Il processo di valutazione di un potenziale candidato

Il filosofo greco Aristotele è stato un grande studioso della natura umana e un attento osservatore dei tratti che accomunano la nostra specie. Aristotele definisce l’uomo un “animale sociale”1, assolutamente incapace di vivere isolato dagli altri. Tuttavia, la necessità che l’uomo ha di associarsi con gli altri uomini non è determinata solo da cause materiali (come la difesa personale, il procurarsi nutrimento e garantire la procreazione ecc.), ma soprattutto dal fatto che, come individuo singolo, l’uomo non potrebbe mai realizzare il soddisfacimento dei sui bisogni e obiettivi. Molti secoli dopo, all’inizio dell’800, ritroviamo l’importanza del ruolo del prossimo in un altro filosofo. Si tratta del tedesco Hegel che, in diversi punti della sua opera “Fenomenologia dello spirito”2, sottolinea la necessità, per gli uomini, di instaurare rapporti sociali. egli sostiene che la coscienza di sè stessi la si ottiene solo se si è riconosciuti da un altro essere libero e autocosciente.

Potremmo dire che il comportamento che si sceglie di tenere in pubblico non è quello che istintivamente l’individuo adotterebbe, ma è vincolato a ciò che si ritiene essere più giusto per raggiungere i propri obiettivi.
Tale meccanismo sociale viene chiamato da sociologi e psicologi “self impression management”. Nello specifico, può essere definito come “il modo in cui ogni persona cerca di controllare e influenzare l’impressione del sé che lascia negli altri, a seconda della situazione” (Goffman, 1959). Lo studio di questo complesso meccanismo sociale è legato alla figura del sociologo canadese Erving Goffman che, nella prima metà del ‘900, ha esaminato l’importanza delle interazioni faccia a faccia. Secondo il sociologo queste interazioni non avvengono a caso, ma seguono precisi codici e rituali. A tal proposito, egli parla di rituale dell’interazione, ovvero il comportamento degli individui veicolato a seconda della situazione. Possiamo notare come sia centrale il ruolo del contesto sociale a cui deve sempre corrispondere un tipo di comportamento. Ad esempio, i clienti di un ristorante di lusso si aspettano determinate azioni da parte dei camerieri, rispetto a coloro i quali lavorano in un ristorante modesto.
Goffman, inoltre, paragonava l’interazione personale ad un modello drammaturgico: cioè le azioni quotidiane degli individui sono simili a rappresentazioni teatrali da mettere in scena a seconda della situazione. Con il termine “rappresentazione” Goffman fa riferimento a tutte quelle attività di un individuo che si svolgono in uno specifico momento, caratterizzato dalla sua continua presenza dinanzi a un particolare gruppo di osservatori, tali da avere una certa influenza su di essi” (Goffman 1959, p. 33). Pertanto, l’interlocutore agirà con lo scopo di “comunicare agli altri quell’impressione che è suo interesse dare” (Goffman 1959, p.14). Questo concetto descrive quindi la dimensione psico-sociale delle interazioni tra gli individui: è il modo in cui ognuno di noi cerca di far accettare l’immagine di sé che si è costruito per gli altri.

A partire dal breve excursus compiuto sino a qui, si tenterà ora di descrivere quali aspetti possono influenzare il processo di valutazione di un potenziale candidato che si relaziona con una figura HR durante il colloquio di selezione. Partendo dal presupposto che l’intero colloquio si fonda proprio sull’ interazione faccia a faccia con un’altra persona ed inevitabilmente, entrano in gioco una serie di meccanismi psico-sociali. In particolare, si farà riferimento alla strategia denominata self impression management.
Chi si occupa di ricerca e selezione del personale, ogni giorno, ha a che fare con molteplici meccanismi complessi che i candidati in sede di colloquio sperimentano, e che possono interferire notevolmente sull’esito del colloquio stesso. Del resto, i candidati attuano diverse strategie per “fare colpo” sul selezionatore con lo scopo di ottenere la posizione per la quale si concorre.


Il colloquio rappresenta un momento essenziale per ogni processo di selezione e costituisce, per il selezionatore, il primo contatto face to face con il candidato il quale come insegna Oscar Wild, non avrà una seconda occasione per fare una buona prima impressione. Tra i significati attribuiti al termine colloquio vi è “dialogo”, “scambio di idee”; si tratta di una terminologia che ne sottolinea il valore interattivo, evidenziandone anzitutto un momento di comunicazione bidirezionale volto alla reciproca comprensione (Cortese & Del Carlo, 2017). In sostanza mette a confronto due modi di pensare e valutare completamente diversi, quelli del selezionatore e quelli del candidato (Gandolfi, 2003). Utilizzare questo termine e, soprattutto, attribuirgli tale significato è molto importante dal momento che è possibile prendere le distanze dalla parola “intervista” la quale rinvierebbe ad una unidirezionalità delle domande e ad una rigidità dei ruoli, e questo è proprio ciò che in un colloquio dovrebbe essere evitato.
A tal proposito, si ritiene che il fine ultimo del colloquio di selezione non debba esclusivamente essere quello di accertare la corrispondenza tra i requisiti e le competenze che qualificano il candidato e le caratteristiche del profilo ricercato individuate nel job profile, ma deve anche verificare che tra candidato e azienda si instauri un rapporto duraturo in cui gli obiettivi di entrambe le parti possano essere raggiunti, coniugando quindi la realizzazione professionale, economica e sociale del candidato ad una complessiva soddisfazione dell’azienda in termini di raggiungimento dei risultati attesi (Cortese, Del Carlo, Damiano, 2010).

Entrando nel merito delle strategie di impression management, è prima necessario effettuare una breve considerazione. Ovvero, l’elemento che più di tutti risulta in grado di orientare il tipo di influenza sul processo di formazione della valutazione del candidato ad opera del recruiter è rappresentato dal grado di competenza del selezionatore. Infatti, selezionatori poco competenti potranno lasciarsi forviare dalle caratteristiche del candidato e dai suoi comportamenti verbali e non verbali, mentre selezionatori più competenti, magari con un’esperienza più lunga, saranno in grado di trarre da essi informazioni utili (Cortese & Del Carlo, 2017).
Tra le differenti strategie di impression management attuate dal candidato che cerca di apparire il migliore per la posizione in oggetto ci sono l’ingratiation e la deception:

  • Il primo termine viene utilizzato per designare l’insieme di comportamenti verbali e non verbali che vengono messi in atto dal candidato per piacere al selezionatore e ottenere un giudizio positivo. Una delle azioni maggiormente intraprese riguarda il dichiararsi d’accordo con le affermazioni del selezionatore, dissentendo soltanto eccezionalmente. Tra i comportamenti non verbali, in tal senso, vi è l’annuire con il capo o mantenere un contatto visivo prolungato (Cortese & Del Carlo, 2017).
  • Per quanto riguarda il termine deception, esso viene utilizzato per indicare quell’insieme di comportamenti messi in atto nel momento in cui i candidati vogliono nascondere gli aspetti del proprio curriculum, ma anche della propria personalità ritenuti negativi poiché il soggetto in questione ritiene che l’emergere di determinati aspetti potrebbe compromettere l’esito della valutazione.

In entrambi i casi si tratta di comportamenti che vengono messi in atto intenzionalmente, in quanto rappresentano, per il candidato, un efficace metodo di autopresentazione. Richiamando quanto sopra detto in merito alla teoria di Goffman3 potremmo dire che nel colloquio di selezione, attraverso la messa in atto di meccanismi di proiezione di sè stessi e la gestione dei comportamenti indirizzati agli interlocutori, gli individui attuano la stessa dinamica della rappresentazione teatrale. Nel caso specifico, l’intervistatore gioca il ruolo del pubblico che attraverso l’ascolto (elemento fondamentale per la riuscita di un buon colloquio) cerca di identificare le caratteristiche richieste dalla posizione offerta e di capire se il candidato sia quello giusto, mentre quest’ultimo recita la parte dell’attore, il quale si sforza di controllare i propri gesti, le proprie espressioni con lo scopo d’influenzare le valutazioni dell’intervistatore.

In conclusone, possiamo sostenere che le motivazioni personali così come quelle sociali svolgono un importante ruolo nella presentazione di sé e nel gestire l’impressione che suscitano negli altri. Tuttavia, mettere in atto comportamenti con lo scopo di ottenere approvazione dell’interlocutore potrebbe portare ad ottenere l’effetto contrario, ovvero il rischio di generare un giudizio sfavorevole. Ecco perché, sebbene il self impression management sia un meccanismo fondamentale, potremmo dire quasi innato nell’individuo, un bravo selezionatore deve saper riconoscere e andare oltre la prima impressione. Deve porre attenzione e osservare il comportamento del selezionato senza dare una valutazione dello stesso e prendere nota dei vari comportamenti senza aggiungere valutazioni di tipo personali dettate dall’approvazione propria dello stesso.

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Bibliografia:

  • Aristotele, Politica
  • Cortese, C., G., Del Carlo, A. (2017). La selezione del personale. Raffaello Cortina Editore.
  • Hegel, Fenomenologia dello spirito
  • Gandolfi G. (con la collaborazione di Alessandra Pasinato), (2003) Il processo di selezione. Strumenti e tecniche (colloqui, test, assessment di selezione) FrancoAngeli, Milano
  • Goffman E. (1959), The present of self in everyday life (La vita quotidiana come rappresentazione sociale) il Mulino, 2020
  • Goffman E. (1969). Strategic Interaction. Il Mulino, 2020
  • Mazzoleni C., Pedroni F.L., (2015). Self-Handicapping. Strategie di presentazione del sé, ArmandoEditore

A cura di M. D’Orfeo e A. Roppolo (partecipanti dell’Executive Master in Direzione del Personale e dell’Executive Master in Risorse Umane)

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Ultima modifica il 03/09/2020

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