Trasferimento della sede sociale all’estero
A cura dell'Avv. G. Arpea, Docente in area Legale
La questione
Nel mercato globale non mancano le occasioni “locali”. Finanziamenti per lo sviluppo del territorio, incentivi all’innovazione e fiscali, oscillazioni del costo del lavoro, accordi strategici con partner esteri: sono opportunità che l’imprenditore segue con grande attenzione. Spesso la decisione di coglierle passa per il trasferimento della sede sociale (operativa e legale) all’estero. In questi casi, quali sono gli accorgimenti necessari per cessare ogni posizione in Italia? È sufficiente iscrivere la deliberazione di trasferimento per chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese? Vediamoci chiaro prendendo in esame il caso del trasferimento infraeuropeo.
Il trasferimento all’interno dell’UE
All’interno dell’UE, il diritto di stabilimento è strettamente connesso al c.d. reciproco o mutuo riconoscimento: affinché una società regolarmente costituita nello Stato di origine possa liberamente esercitare il diritto di stabilimento, è necessario che sia riconosciuta anche dalle autorità dello Stato di destinazione. È proprio per garantire il reciproco riconoscimento che il Trattato C.E., all’art. 293, ha previsto l’avvio di negoziati tra gli Stati membri, ovverosia per consentire il mantenimento della personalità giuridica in caso di trasferimento della sede da un Paese a un altro. Questa previsione, però, non si è mai concretizzata, poiché non è mai entrata in vigore la Convezione di Bruxelles del 29 febbraio 1968 sul riconoscimento reciproco delle società.
Perciò la materia è stata affrontata in concreto secondo le norme di conflitto del diritto internazionale privato, che hanno visto fronteggiarsi due teorie:
- quella dell’incorporazione, per cui si applica la legge dello Stato di costituzione della società;
- quella della sede effettiva, secondo cui prevale la legge dello Stato dove è situata la direzione economica effettiva della società.
Al riguardo, la giurisprudenza comunitaria è parsa oscillare tra le due diverse soluzioni[1], sebbene sia la prima a essere accolta con maggior frequenza.
Nel caso italiano vediamo che, secondo l’art. 25, l. 31 maggio 1995, n. 218: «I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati». L’ordinamento italiano dimostra quindi di aderire alla teoria dell’incorporazione[2]. Ciò sempre che il trasferimento sia conforme alle leggi dello Stato di provenienza e di quello di destinazione, con l’ovvia conseguenza che la continuità giuridica è esclusa ogni qual volta si presenti un conflitto tra le leggi nazionali dei paesi interessati sugli effetti del trasferimento[3].
I profili pubblicitari
Analizziamo ora gli aspetti pubblicitari del trasferimento della sede dall’Italia a un altro Stato UE. La legge italiana stabilisce espressamente solo che la deliberazione di trasferimento della sede all’estero, che modifica lo statuto, vada iscritta nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2436 c.c. Per il resto, tace sulla necessità di rendere conoscibile al pubblico, nel caso di trasferimento con continuità, il momento in cui la società “abbandona” l’ordinamento di partenza[4]. Quindi è tutto? Vediamo come si è espresso al riguardo il circuito camerale. Secondo l’orientamento più accreditato nella prassi[5] e sostenuto in giurisprudenza[6], all’iscrizione della decisione di trasferimento (che dovrebbe contenere gli elementi sufficienti a stabilire in modo non equivoco se il trasferimento comporti o meno il definitivo “abbandono” dell’ordinamento italiano) seguirà l’istanza di cancellazione della società dal registro delle imprese (tramite il modello S3, riportando nelle annotazioni l’assolvimento degli adempimenti pubblicitari presso lo Stato estero), da presentarsi una volta che sarà stata perfezionata all’estero l’iscrizione della società, o risulti comunque compiuta la procedura di costituzione secondo la nuova legge di appartenenza. È proprio per rendere noto lo stato di avanzamento della cancellazione della società che, oltre all’iscrizione del trasferimento della sede all’estero (funzione tipica camerale con valore di pubblicità dichiarativa), nella prassi il conservatore del registro delle imprese aggiunge un’annotazione in calce (atto della prassi camerale con valore di pubblicità notizia). Di cosa si tratta? Ecco un esempio: «Con atto notarile è stato deliberato il trasferimento della sede all’estero. Il trasferimento deliberato avrà efficacia solo con il riconoscimento del paese di destinazione».
Considerazioni conclusive
A causa di un dato normativo piuttosto lacunoso, è discusso, quindi, quali siano gli adempimenti pubblicitari necessari per rendere conoscibile nel nostro ordinamento il trasferimento della sede sociale all’estero. Secondo la prassi, una volta completato il trasferimento nel Paese di arrivo, la società andrebbe cancellata dal registro delle imprese italiano; tuttavia, poiché questa iscrizione non è prescritta dalla legge, rimangono controversi gli effetti pubblicitari sulla conoscibilità legale del trasferimento. Ad ogni modo, sembra prudente seguire le indicazioni della prassi più accorta[7], secondo la quale quello della cancellazione è un percorso che ha un inizio e, soprattutto, una fine obbligati: il deposito del certificato di accettazione del trasferimento nello Stato di destinazione (o di un atto equipollente) per cancellare definitivamente la società dal registro delle imprese.
[1] In favore della teoria dell’incorporazione: Corte giust. CE, 9 marzo 1999, c. 212/1997, Centros c Ehrvers-og Selkskabsstyrelsen; Corte giust. CE, 5 novembre 2002, c. 208/2000, Überseering c Nordic Construction Company Baumgarten; Corte giust. CE, 30 settembre 2003, c. 167/2001, Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Amsterdam c Inspire Art; in favore alla teoria della sede effettiva: Corte giust. CE, 27 settembre 1988, c. 81/1987 “Daily Mail”.
[2] Ex multis Cass. civ., sez. trib., 19 marzo 2014, n. 6388, 2014.
[3] Cfr. T. Ballarino, Le società estere, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 17, III, 2 ediz., Torino, 2010, p. 291 s.
[4] La “scarsità” di regole di legge, secondo alcuni addirittura una lacuna, è stata rilevata dalla giurisprudenza e dalla dottrina: in proposito cfr. Trib. Milano, Giudice del Registro delle Imprese, 7 gennaio 2013, in Giur, it., 2014, p. 616, in cui si rileva che, nonostante alcune disposizioni del codice civile [ovverosia l’art. 2369, comma 5, c.c., l’art. 2437, comma 1, lett. c), c.c., e l’art. 2473, comma 1, c.c.] che «riconoscono il trasferimento della sede all’estero quale vicenda di rilevanza organizzativa per le società di capitali, nessuna norma regola poi espressamente gli effetti (in termini di permanenza ovvero di estinzione dell’ente) di tale vicenda e le sorti dell’iscrizione della società nel Registro delle Imprese a seguito del trasferimento della sede fuori dallo Stato»; in dottrina v. su tutti F.M. Mucciarelli, Da Monopoli a Londra, passando dal Lussemburgo: appunti sull’emigrazione delle società italiane, in Giur. comm., 2012, II, p. 586.
[5] Che comunque non trova applicazione uniforme, non avendo una vera e propria portata precettiva.
[6] Cfr. Trib. Milano, 7 gennaio 2013, cit.
[7] V. le indicazioni operative rilasciate dalla Camera di Commercio di Roma, con nota del 26 settembre 2007.
Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Business Law.
Ultima modifica il 15/03/2021
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