Sicurezza e agilità: smart-work (in progress)
A cura di Alessandra Seminara (partecipante dell’Executive Master in Giurista d’Impresa)
Oggi si parla tanto di “smart-working”. Si tratta di un fenomeno in costante aumento, ma capirne il significato non è immediato né tantomeno così intuitivo. Il “Jobs Act” del 2017 – Legge del 22 maggio, n. 81 – ha introdotto una serie di “Misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. In particolare, gli articoli da 18 a 24 contengono la disciplina del c.d. “lavoro agile”, ponendo l’accento sulla1:
- flessibilità organizzativa;
- volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale;
- utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto.
Secondo la definizione data dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, infatti, “lo smart-working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”. Tuttavia, lo smart-working non è solo uno strumento di work-life balance e welfare aziendale, ma rappresenta un cambiamento culturale, cui tutte le imprese oggi tendono, che passa necessariamente da una revisione dei modelli organizzativi aziendali nell’ottica di un "ripensamento intelligente delle modalità con cui si svolgono le attività lavorative anche all’interno degli spazi aziendali, rimuovendo vincoli e modelli inadeguati legati a concetti di postazione fissa, open-space, ufficio singolo che mal si sposano con i principi di personalizzazione, flessibilità e virtualità"2.
La tecnologia gioca un ruolo importante in questa nuova modalità di gestione e regolazione dei rapporti tra impresa e lavoratore, che ha quale suo principale risvolto la “smaterializzazione” dei luoghi di lavoro. L’idea che sembra farsi largo dietro il concetto stesso di smart-working, pertanto, è che il termine “lavoro” non sia, e soprattutto non possa essere, sinonimo di “luogo”, ma certamente debba continuare ad essere associabile al concetto di “sicurezza”. E questo ovunque sia realizzato3. Rivolgendo l’attenzione al settore della salute e sicurezza sul lavoro, le problematiche che ne derivano sono molteplici, dalla necessità di garantire una formazione sempre più adeguata ai tempi alle complicazioni che mettono in discussione la responsabilità del datore di lavoro e l’operato del servizio di prevenzione e protezione alle prese con un luogo di lavoro dai contorni sfumati, non più delimitato da confini precisi: un “non luogo” in cui è difficile stabilire doveri e responsabilità4. Ai sensi dell’art. 22 Legge 81/2017 “il Datore di Lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile”. A tal fine consegna un’informativa con le indicazioni precise circa il corretto utilizzo delle attrezzature o apparecchiature messe a disposizione del lavoratore, facendosi carico di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza mediante un’adeguata manutenzione (art. 70 e ss. D.Lgs. 81/08)5. La circolare INAIL n. 48 del 2 novembre 2017, inoltre, ricorda che lo smart-working comporta l’estensione dell’assicurazione obbligatoria contro infortuni e malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali, con evidenti ricadute sui profili di responsabilità in capo all’azienda6. È chiaro che il Datore di Lavoro non possa sapere esattamente se i luoghi siano consoni e non mettano a rischio l’attività dei dipendenti, per questo deve adoprarsi per garantire un’adeguata e costante formazione dei lavoratori e personalizzare l’informativa sulla base delle caratteristiche specifiche della prestazione, così come disposto dall’INAIL con comunicazione del 25 febbraio 2020, mediante il modello in formato editabile. Il lavoratore d’altro canto deve cooperare avendo, in questo processo di verifica delle condizioni di adeguatezza della propria postazione lavorativa, un ruolo attivo7. Tra i contenuti minimi di tale informativa non possono mancare le indicazioni relative alla sicurezza antincendio. Non v’è dubbio che questo fattore sia curato dal Datore di Lavoro all’interno dei locali aziendali e che ciascun lavoratore riceva un’adeguata formazione circa i principi generali sul rischio incendio, sui mezzi di estinzione e sui corretti comportamenti da tenere, ma al fine di garantire un adeguato presidio dei luoghi di lavoro, in qualunque forma considerati, il datore di lavoro deve incentivare anche gli “smart-workers” al corretto utilizzo dell’impianto elettrico, affinché ne controllino il buono stato e il giusto posizionamento dei cavi elettrici, evitando il sovraccarico delle prese.
Centrale importanza, poi, rivestono le indicazioni relative ai requisiti igienici e di ergonomia della postazione lavorativa. I locali di lavoro devono avere aria salubre in quantità sufficiente, una temperatura e grado di umidità dell’aria adeguata all’organismo umano, un sufficiente ricambio d’aria, un’adeguata illuminazione naturale e artificiale, così come disciplinato dagli allegati IV e XXXIV (con riferimento alla categoria dei videoterminalisti) del D.Lgs. 81/08. Occorre precisare che, sebbene tale informativa costituisca uno strumento cruciale per garantire l’integrità psico-fisica dei lavoratori, non possa essere tuttavia considerata esaustiva e liberatoria rispetto al più generale dovere di sicurezza incombente sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. e degli artt. 36 e 37 del D.Lgs. 81/088.
Tuttavia, l’improvvisa emergenza sanitaria e la necessità di intervenire senza indugi hanno trasformato il lavoro agile in una misura obbligatoria al fine di ridurre il contagio, rendendola la modalità ordinaria di svolgimento di ogni prestazione di lavoro subordinato9, pur in assenza di uno specifico accordo individuale tra le parti che ne disciplini tempi e modalità10. Si evince come il lavoratore non abbia più la possibilità di scegliere il luogo in cui lavorare, ma sia di fatto vincolato a stare a casa, sperimentando una modalità forzata di smart-working che assume più le vesti di un “lavoro da remoto” non esente da criticità, con inevitabili impatti sulla salute e sicurezza dei lavoratori. Tutto ciò, infatti, non ha reso possibile soffermarsi sui potenziali risvolti negativi di uno smart-working in un contesto lavorativo e culturale non ancora pronto al cambiamento, in cui molte aziende si sono trovate impreparate a dotare i propri dipendenti di tutte le strumentazioni necessarie a potere lavorare da casa in autonomia e molti lavoratori si sono sentiti sovraccaricati di informazioni e strumenti informatici da gestire, rivelatesi causa di una specifica tipologia di stress lavoro-correlato11.
La rivoluzione digitale, infatti, strumento imprescindibile per rendere concrete le pratiche e i modelli dello smart-working12, impone ai datori di lavoro un’ulteriore attenzione alla prevenzione e protezione dei propri dipendenti, dagli impatti del c.d. “Tecnostress”, le cui cause principali possono essere ricondotte a orari di lavoro eccessivi e sregolati, al problema della reperibilità h24 del lavoratore, al distacco dal posto di lavoro e alla mancanza di interazione sociale con i colleghi, all’e-mail addiction, all’information overloading, alla difficoltà a interfacciarsi con i nuovi strumenti tecnologici (tecnostressor)13. Con il termine tecnostress ci si riferisce ad un disturbo “moderno” causato dall’uso scorretto ed eccessivo di tecnologie dell’informazione e apparecchi informatici e digitali. Le nuove tecnologie possono favorire produttività ed efficienza, ma incidono anche sui parametri tradizionali del lavoro, rischiando di rendere sempre più sfumati i confini tra vita personale e lavorativa14 ed esporre il lavoratore ad uno stato di ‹‹permanente allerta reattiva rispetto al soddisfacimento delle richieste datoriali››15. La valutazione del tecnostress costituisce un obbligo normativo ai sensi del D.Lgs. 81/08 e tra le tecniche di prevenzione introdotte per mitigare questo rischio affiora la disciplina della disconnessione, un istituto che trova la sua regolamentazione proprio nella normativa del lavoro agile e che si sostanzia nel diritto del lavoratore ad essere irreperibile, a non essere cioè soggetto a richieste e sollecitazioni per via telematica provenienti dal datore di lavoro al di fuori dell’orario lavorativo, così come individuato al comma 1 dell’art. 19 della Legge 81/201716.
Tuttavia, l’assenza di una qualificazione specifica della disconnessione come diritto, insieme alla mancanza di una nozione giuridica, lascia privo di effettività il disposto normativo non ravvisandosi alcuna indicazione circa l’iter attuativo né la previsione di eventuali conseguenze in caso di inottemperanza17. Molti sono ancora gli sforzi che devono essere compiuti per colmare i gap organizzativi, culturali, manageriali e di garanzia per la salute e sicurezza dei lavoratori, che la pandemia ha fatto emergere, affinché modalità come lo smart-working diventino misure strutturali per le aziende e i lavoratori che vogliano usufruirne, nel pieno rispetto di esigenze aziendali di efficienza e incremento della produttività che siano in grado di coesistere con quelle del singolo lavoratore, nel suo essere “animale sociale”. Ripensare i termini della contrattazione collettiva per una regolamentazione dello smart-working in linea con prospettive di innovazione e miglioramento rappresenta uno dei primi passi da muovere, per realizzare una rivoluzione dei modelli di produzione e gestione aziendale, che non si limiti solo al contesto lavorativo, ma che si inserisca in un progetto più grande tramite cui promuovere lo sviluppo e la coesione sociale, diminuire il divario territoriale tra nord e sud del paese, garantire la rinascita economica dei territori “di rientro”, dare un nuovo significato alle nostre azioni, come persone oltre che come esperti nelle varie figure professionali, costruendo le basi fondanti di una reale ripresa in cui tornare a credere di poter essere attori del cambiamento, nella sicurezza sul lavoro come nella società.
1 F. D’ADDIO, Considerazioni sulla complessa disciplina del telelavoro nel settore privato alla luce dell’entrata in vigore della legge n. 81/2017 e della possibile sovrapposizione con il lavoro agile, Diritto delle Relazioni Industriali, 4, 2017.
2 P. CAPOFERRO, Smart Working: che cos’è, a che cosa serve, perché è importante per il business, in https://www.digital4.biz.
3 EUROFOUND, ILO, Working anytime, anywhere: the effects on the world of work, 2017, in https://www.eurofound.europa.eu/it.
4 M. MARTINELLI, L’individuazione e le responsabilità del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro, Working Paper di Olympus, 2014.
5 L.M. PELUSI, Il lavoro agile tra esaustività dell’informativa di salute e sicurezza e l’applicabilità del D.Lgs. n. 81/2008, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, Collective Volumes – 6/2017.
L.M PELUSI, La disciplina di salute e sicurezza applicabile al lavoro agile, Diritto delle Relazioni Industriali, 4, 2017.
R. GUARINIELLO, Lavoro agile e tutela della sicurezza, DPL, 2017.
6 L.M. PELUSI, I profili prevenzionistici e assicurativi del lavoro agile emergenti dalla circolare INAIL n. 48/2017, bollettino ADAPT, 18 dicembre 2017.
7 C. MACALUSO, Il ruolo del lavoratore nella normativa prevenzionistica tra obblighi e tutele, ISL, 2011, 5.
8 F. PETRACCI – A. MARIN, Lavoro autonomo, lavoro parasubordinato, lavoro agile: le novità introdotte dal Jobs Act e dal disegno di legge 2233/2016, Key Editore, 2016, i quali – con riferimento all’avverbio “altresì” – ritengono che l’obbligo di informativa periodica sostituisca quello di garantire la sicurezza nei luoghi che utilizza il dipendente per lavorare. Ciò in ragione della peculiarità del lavoro agile, nell’ambito del quale il datore di lavoro non conosce in anticipo il luogo in cui sarà resa la prestazione.
G. SANTORO-PASSARELLI, Lavoro eterorganizzato, coordinato, agile e il telelavoro: un puzzle non facile da comporre in un’impresa in via di trasformazione, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2017.
9 Decreto Legge del 23 febbraio 2020, n. 6; DPCM 8 marzo 2020; Decreto Legge “Cura Italia” del 17 marzo 2020, n. 18. Peraltro, con L. 27 novembre 2020, n. 159 di conversione del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 – Lavoro Agile – Regime “Semplificato” – è stato prorogato “fino al 31 gennaio 2020 e comunque fino al termine dello stato di emergenza” l’utilizzo della modalità di lavoro agile secondo le modalità “semplificate” previste dal Decreto Rilancio – D.L. 19 maggio 2020, n. 34.
10 M. VERZARO (a cura di), Il lavoro agile nella disciplina legale collettiva e individuale, Jovene, 2018.
M. TIRABOSCHI, Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 335/2017.
11 J. HASSARD – T. COX, Work-related stress: nature and management, Birkbeck College, University of London, available at https://oshwiki.eu/wiki.
F. MALZANI, Il lavoro agile tra opportunità e nuovi rischi per il lavoratore, in http:/www.lavoroeconomiadigitale.it, 2017.
12 P. TULLINI, La digitalizzazione del lavoro, la produzione intelligente ed il controllo tecnologico nell’impresa, in ID (a cura di), Web e lavoro, Profili evolutivi e di tutela, Torino, 2017, 7.
13 La digitalizzazione e l’utilizzo di strumenti digitali hanno portato numerosi vantaggi e benefici economici e sociali sia per i datori di lavoro, che per i lavoratori, fra i quali una maggiore flessibilità e autonomia, maggiore produttività, più elevati livelli di soddisfazione e motivazione sul lavoro, tassi più bassi di assenteismo, la possibilità di migliorare l’equilibrio tra vita professionale e privata e la riduzione dei tempi di spostamento. Tuttavia, hanno causato anche degli svantaggi comportanti sfide etiche, legali e connesse all’occupazione, quali l’intensificazione del lavoro e l’estensione dell’orario di lavoro, rendendo meno netti i confini tra attività lavorativa e vita privata. L’utilizzo degli strumenti digitali ha contribuito alla nascita di una cultura del “sempre connesso”, che può andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori, della salute fisica e mentale, della sicurezza sul lavoro. Infatti, l’utilizzo di tali strumenti per periodi prolungati potrebbe determinare una riduzione della concentrazione e un sovraccarico cognitivo ed emotivo, nonché aggravare fenomeni quali l’isolamento, la dipendenza dalle tecnologie, la privazione del sonno, l’esaurimento emotivo, l’ansia e il burnout. Operazioni monotone e ripetitive e una postura statica per lunghi periodi di tempo possono causare tensioni muscolari e disturbi muscolo-scheletrici.
14 E. GENIN, Proposal for a theorethical framework of time for the analysis of the porosity, International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, vol. 32 n. 3.
15 D. POLETTI, Il diritto alla disconnessione nel contesto dei ‹‹diritti digitali››, RCP, 2017.
16 A. FENOGLIO, Il diritto alla disconnessione del lavoratore agile, in G. ZILIO GRANDI – M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Wolters Kluwer Cedam, 2018.
17 A. ALLAMPRESE – F. PASCUCCI, La tutela della salute e sicurezza del lavoratore ‹‹agile››, RGL, 2017. Tuttavia, con RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO del 21 gennaio 2021, recante “Raccomandazioni alla Commissione sul Diritto alla Disconnessione”, l’Unione Europea, preso atto del fatto che non esiste attualmente una normativa europea che disciplini il diritto alla disconnessione e che la legislazione in materia varia notevolmente fra i diversi Stati membri, ha invitato la Commissione a presentare una proposta di Direttiva sulle norme e condizioni minime per garantire che tutti i lavoratori (di qualunque settore, sia pubblici che privati) possano esercitare efficacemente il loro diritto alla disconnessione, disciplinando al contempo l’uso degli strumenti digitali esistenti e nuovi a scopi lavorativi. Il diritto alla disconnessione è definito essenziale per la protezione del benessere e dello stato di salute fisica e mentale dei lavoratori. I possibili effetti derivanti dall’uso o abuso degli strumenti digitali, infatti, impongono ai datori di lavoro un onere sempre crescente di rispetto delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e un obbligo di valutazione dei rischi psicosociali che deve tradursi in una corretta definizione e attuazione della disciplina del diritto alla disconnessione. Di tale diritto, inoltre, ciascun datore di lavoro è tenuto a fornire informazioni chiare e adeguate, relativamente a determinati fattori, quali le modalità pratiche per scollegarsi, il sistema di misurazione dell’orario di lavoro, la valutazioni del rischio psicosociale e della salute e sicurezza in relazione al diritto alla disconnessione, le misure di sensibilizzazione del datore di lavoro, compresa la formazione sul luogo di lavoro, le misure di tutela contro trattamenti sfavorevoli verso chi eserciti tale diritto, solo per citarne alcune.
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Ultima modifica il 25/01/2021
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