritto del lavoro e tra i direttori del personale che, improvvisamente, sono diventati la prima linea dell’impresa nella gestione della popolazione aziendale, in caso di lavoro in presenza, o nel tenere unita la comunità d’impresa nella fase del lavoro a distanza che, in molti casi, diventerà strutturale. HR Link, il giornale online dedicato ai professionisti delle risorse umane, ha dedicato decine di articoli e approfondimenti ai grandi cambiamenti (normativi e organizzativi) che sono intervenuti in quelle settimane convulse in cui milioni di Italiani si sono trovati a fare i conti con il virus e a familiarizzare con la parola lockdown.

 

L’esplosione del cosiddetto smart working

L’effetto più visibile dei cambiamenti in ambito lavorativo è stato quello andato sotto il titolo di smart working anche se, in gran parte, è stato lavoro da remoto. Un cambiamento organizzativo basato sui decreti varati dal governo che hanno semplificato e incentivato il lavoro da casa: un percorso iniziato a marzo 2020 e non ancora del tutto concluso. In base al cosiddetto “Decreto Agosto”, dal 14 settembre, giorno di riapertura delle scuole, non è più obbligatorio per le imprese concedere ai genitori di ragazzi con meno di 14 anni la possibilità di lavorare da casa. La previsione era stata introdotta con il lockdown e con la conseguente chiusura delle scuole ma ora resterà una possibilità alla quale si potrà fare ricorso ma non più un obbligo per l’impresa o un diritto per il lavoratore. Ad oggi, il regime semplificato di accesso allo smart working, cioè senza l’accordo individuale previsto dalla legge sul lavoro agile,  resterà in vigore fino a metà ottobre, data di scadenza dello stato di emergenza. Dopo il 14 settembre (e fino al 15 ottobre), gli unici lavoratori che avranno diritto allo smart working saranno i disabili gravi, quelli che hanno un disabile grave in famiglia o quei lavoratori che, sulla base di valutazioni mediche, siano maggiormente esposti a rischio di contagio. Resta la possibilità di fare ricorso alla “malattia”, come durante il lockdown, in caso di isolamento o quarantena dovuta a contagi a scuola e la possibilità accedere ad una forma di congedo parentale dedicata ai lavoratori del privato. (Questa la circolare sui “Congedi Covid 19” pubblicata dal Ministero del Lavoro). Per quanto riguarda i numeri dello smart working, siamo in una fase di bassa marea rispetto alla piena dei mesi più intensi della pandemia. Secondo uno studio della Fondazione Consulenti del Lavoro, tra maggio e giugno, quasi il 40% del personale delle aziende con più di due addetti, occupato in modalità agile durante il lockdown, è tornato in sede. E se nei mesi di emergenza piena (marzo-aprile) la percentuale di lavoratori che ha sperimentato l’home working si è attestata all’8,8% (a fronte dell’1,2% degli occupati in tale modalità nel pre-pandemia), nel bimestre maggio-giugno è scesa al 5,3%. Un calo fisiologico dovuto all’andamento dei contagi e al miglioramento della situazione sanitaria ma sarebbe sbagliato non valorizzare l’esperienza fatta, considerandola una parentesi. Secondo il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca, “dobbiamo fare in modo che l’esperienza di questi mesi non vada persa rendendo il lavoro agile più funzionale anche per quanto riguarda la valutazione della prestazione lavorativa, la verifica dei risultati, la sicurezza sul luogo di lavoro”.

A inizio pandemia, con la pubblicazione del primo decreto dopo l’accordo sulla sicurezza fatto con i sindacati, uno dei primi temi di dibattito sullo smart working è stato quello dell’accesso semplificato. La legge prevede che l’accesso allo smart working sia regolato da un accordo tra lavoratore e datore di lavoro; in molti casi le condizioni quadro sono contrattate tra sindacati e azienda. L’emergenza e la conseguente necessità di agire rapidamente, ha consentito di bypassare questa previsione, riconoscendo la possibilità di fornire la prestazione lavorativa in modalità agile, anche in assenza di accordo. Questo aspetto è stato al centro di uno dei primi approfondimenti dedicati da Hr Link ai cambiamenti introdotti nel diritto del lavoro dai decreti del governo per il contrasto al coronavirus. Paola Pezzali, avvocata giuslavorista, fondatrice dello studio Cafiero Pezzali e Associati, docente in corsi e master universitari, autrice di diverse pubblicazioni in materia di diritto del lavoro, già a marzo 2020, in una intervista a Hr Link, auspicava il ritorno al dialogo tra imprese e sindacati per la regolamentazione dell’accesso al lavoro agile: “Oggi lo strumento smart working è incoraggiato dal protocollo del 14 marzo sulla sicurezza sul lavoro e dal decreto sull’emergenza Covid-19, perchè è lo strumento migliore per coniugare esigenze economiche e sicurezza. Oggi si accede allo smart working molto rapidamente, con accordi individuali come, tra l’altro, previsto dalla legge del 2017. Auspico che per il futuro questa resti un’ipotesi residuale”. La strada da seguire, secondo Pezzali, è quella del dialogo tra i corpi intermedi: “Impresa e lavoro possono dialogare e camminare insieme per garantire le due esigenze fondamentali dello Stato: tutela dell’economia e della salute. I baluardi dell’ordinamento, tutelati dalla Costituzione. Dobbiamo avere chiaro che nel futuro, quando i motori dell’economia non saranno più al minimo, gli accordi saranno fondamentali. Quando si dovrà spingere sull’acceleratore della ripresa, meglio avere accordi raggiunti con il coinvolgimento dei sindacati....mi sento di dire che il dialogo non solo è sempre possibile, ma è necessario per il bene del Paese, sia nella fase di emergenza sia nella fase di ripresa”.

 

Stop ai licenziamenti con ammortizzatori sociali universali

Se lo smart working è stato il fenomeno più evidente dei cambiamenti indotti dalla pandemia sul lavoro, gli interventi di questi mesi sono stati diversi. Basti pensare solo alla cassa integrazione in deroga, con copertura universale, o alle diverse indennità istituite per limitare l’impatto sociale della crisi. La rete degli ammortizzatori sociali stesa dal governo con i diversi decreti (che comprende anche Naspi, DisColl e indennità per gli stagionali), nel dibattito giuslavoristico, è stata la leva sulla quale “imporre” alle aziende il divieto di licenziamento fino al 31 dicembre 2020. Una delle altre novità di questi mesi, applicata con diverse gradazioni. Nella prima fase, in primavera, c’era divieto di licenziare tout court; con il “Decreto Agosto” è riconosciuta la possibilità di licenziamento in caso di cessazione dell’attività di impresa. Una posizione giudicata troppo rigida dalla Confindustria, perchè limiterebbe la capacità delle imprese di avviare percorsi di ristrutturazione per il rilancio. Questa la posizione degli industriali: “Come correttamente osservato dall’OCSE e da numerosi economisti, il divieto per legge assunto in Italia – unico tra i grandi paesi avanzati – non ha più ragione d’essere ora che bisogna progettare la ripresa. Esso infatti impedisce ristrutturazioni d’impresa, investimenti e di conseguenza nuova occupazione. Pietrifica l’intera economia allo stato del lockdown”.

 

Lo stop alle causuali per i rinnovi dei contratti a termine

Altra norma modificata, sarebbe meglio dire sospesa, è quella relativa al rinnovo dei contratti a termine. Si possono rinnovare, sempre mantenendo il limite della durata di 24 mesi, senza tenere conto delle causali introdotte con il Decreto Dignità del 2018. Lo spirito della norma è quello di semplificare le procedure nel momento di difficoltà economica dovuta alla pandemia, ma le causali sono state uno degli argomenti più dibattuti in ambito giuslavoristico. Una discussione che ha diviso chi le considera un argine alla precarietà e chi le giudica talmente complicate da applicare da generare l’effetto contrario agli scopi per le quali sono state introdotte: invece che limitare la precarietà, stimolerebbero le imprese a mettere a casa i lavoratori in scadenza perchè la normativa rende complicati i rinnovi.  Hr Link ha ospitato un dibattito ampio su decreto dignità e causali, con posizioni originali che sono andate oltre la contrapposizione tra pro e contro. Per Massimo Pallini, ordinario di Diritto del Lavoro all’Università degli Studi di Milano, le causali “sono state introdotte per un fine che condivido, cioè comprimere il vantaggio nel ricorso ai contratti a termine o somministrati, ma sono difficilmente gestibili sia per gli operatori che per i giudici. L’ideale sarebbe un sistema acausale, con un limite di rinnovi e durata temporale massima rigorosa”.

 

La responsabilità del datore di lavoro in caso di contagi

Altro tema salito alla ribalta delle cronache nel momento di passaggio tra il lockdown e la riapertura dei luoghi di lavoro, è stato quello della responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio di un proprio dipendente. Un dibattito alimentato anche dalla concitazione di quei giorni ma poi definitivamente chiarito dall’Inail con una circolare dedicata: il datore in regola con i protocolli di sicurezza non ha alcuna responsabilità in caso di contagio di un dipendente. ll dubbio era sorto a partire da un’interpretazione dell’articolo 42 del decreto Cura Italia ma la circolare dello scorso 20 maggio lo ha fugato definitivamente. In quel testo viene chiarito che l’infezione da Covid “come tutte le infezioni da agenti patogeni, se contratte in occasione di lavoro, è tutelata dall’Inail quale infortunio sul lavoro e ciò anche nella situazione eccezionale di pandemia causata da un diffuso rischio di contagio in tutta la popolazione”. Il documento chiarisce che “gli oneri degli eventi infortunistici del contagio non incidono sull’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico, ma sono posti carico della gestione assicurativa nel suo complesso, a tariffa immutata, e quindi non comportano maggiori oneri per le imprese”. Dunque “la scelta operata con il citato articolo 42 è stata quella dell’esclusione totale di qualsiasi incidenza degli infortuni da Covid-19 in occasione di lavoro sulla misura del premio pagato dal singolo datore di lavoro”.

 

Far prevalere la ragionevolezza

I mesi della pandemia, del lockdown, delle conferenze stampa alla sera con il numero dei contagi e dei decreti presentati in piena notte, sono stati estremamente concitati e difficili per tutti. Non c’erano esperienze precedenti cui riferirsi. Lo stesso stato d’animo ha riguardato il mondo del diritto del lavoro: gli interventi fatti in emergenza a volte hanno fatto a pugni con la chiarezza e l’interpretazione lineare delle norme. Ma in uno scenario del genere, in cui l’obiettivo prioritario è quello della tutela della salute pubblica, è auspicabile andare oltre i formalismi in punta di diritto e far prevalere la ragionevolezza. È l’opinione del professor Riccardo Del Punta, intervistato da Hr Link. Secondo il docente di Diritto del Lavoro dell’Università di Firenze, “la ragionevolezza operativa, e non burocratica, deve prevalere sul rigore applicativo”. Ma non solo,  bisogna guardare al bicchiere mezzo pieno e trarre il meglio da quei mesi complicati che hanno rafforzato lo spirito unitario e fatto passare in secondo piano le divisioni: “Penso soprattutto allo spirito di collaborazione reciproca, dimostrata ad esempio da quegli imprenditori che stanno facendo di tutto per proseguire l’attività – ove consentito – e garantire il trattamento retributivo ai loro dipendenti, al massimo richiedendo parziali sacrifici sulle ferie arretrate. Ecco, questo senso di collaborazione e civico sarebbe un capitale importantissimo per un Paese come l’Italia”.

Ultima modifica il 03/10/2020

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