Reati tributari e 231: aspetti operativi e questioni processuali
A cura dell' Avv. S. Mecca e dell'Avv. V. Chianello, MSP Legal
L'art. 39, comma 2, del D.L. n. 124/2019, dopo anni di richieste pervenute da più fronti, tra dottrina e giurisprudenza , ha previsto l’inserimento -come noto- dell’art. 25-quinquiesdecies all’interno del D.Lgs. n. 231/2001. L’introduzione segue anche l’input europeo funzionale a tutelare gli interessi finanziari comunitari, così come specificato dalla Direttiva PIF 1371-2017 UE, ancora in fase di attuazione da parte del Legislatore italiano . Sul punto, verosimilmente, l’art. 25-quinquiesdecies sarà oggetto di successiva integrazione per punire quelle operazioni di carattere internazionale (tra due o più Stati membri) generatrici di un danno di evasione di almeno 10 milioni di euro. I riflessi operativi saranno, evidentemente, relegati a organizzazioni che hanno operatività e struttura tale da generare operazioni di questo genere, difficilmente concretizzabili nel tipico tessuto imprenditoriale italiano costituito da PMI. Per dovere di completezza si segnala che il Decreto di recepimento della predetta direttiva prevede, allo stato, anche ulteriori modifiche al catalogo dei reati 231 interessando altresì fattispecie non legate alla materia tributaria.
Ciò detto e volendo, in questa sede, focalizzare l’attenzione sulle novità introdotte dall’attuale art. 25-quinquiesdecies si dovranno considerare i reati di cui agli artt. 2 commi 1 e 2-bis, art. 3, art. 8 commi 1 e 2-bis, artt. 10 e 11 del D.lgs. n. 74/2000, ossia:
- dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
- dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici;
- emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
- occultamento o distruzione di documenti contabili e;
- sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
Per tali ipotesi, il sistema 231 prevede un trattamento sanzionatorio pecuniario pari, nel massimo edittale, a 500 quote ovvero circa 770mila euro (e aumentabile fino ad un terzo in caso di profitto di rilevante entità). Alle sanzioni pecuniarie potranno poi aggiungersi, nei casi di cui al primo e secondo comma dell’art. 25-quindecies (anche in via cautelare), le sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, lett. c, d, e, dunque:
- il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione;
- l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi;
- il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
La novità apportata con il D.L. n. 124/2019 è sostanziale poiché si tratta di una famiglia di reati “trasversali” in termini di rischio poiché non connessa tanto al c.d. core business aziendale, quanto piuttosto agli aspetti economici/finanziari, al pari dei reati societari e di altre categorie contenute nel Decreto 231.
Superfluo dire che i modelli, e più in generale il “sistema 231”, dovrà essere aggiornato a tale novella legislativa prevedendone e minimizzandone il relativo rischio (tramite l’adozione di presidi e procedure, nella forma di controlli preventivi, rispetto alla conclusione dell’affare), prevedendo incontri formativi per il personale interessato ed estendendo l’utilizzo del canale whistleblowing anche a tali condotte.
Come per gli altri reati occorrerà, dunque, strutturare un sistema idoneo a rendere difficoltosa la consumazione dell’illecito: per raggiungere l’ambizioso obiettivo bisognerà conoscere le peculiarità delle singole fattispecie, comprenderne le dinamiche, nonché gli spunti giurisprudenziali. A mente di ciò, si riportano di seguito spunti operativi che non hanno alcuna pretesa di esaustività, quanto piuttosto di incentivare una riflessione sulle singole fattispecie.
Ipotesi di controlli preventivi
E così, a titolo esemplificato, per le fatture soggettivamente inesistenti si potrebbero prevedere i seguenti controlli preventivi:
- verifica dell’esistenza del fornitore tramite visura camerale in grado di restituire una serie di informazioni, quali:
- sede legale ed operativa (magazzini);
- oggetto dell’attività;
- dipendenti;
- compagine societaria;
- partecipazioni attive o passive;
- verifica dell'operatività del fornitore tramite il bilancio e le altre scritture contabili da cui estrapolare altre utili informazioni, quali a titolo esemplificativo:
- concessioni e licenze;
- fabbricati;
- partecipazioni;
- crediti e materie prime;
- liquidità e patrimonio netto;
- TFR;
- debiti e finanziamenti;
- valore e costi della produzione.
- verifica dell’esistenza dei contatti con l’interlocutore appartenente al fornitore con cui si sono intrattenuti i rapporti commerciali.
Per le fatture oggettivamente inesistenti prevedere i seguenti controlli preventivi volti a verificare:
- congruità tra fornitore e bene e/o prestazione effettuata;
- congruità del valore di mercato del bene o della prestazione oggetto di transazione;
- documentazione contrattuale a supporto dell’operazione con contenuto specifico;
- documenti di trasporto (DDT/Bolla);
- documentazione relativa alla fase negoziale/trattative;
- tracciabilità dei pagamenti.
Per la sovrafatturazione si ritiene utile valutare la congruità dei prezzi di mercato beni/ servizi offerti dalla società.
Per le dichiarazioni fraudolente mediante altri artifizi la casistica giurisprudenziale, suggerisce di verificare, tra gli altri:
- i contratti di vendita;
- la cessione di quote sociali;
- le svalutazioni del valore delle partecipazioni societarie;
- poiché in grado di costituire degli artifizi utilizzati per abbattere il volume d’affari e addivenire a una misura ridotta di imposte da corrispondere.
Lo stesso dicasi per la c.d. sottofatturazione che, comportando la gestione di una provvista di denaro, ci suggerisce di monitorare tutti i conti correnti societari e trovare per ogni movimento un giustificativo.
Per l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sarà possibile prevedere una procedura per l’emissione delle fatture attive coinvolgendo, come spesso già accade per le società più strutturare, più funzioni interne così da avere riscontro effettivo dell’attività erogata a favore di terzi.
Ad esempio “non può esser emessa una fattura verso il cliente a meno di una evidenza oggettiva giustificativa. La comunicazione da parte del Delivery Manager (colui che garantisce, tramite un gruppo di specialisti, tecnici ed operatori, l’erogazione del servizio) avviene attraverso e-mail interna verso l’account amministrazione@XXX.it”.
Per l’occultamento o distruzione di documenti contabili sarà possibile prevedere nel report dei flussi tra OdV e funzioni aziendali l’invio, con periodicità da concordare, della seguente documentazione:
- libro giornale (nel quale vengono annotate in ordine cronologico tutte le operazioni di gestione -acquisti, vendite, incassi, pagamenti, ecc.);
- libro degli inventari (nel quale annotare l’elencazione, descrizione, valutazione delle attività e delle passività conferite; nonché il valore del capitale di conferimento. Negli anni successivi al primo, il libro inventari deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore, nonché il valore attribuito a ciascun gruppo e contenere altresì il bilancio d’esercizio: stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa);
- libro IVA (ovvero libro delle fatture passive, delle fatture attive e dei corrispettivi ove presenti;
- libro magazzino;
- libro dei beni ammortizzabili contenente i cespiti soggetti ad ammortamento;
- libro unico del lavoro (contenente i dati relativi ai singoli lavoratori -presenza e
- retribuzione);
- libro degli strumenti finanziari;
- libro obbligazioni
- libro soci;
- bilancio di esercizio (stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa e rendiconto finanziario).
Infine, per la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte sarà possibile prevedere nel report dei flussi tra OdV e funzioni aziendali l’invio, con periodicità da concordare, della seguente documentazione:
- procedure di riscossione coattiva;
- libro cespiti (nel quale vengono annotate in ordine cronologico tutte le operazioni di gestione -acquisti, vendite, incassi, pagamenti, ecc.);
- libro degli strumenti finanziari;
- bilancio di esercizio (stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa e rendiconto finanziario).
L’inserimento dei reati tributari, oltre ad avere riflessi operativi, ha generato, come naturale accadesse, interrogativi di ordine processuale e che saranno, nei modi e nei tempi classici dell’iter procedimentale, sottoposti all’attenzione della Corte Costituzionale.
Primo fra tutti, l’aspetto relativo al principio del ne bis in idem.
Invero, ciò che accade quando una società commette un reato fiscale è che l’ente risponderà, oltre che penalmente insieme all’autore del reato, in funzione del rapporto organico, anche amministrativamente, in quanto contribuente. Inoltre, dal momento che il D.Lgs. n. 231/2001 non sembra avere natura unicamente amministrativa, bensì penale, ne potrebbe derivare un cumulo di sanzioni della stessa natura. Allo stato, infatti, dalla condotta del reo deriverebbero:
- processo penale per la persona fisica al superamento delle soglie di legge;
- processo tributario per l’ente in veste di contribuente;
- processo penale per l’ente ex D.Lgs. n. 231/2001.
La stessa azione, costituente violazione tributaria, reato penale e amministrativo/penale(!!) condurrebbe a tre sentenze distinte con altrettante differenti sanzioni.
Relativamente alla tematica in questione (ne bis in idem), la Corte di Strasburgo intervenuta nel caso Nodet c. Francia (che ha preceduto di pochi mesi il Decreto Fiscale 2019), ha affermato come, ai sensi dell’art. 4 Prot. 7 CEDU, sia da ammettersi -in linea teorica- la duplicazione dei procedimenti per lo stesso fatto, a patto che in concreto gli stessi finiscano per integrarsi a vicenda, divenendo nei fatti un solo procedimento in cui l’uno pone l’attenzione su elementi ulteriori rispetto a quelli contemplati dall’altro, sì da determinare una sostanziale “reductio ad unum del bis”. Viceversa, laddove la sanzione origini dal medesimo elemento, si è al cospetto di un’illegittima duplicazione del processi e violazione della regola del “mai due volte per la stessa cosa”.
Così, nel giugno 2019 la Corte EDU ha ritenuto il sistema della lotta agli abusi di mercato francese meritevole di censure, in quanto caratterizzato (come quello italiano), per il doppio binario amministrativo-penale, ma i cui sistemi sanzionatori erano connotati da identiche finalità repressive e fondate entrambe sul medesimo fatto illecito. Precisa altresì la Corte che se invece i procedimenti fossero stati volti a sanzionare aspetti contigui, ma diversi, del fatto materialmente commesso, la finalità dei due processi avrebbe potuto essere considerata eterogenea, e perciò legittima.
Ebbene, se questi sono i parametri di compatibilità cui aspirare, il nostro sistema penal-tributario si ritiene non risparmiare perplessità, poiché:
- le condotte descritte dal D.Lgs. n. 471/1997 e dal D.Lgs. n. 74/2000 sono pressoché identiche e sovrapponibili, sia per formulazione, sia per giudizio di disvalore;
- hanno entrambi i sistemi finalità palesemente sanzionatorie, dal momento che quello tributario non ha il solo obiettivo di recuperare l’imposta evasa, poiché laddove il contribuente non si mostri collaborativo, il recupero diviene coatto e si estrinseca attraverso la confisca per equivalente (art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000);
- la scelta legislativa di abbassare la soglia di rilevanza penale non fa altro che ridurre ulteriormente il discrimine tra illecito amministrativo e illecito penale.
Nel medesimo caso Nodet c. Francia la Corte di Strasburgo ha raccomandato, confermando l’orientamento espresso nel precedente caso Bjarni Ármannsson c. Islanda, sempre in ossequio al principio del ne bis in idem, che non debba ripetersi la medesima attività probatoria, non tanto perché i due sistemi non debbano basarsi sui medesimi elementi oggettivi e soggettivi (come già detto, devono considerare elementi diversi, sia pure contigui al medesimo evento), bensì per evitare un danno nel complesso sproporzionato per l’imputato.
In estrema sintesi, per la Corte EDU sarebbe meglio dar luogo ad un’istruttoria il più possibile unitaria per i distinti procedimenti, purché poi i risultati siano valutati in maniera integrata.
Sul punto occorre rilevare che nel nostro ordinamento è ammessa:
- la trasmigrazione degli elementi probatori raccolti nel processo tributario a quello penale: si pensi al processo verbale di constatazione (P.V.C.), risultato dell’attività istruttoria compiuta dall’amministrazione finanziaria all’esito delle verifiche fiscali sul contribuente, ordinariamente acquisito poi nel processo penale, ancorché nella stessa sede possano poi ricercarsi ulteriori elementi integrativi;
- la stessa sentenza pronunciata all’esito del processo tributario viene acquisita nel processo penale, fatta salva la possibilità per il giudice di discostarsene, in virtù del principio del libero convincimento, sia pur motivandone le ragioni.
Può pertanto concludersi che l’attuale sistema, così come strutturato, non può dirsi pienamente coerente con quello cui gli organi Ue vorrebbero si informassero tutti gli Stati membri, ovvero che non si duplichi l’attività istruttoria per evitare un maggiore sfavore all’imputato: tuttavia, la penetrazione dei principi e delle regole eurounitarie trova unico limite nel rispetto dei principi fondamentali di diritto interno, tra cui quelli che reggono l’amministrazione giudiziaria nazionale.
Parimenti, soffermandoci sul panorama nazionale, l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione nella sua relazione riferisce testualmente “non sussiste la violazione del ne bis in idem (…) quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e temporale efficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema sanzionarono secondo il criterio dettato dalla suddetta Corte nella decisione A. e B. contro Norvegia”. Si tratta tuttavia di criteri che appaiono connaturati da una evidente incertezza: cosa debba intendersi per “connessione temporale efficientemente stretta” e come può considerarsi esistente la “connessione sostanziale” tra due giudizi di competenza di organi giurisdizionali differenti (penale e tributario) a cui si applicano regole procedurali distinte (che solo in determinate circostanze possono incrociarsi senza neppure determinare un impatto decisivo, si pensi alla valenza della sentenza tributaria nel processo penale) e oggetto di decisione da parte di giudici diversi.
Ancora, ulteriore criticità dall’introduzione dei reati tributari nel mondo 231 è rintracciabile nella discrasia tra persona fisica e giuridica a mente dell’art. 13 del D.Lgs. 74/200 e il l’art. 8 del D.Lgs. n. 231/2001. Secondo il primo, infatti, “i reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti (…)” con l’effetto di liberare la persona fisica dal processo penale. Di tale possibilità non potrà beneficiare l’ente poiché a mente del citato art. 8 “la responsabilità dell'ente sussiste anche quando: (…) b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia (…)”. L’evidente differenza di trattamento tra i due imputati non tarderà ad essere oggetto di questioni di legittimità costituzionale.
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